domenica 31 marzo 2013

DOVE LA MENTE VACILLA, IL TEMPIO DI KARNI MATA

 
E’ strano, si compiange chi è tardo di piede , e non chi è tardo di spirito.

E chi è cieco negli occhi anzichè chi è cieco nel cuore.
 
KARNI MATA
 
Non vedi altro che la tua ombra quando volgi le spalle al sole…….
 
Chi ora si attende un’avventura nel deserto, dovrà pazientare un momento perché prima di partire è necessario fare un salto li dove la fede vacilla, dove la nostra mente appare in tutta la sua limitata tolleranza.  Non si può partire nel deserto senza aver capito l’anima del terreno che si calpesta. Ogni luogo ha un’anima. Le montagne dell’Himalaya sono il tempio degli dei, sul Keilash ballano Shiva e Parvati ........
 
e noi andiamo a profanare questi luoghi sacri, paghiamo i lama che ci diano il permesso di salire su quei terreni sacri, ci facciamo accompagnare da guide e portatori che per pochi dollari si caricano sulle spalle 50 kg di viveri e attrezzature essenziali, dopo aver avuto il beneplacido dai sacerdoti, così da non profanare il terreno che calpesteranno salendo le cime. E saliamo portando la cultura superficiale della nostra società, dove si deve vincere a tutti i costi, dove anche gli dei si devono inchinare al nostro umano volere, distruggendo la sacralità e relegandola ai confini dell'universo....per ora.
 
Saliamo sulla vetta della “montagna delle nuvole” che dispensa vita all’Amboseli e allo Tzavo, genitrice del dio Nilo e sotto cui ogni giorno degli  “ingenui selvaggi” fanno riti che possano dispensare le gocce salvifiche che cadono dalle nubi condensate dai freddi ghiacci del Kibo. Calpestiamo, distruggiamo, deridiamo gli dei, i djinn, il dio di tutti i viventi, Shiva e Visnù, Hallah, che si sono rintanati sui monti, nei deserti, tra le foreste impenetrabili per fuggire l’uomo che tutto distrugge. Ora, prima di partire, mi dirigo in un luogo speciale, dove anche la mia mente aperta al sacro ed al trascendente dubita, ma mai irride, piuttosto invidia chi ha così profondamente penetrato nell’anima del cosmo.  La sera incipiente nel villaggio di Desnoke, l’aria calma dopo un acquazzone improvviso portato dal monsone….
 
il tempio di Karni Mata…la porta d’argento, una moltitudine di persone colorate, una musica lontana, il suono tenute di una campanella, le scarpe lasciate all’ingresso a significare che siamo mondati almeno nei piedi, se non nell’anima. Una storia antica aleggia sul tempio, nata dalla fantasia, dalla verità, dalla voce dei credenti, persa nel tempo della memoria, tramandata dalla voce dei fedeli. Una “storia” incredibile che noi trasportiamo semplicemente nella “favola” cosicchè non ci possa far paura.
 
 Una favola che diviene storia semplicemente perché oggi possiamo constatare la fine di quel racconto che si perde tra le nuvole dei monsoni, tra le sabbie del deserto, che vola nella brezza della sera, che rassicura il cuore dei fedeli dandogli la speranza della vita. Una speranza che vince sulla morte e che noi non abbiamo il diritto di dileggiare e di irridere. Una storia che nasce  mille anni fa quando in uno sperduto villaggio ai margini del Grande Deserto viveva una ragazza figlia di uno charan, un cantastorie. Karni Mata, così si chiamava la giovine, viveva una vita ascetica ed era considerata alla stregua di una santa.
 
Un giorno il Raj Bika si aggirava in quei luoghi in cerca di un posto ideale per costruire la sua città ( poi Bikaner). Karni Mata lo benedisse e gli predisse che avrebbe vinto i suoi nemici . Tutto ciò che aveva predetto si avverò e da quel giorno Karni Mata divenne la protettrice del re e fu identificata come la trasfigurazione della   dea Madre Durga, protettice dei poveri e dei derelitti. Ci fu in quel tempo una epidemia di peste che uccise migliaia di bambini. Un giorno Karni Mata chiese a Yama, il dio della morte,  di resuscitare un bimbo, ma egli le  rispose che non era possibile perché l’anima del  bimbo ormai era sfuggita al suo potere. Karni Mata si infuriò e ordinò che l’anima di ogni bimbo, alla sua morte, avrebbe dimorato nel corpo di un topo, in attesa della reincarnazione, privando così Yama di una  moltitudine di anime.
YAMA, DIO DELLA MORTE
 
Ci sono delle varianti sull’origine del culto dei topi, ma tutte convergono nella sacralità dei roditori. Da allora ogni topo del tempio non è altro che un bimbo morto prematuramente. Non ridete di questa che noi possiamo considerare una fandonia, un topo è solo un topo, porta malattie, puzza, fa ribrezzo. Qui ogni topo è l’anima di un bimbo, di un figlio, di un amico.
 
Qui l’anima è più importante del corpo. Ogni cosa ha un’anima, figuriamoci un topo. Ogni ratto che corre tra i fedeli non è uno schifoso mammifero mordace, è un figlio. Cosa fareste voi se vi fosse morto un figlio e sapete per certo che si è trasformato in un topo? Favole !!!Favole ?? Mettiamola così…Se il vostro amato figlio avesse perso un arto cosa fareste? Lo disconoscereste? NO!!! E se avesse perso tutti gli arti? NO!!!...   e se con una macchina cuore polmone che lo tiene in vita avesse perso anche il corpo?
 
Ebbene, la macchina cuore polmone che Karni Mata ha regalato agli uomini si chiama TOPO, una macchina che tiene in vita tuo figlio. E’ difficile da credere? Perché? E’ più facile credere che nostro figlio ci attende lassù, nel paradiso dei giusti? E’ più facile credere che qualcuno ci compensi delle ingiustizie subite in questa vita ? Perché, se è vero il nostro credo, non dovrebbe esserlo questo? Che al Dio manca forse la possibilità di realizzare tutto questo? Una campanella all’ingresso del tempio, suonata con un colpo di dita, annuncia alla Dea il nostro arrivo mentre una musica inonda il tempio.
 
Una musica ancestrale, una nenia struggente, un mantra ripetitivo che ipnotizza con la voce e con l’armonium, con il battito delle tablas che i sacerdoti ripetono all’infinito.
 
Topi in ogni dove, migliaia e migliaia ( si dice siano 25.000), fedeli genuflessi verso i roditori che mangiano in scodelle di latte, fedeli sdraiati a terra con i topi che scorrazzano sui corpi prostrati.
 
Un topo che passeggia sui tuoi piedi è indice di fortuna, avvistare il topo bianco porta felicità. Madri disperate qui leniscono il loro dolore, si ricongiungono ai loro figli, li coccolano, li carezzano, li attendono mentre essi giocano a rincorrersi.
 
 I topi non sono una rappresentazione ipotetica, sono la vera essenza dei loro cari. Gli Indù guardano all'essenza delle cose.
 
 Noi dobbiamo liberarci dei nostri pregiudizi, dobbiamo lasciare i nostri tabù fuori del tempio, insieme alle scarpe che non possono entrare.
 
Il latte che nutre i topi viene utilizzato per fare il dolce ( crudo, non cotto) che viene poi passato tra i fedeli. Il latte, viene bevuto direttamente dalle ciotole dove bevono i topi.
 
Se non ci liberiamo dei nostri tabù qui ci sono solo topi puzzolenti, portatori di mortali malattie che non attendono altro che una nostra distrazione per morderci con denti avvelenati....
 
 Se inavvertitamente dovessimo uccidere un topo, saremmo costretti a sostituirlo con un obolo d'oro dello stesso peso. Nei templi indu non solo si prega, ma si socializza ed i bambini giocano.
 
La rete in alto protegge i roditori dagli assalti dei piccioni e dei rapaci. Io ho mangiato il dolce del tempio e non sono morto, secondo l'aspettativa degli occidentali, anzi non ho avuto neppure mal di stomaco.
 
Noi dobbiamo smetterla di giudicare cose che non possiamo comprendere, dobbiamo solo accettarle e forse farne tesoro, magari adattandole alla nostra ristretta cultura. Il tempio è pochissimo frequentato da turisti perchè non è una meta per i tour operator. 
ILARIA FELICEMENTE MERAVIGLIATA......
Purtuttavia un italiano vicino a me commentava alla moglie :" non ho mai visto una cosa tanto stupida ", mentre la moglie, con un fazzoletto sul naso, lo incitava ad andare via il più presto possibile, (non comment...). 
 
Fedeli colorati dipingono un quadro fiabesco, mentre tutto è impregnato dello spirito di Durga, la Grande Dea Madre. I topi vanno a morire dietro l'altare, il Sancta Santorum, caratteristico di ogni tempio indu.
 
 Nell'angusto pertugio non c'è alcun odore sgradevole. Ho urtato un topo morto e si è polverizzato. Era praticamente liofilizzato (!!??).Noi occidentali, lontani anni luce dalla loro cultura, qui dentro dobbiamo essere "trasparenti", dobbiamo tenerci ben nascosta la nostra incapacità a comprendere.
 
 Un piccolo sforzo ci apre un'orizzonte sconfinato, un'universo infinito offuscato dalle nostre certezze... Del resto cosa facciamo noi sulle nostre tombe?
 
Solo che la nostra cultura ci fa credere che li dentro ci sia un corpo contenente ancora un’anima,  così come i fedeli di Karni Mata credono che il loro caro sia dentro un topo.
 
Se noi potessimo vedere l'essenza delle cose, forse potremmo essere migliori, solo che la nostra civiltà ci ha dato una vernice di esteriorità. Una vernice particolarmente resistente...
 
Quello che importa, credo, è che almeno nella nostra mente, questi viaggi possano farci insinuare il dubbio, una parola che ormai è scomparsa dalla nostra cultura, cancellata dalle certezze delle nostre paure.
L'EFFIGE DI KARNI MATA
 
Il Sancta Santorum, con la reliquia di Karni Mata, la grande Dea Madre, protettrice dei poveri e dei derelitti, madre di tutte le anime dei topi. Tutte fandonie?...
FEDELI AL SANCTA SANTORUM, SI VEDONO LE CAMPANELLE CHE ANNUNCIANO A TUA PRESENZA
 
Chi può dirlo..... Io mi appresto a partire, domani sarò nel deserto. Porto con me la benedizione di Brahma, sulla pelle la catarsi della fresca acqua del lago sacro di Puskar che ha depurato la mia anima.






 
I gerboa (topi) correranno tra le dune quando il sole sarà nascosto nelle sabbie. Saprò che non sono l’unico essere umano nello sterminato deserto. Sarò in compagnia dei topi…. mi siederò a guardarli saltellare leggeri, correre allegri nelle basse ondulazioni..........  mi faranno compagnia bimbi felici che saltelleranno leggeri e correranno allegri nelle basse ondulazioni , giocando a nascondino con i loro compagni.
 
    La mia anima mi ha insegnato a toccare ciò che non si è fatto carne; la mia anima mi ha rivelato che qualunque cosa tocchiamo è parte del nostro desiderio.


Ma oggi le mie dita si sono trasformate in nebbia e si diffondono nell'universo visibile e si confondono con l'invisibile
               

                                                                                                                                                   
 

giovedì 21 marzo 2013

IL GRANDE PIETRO MENNEA...UN BEL RICORDO


C’era una volta…tanti, tanti, tanti anni fa…( 1968 o prima ? )…..

 Io facevo parte della società Libertas di atletica leggera e gareggiavo nella specialità di salto in alto. Solo da qualche anno  mi ero dedicato all’atletica e spesso facevamo delle gare tra società e più raramente partecipavamo a incontri interregionali, che per noi, giovani neofiti, avevano una grande importanza. Un giorno ci fu un triangolare di atletica tra Abruzzo, Marche e Puglia. 
IN UNA GARA DI SALTO IN ALTO... STILE VENTRALE. (1970)
Se mi ricordo bene, ma non potrei giuralo, gareggiammo nello stadio di Pescara. L’incontro  procedeva bene per noi e quando si arrivò alla gara dei 100 m. la nostra felicità non potè più essere contenuta. Il nostro centometrista, sulla carta, era assolutamente il più forte. Conoscevamo bene il campione marchigano e sapevamo bene che non poteva assolutamente competere con il nostro rappresentante e la Puglia non aveva un bravo velocista. Il nostro atleta, inoltre, aveva un fisico che solo molti anni dopo divenne lo stereotipo caratteristico del velocista. Muscoli enormi, ( l’invidia da parte mia che avevo, ed ho ancora, gambe esilissime), torace possente, bicipiti da culturista. Eravamo categoria allievi, ma lui aveva già un fisico straordinario, come oggi può essere un velocista nero, e poi era veloce…tanto veloce….un vero fulmina. Non avrebbe avuto avversari e noi già pregustavamo la vittoria. Quando gli atleti furono dietro i blocchi per prepararsi alla partenza, la nostra aspettativa di vittoria divenne certezza. A fianco a lui c’era l’atleta delle Marche e, alla corsia laterale, uno scricciolo sconosciuto, ipotonico, gambe scheletriche, torace incavato, cifosi evidente, ginocchia sporgenti e ossute come le vacche indiane, deambulazione claudicante.
4X100......ANNO 1969
 
C’erano altri partecipanti che noi sapevamo bene essere li solo per riempire le corsie, quindi assolutamente fuori da ogni competizione.  Quasi quasi pensammo che fosse stato messo li per scherzare, per irridere gli avversari, che non sarebbe mai partito. Tra di me mi consolai pensando che ci fosse qualcuno, nello stadio, con le gambe meno muscolose delle mie. A quel tempo i saltatori in alto avevano uno stile  che si chiamava “ventrale” e questa tecnica presupponeva una certa dose di muscolatura agli arti inferiori. Confrontarmi  con avversari supermuscolosi mi metteva sempre una certa apprensione. Alla partenza quasi inciampò sulle sue gambe ( chiamiamole così per decenza). A 50 metri il nostro velocista aveva ormai un vantaggio incolmabile e noi ci rilassammo.  Ma a quel punto il piccoletto…”biafrano” cominciò a far rotolare le gambe.  Sembrava avere un motore accessorio. Il nostro campione sembrava correre in un sogno, come se la scena fosse stata proiettata al rallentatore, mentre il “moscerino” volò letteralmente verso il traguardo, lasciando di stucco tutto lo stadio che non si attendeva certo un finale così.  Rimanemmo stupiti come un atleta con quel fisico inesistente avesse potuto battere il nostro “mostro”, un Davide che atterrava un Golia invincibile. Alla premiazione udii il nome : PRIMO….. PIETRO MENNEA….e chi era costui?.....
PS: Due anni dopo sapevamo benissimo chi fosse….ed io non ebbi più timore di saltare mostrando le mie gambe filiformi.

martedì 19 marzo 2013

PRIMA DEL GRANDE DESERTO, IL LAGO SACRO DI PUSHKAR

La mia anima mi ha esortato
a non limitare lo spazio dicendo:

"Qui...la...lassù...laggiù.."

Prima che l'anima mia mi parlasse,
mi sembrava,
ovunque dirigessi i miei passi,
di allontanarmi da qualsiasi altro spazio.

Ora mi rendo conto
che ovunque io sia
son contenuti tutti i luoghi;
e la distanza che percorro
abbraccia tutte le distanze"

C’è un grande deserto fuori dei classici itinerari africani e medio orientali. E’ un deserto spietato, non ha nulla da invidiare come inabitabilità ai più conosciuti e temuti deserti.

 E’ il Grande Deserto di Thar. Si trova nel Rajastan, la zona tra l’India ed il Pakistan. Anche questo deserto andava visto, annusato, udito, percorso. Un bel di arriva il giorno della partenza. Ma il problema è che questa immane distesa di sabbia si trova in India….e l’India ha molte armi per sconfiggere il viaggiatore. Si parte  convinti delle nostre “convinzioni” , sicuri delle nostre “sicurezze” e poi…..
 
Il tragitto di avvicinamento al deserto meriterebbe un blog a parte e quindi salto tutto. Forse in futuro farò dei post sui numerosi ed interessanti argomenti. C’è talmente tanto da dire che l’animo si perde nella foresta impenetrabile nel mondo indiano.

Un mondo nuovo ed affascinante si para innanzi allo sprovveduto turista-viaggiatore. Un mondo che smarrisce, stupisce, fa vacillare le convinzioni, annulla le sicurezze, attira, ammalia.

La religione, il dio, i miti,  gli dei non stanno relegati nei templi, si respirano nelle strade, nelle vacche smagrite, tra le valli, i villaggi, i mercati stracolmi di genti fino all’inverosimile. Aleggiano dovunque si posi lo sguardo, traspaiono negli occhi della gente, nei sorrisi dei bimbi, nella zoppia dei mendicanti.

Il sacro ti penetra durante i tramonti, quando sei seduto sulle riva dei fiumi sacri dove si specchiano i templi e dove passano le ceneri dei defunti. Ti invade quando vicino a te bruciano i corpi mortali, mentre i vivi si bagnano nella stessa acqua purificatrice, acqua madre da cui tutto nasce  e a cui tutto ritorna.

 E ti senti parte del tutto, un unico corpo che si sposta verso i sacri templi di Shiva, che canta al suono delle tablas e dell’armonium il cui ritmo rimbomba tra le colonne. Un ritmo la cui frequenza si sovrappone a quella dei fiumi, dei monti, delle nubi, del tuo cuore.

Viaggio verso il deserto, incontro l’India, annuso l’odore del sacro,  del vento che già odora di sabbia rovente, al tramonto, sulle rive del sacro lago di Pushkar. Il lago è uno dei luoghi più sacri dell’India, sacro a Brahma. Il lago nacque quando Brahma uccise con il fiore di loto un demone.

 Dove caddero i petali sorsero tre laghi, il più importante dei quali è Pushkar. In ricordo della battaglia, Brahma compì un sacrificio durante la luna piena di kartik ( ottobre-novembre). La moglie Savitri non vi prese parte e Brahma prese un’altra moglie, una ragazza di etnia gujari.

Alla notizia, Savitri maledì Brahma dicendogli che sarebbe stato venerato solo a Pushkar. Ancora oggi Pushkar è l’unico luogo dove si venera Brahma. Non mi interessa descrivere il luogo, non mi ritengo una guida turistica,  basta andare su  http://en.wikipedia.org/wiki/Pushkar_Lake  (in inglese) per avere ogni dettagliata notizia e sulla rete si possono ammirare le foto di tutti i meravigliosi monumenti.

La cosa più facile è descrivere come descriverebbe  una guida turistica, molto più difficile è trasferire le sensazioni e le emozioni che  procura un luogo come questo.

 E’ pomeriggio inoltrato, il sole  muore dietro i monti Aravalli, il cielo imbronciato, il monsone che gonfia promette acqua a catinelle, come si addice ad ogni buon monsone. Il vento da ovest mi porta notizie del deserto, sento l’odore della sabbia umida. Salgo sulla terrazza dell’albergo.

Tra le torri degli Aravalli che si innalzano repentine, svetta una piramide e  sotto di essa mi informano che il Sacro Lago emerge dalla terra a guardia dell’anima degli uomini. La mia guida  è professore di storia italiana all’università di new Delhi e professore di storia e lingua indiana all’università di Venezia, una vera fortuna averlo incontrato. Parla correttamente molte lingue indiane ed è di religione induista.
MARCO LA MIA PREZIOSA GUIDA
Conosce tutto dell’India ed io mi sono attaccato a lui durante i tragitti di trasferimento. Mi ha portato a prendere coscienza della mentalità e della divinità induista. Solo con lui sono andato, durante la notte, a fare conoscenza dei templi, delle persone, delle menti, dei comportamenti degli induisti.

Prima di partire avevo studiato profondamente l’induismo, ma dal vero è come se vedessi un altro mondo, un altro cielo, un’altra anima rispetto a quella che avevo immaginato. Come si fa a non essere induisti?

 Risparmio il lettore della descrizione dell’induismo, ci vorrebbe questa ed un’altra vita, ma chi è interessato può informarsi sulla rete. Brahma è il creatore, ma non è il più importante della trimurti. Senza Shiva e Visnu la sua presenza non avrebbe senso, la Creazione a che servirebbe senza l’azione, senza la rigenerazione, senza la distruzione e la successiva rinascita?

Dalla terrazza non scorgo il Lago Sacro, ma la sua presenza nascosta mi attira, vorrei già essere sulla sua sponda. Devo cominciare il mio percorso da indu. Come uno scolaretto deve imparare per gradi, anch’io devo iniziare dalla Creazione. Il mio maestro è Brahama, il Creatore e il suo spirito è immerso nel Lago. Penso al deserto che mi attende, un deserto diverso rispetto a quelli che conosco.

Devo traversarlo da indu, non da europeo e devo fare presto…. La sera arriva subito e la stanchezza mortale del lungo viaggio prende il sopravvento. Ma il mattino arriva prima del previsto e  mi avvio immediatamente verso il lago, senza nessuno in strada che mi indirizzi senza farmi sbagliare. Solo mucche sonnolenti. Mi guardano con fare distaccato, oserei dire disgustato.

Ed ecco , improvvisamente, tra i templi chiusi e deserti, ai piedi di scalinate di marmo, eccolo, il Lago. Solo un sacerdote ( bramino) è intento a pregare e fare abluzioni sacre sulle sue meravigliose scalinate.

Un lago circolare, circondato da scalinate ( gat) e templi, centinaia di templi, centinaia di cappelle, centinaia di costruzioni sacre. Una piccola isola sorge nel mezzo ed un tempio adorna la sua immorale presenza tra le calme acque.

Ora non c’è nessuno, ma il giorno del Puskar Mela, la notte della luna piena di Kartik, nei templi e nel lago ci saranno milioni e milioni di fedeli che tutti insieme, una massa comune, si sposta verso il Lago e versi il rito. Qui non è previsto essere gnostici, bisogna credere, non necessariamente credere negli dei indu, ma è necessario credere in qualcosa e qualcuno, chiunque esso sia.

Questa necessità è dettata dall’obbligo di appartenere ad un popolo in cui tutti hanno  lo stesso modo di pensare, vivere, credere, salutare, sperare, interpretare la propria vita ed il proprio futuro. Nessuno ti emargina dall’appartenenza se non hai gli occhi scuri ed i magnifici capelli corvini, se non porti il saree, qui ti guardano dentro gli occhi ed è come se ti guardassero dentro l’anima e se nell’animo sei un indu loro lo capiscono e ti accolgono nel rito da cui nessuno può esimersi dal partecipare.

Mi siedo  sui gat ed attendo, attendo che lo spirito di Brahma si mostri alla mia coriacea ed ostinata mente. Pochi indu passeggiano sulle scalinate, il vento del monsone tace al primo mattino, il cielo plumbeo rispecchia nel lago donandogli un’aria misteriosa ed inquietante. Nelle sue acque si sono immersi miliardi di esseri umani che credevano nel grande Creatore, per essere mondati.

 Le sue acque sono diventate giocoforza sacre perché hanno assorbito miliardi e miliardi di speranze, hanno una forza incontrollabile perché ogni goccia è venuta a contatto con la sacralità esuberante degli uomini. Gli infiniti riti hanno trasmesso alle acque una forza immensa. Il Lago non è più una pozza d’acqua , è essa stessa la vita, la creazione, colei che attraverso il dio regola la legge del KARMA che controlla la vita di ogni essere vivente.

Ecco… questa legge cercavo, volevo comprenderla, tentare di sopravviverci. Il KARMA è la causa del destino di ognuno di noi, la legge della natura che assicura che diventeremo quello che le nostre azioni ci faranno diventare senza possibilità di evitarlo. Quello che noi facciamo nella vita presente determineranno il destino nelle vite successive e la coscienza non è altro che la memoria. Ecco questa cosa così semplice è impossibile da comprendere a casa nostra, ma qui è tangibile. Brahama regola i Karma, devo anch’io sottopormi al rito prima di partire, di camminare nel deserto, sulle sabbie di Brama.

 Un bramino si aggira sui gat in attesa che i primi fedeli  inizino i loro riti e  le preghiere del giorno. Devo approfittarne. MI avvicino ad uno di loro e tento di spiegarmi in ital-arab-indu-gesti -espressioni. Sono bravissimo nell’esperanto improvvisato.

In men che non si dica mi trovo seduto vicino alle acque con un vassoio di fiori in mano mentre il bramino mi invita a ripetere le sue preghiere in una lingua incomprensibile.

Poi getto i petali nel lago per ricordare i petali di Brahama mentre il sacerdote impone le sue mani su di me. Guardo le acque limacciose cariche di sacro.

Gli effluvi arrivano fino alla mia anima, penetrano dentro la mia mente già in attesa del dio liberatore dei Karma. Immergo i piedi nell’acqua, poi le gambe, la cintola, getto l’acqua sul capo mentre il bramino continua le sue preghiere liberatorie.

 Emergo mentre un raggio di sole riesce a filtrare tra le cupe nubi illuminando il lago che improvvisamente risuscita riflettendo la luce, la speranza.

 Riemergo dalle acque risalendo le scale dei sacri gat e mentre esco risorgo dal buio, mondato dai Karma che la vita mi aveva regalato, appesantendo la mia esistenza. 

Faccio il giro attorno al lago mentre il sole si alza e le persone cominciano il lavoro di tutti i giorni. I bambini giocano nuotando nella piscina.

Non posso resistere, ora sono puro, posso giocare nel lago con loro, mischiandomi tra le loro grida e le loro risa sicuramente rivolte verso la mia presenza. Nessun occidentale ha il coraggio di bagnarsi in quelle acque….

Esco con una certa difficoltà e fotografo tutte le piccole pesti. Sono seduto ad ammirare lo spettacolo dei gat sotto l’ombra degli alberi che attenua il caldo feroce del vicino deserto.

 Le fronde incorniciano il quadro in cui dapprima passa una mucca.....

 .....poi una bimba che sembra pregare al dio Creatore.

Ormai il piccolo centro si anima di colori.......
I primi mercanti espongono le multicolori merci nei loro banconi variopinti

 Le scimmie  saltellano tra i passanti e i tetti... 

Le mucche che scorrazzano imperterrite tra le macchine e gli uomini.

Io mi mescolo tra la folla, vago tra i vicoli turchesi,

 dove oziano donne sedute sui gradini delle case in compagnia delle mucche.

Sono le ultime immagini, ora devo partire, allontanarmi da questo sacro luogo dove ho regolato i miei Karma, mi servirà nel deserto. Saluto gli Aravalli...

Viaggio verso il vicino deserto. Gli alberi si piegano all'impietoso vento del Grande Deserto di Tahr....