Tornare nel Sinai…decine di
volte sono stato nel Sinai. Il luogo dove riposa la mia anima, che
ritempra il mio inconscio…li dove“….il signore dei fedeli tolse ogni
animale e cosa, finchè potesse riposare in pace”. Passarono due anni dal
terremoto e poi ebbi bisogno di tornare nel Sinai. Il mondo mi aveva distratto
dal Sinai, fui attratto da altri deserti, da altre lande, da altre
montagne. L’Africa nera, i deserti medio orientali, le lande magiche di Brama,
di Shiva e di Visnu… traversai altre sabbie, respirai altre albe, altre notti,
altre stelle, salii altri monti, mentre laggiù il Sinai attendeva il mio
ritorno.
Sapeva che sarei tornato da lui, che sarebbe giunto il momento in cui avrei avuto bisogno di lui…attendeva paziente. Quelle terre figlie dei terremoti, li dove si scontrano i continenti, li dove passa la ferita più grande e profonda della terra, quelle terre forse sapevano che un suo piccolo figlio sarebbe venuto a farci visita. E venne nel 2009, un piccolo terremoto confrontato a quelli del Sinai, distrusse la mia città e rubò tutto quello che avevo.
Migliaia e migliaia di persone fuggirono senza nulla addosso e senza
nulla rimasero. I più fortunati persero tutto, ma non i loro cari. E il
Sinai attendeva….Resistetti un anno, curando le mie ferite e tentando di curare
quelle degli altri…poi tornai da lui. Partii quando sentii di dover andare di
nuovo laggiù, quando ebbi la coscienza che nessun altro posto nel mondo mi
avrebbe consolato. Dovevo stare con me stesso e solo li sapevo che questo
sarebbe successo. Sapevo che solo quelle sabbie, quelle montagne, quelle
solitudini mi avrebbero consolato.
Forse questo cercava Mosè e nel Sinai lo trovò. Partii un giorno con la mia bicicletta, emozionato come un ragazzino al suo primo appuntamento, carico di attese, sicuro di rifornirmi di energie vivificanti, come tante e tante volte. Però erano passati alcuni anni, qualcosa nel Sinai era cambiato. Nel deserto le montagne, le rocce sono state distrutte dal tempo e si sono trasformate in sabbia. Nulla può essere più distrutto, tutto quindi ora era immutabile nella sua distruzione…
Questo credevo, invece il deserto era cambiato, o forse no…forse ero cambiato io. Forse però nulla era cambiato, tranne i miei occhi. Questi occhi avevano visto la morte, la distruzione, il dolore, la disperazione, le urla, non potevo credere di essere rimasto lo stesso. Il deserto era solo la materializzazione della mia anima, quindi doveva affrontare un terreno sconosciuto, lo stesso terreno che tentavo di lasciare nella mia terra, ma che mi tiravo inesorabilmente dietro.
Era appiccicato a me, lo portavo dietro come bagaglio a mano, chiuso dentro il mio amico zaino… che aprii appena sceso dall’aereo. Il vento torrido mi accolse all’apertura dello sportello dell’aereo, il caro vento torrido che asciuga le mie malandate ossa e che spaventa chi per la prima volta atterra dopo una permanenza di tre ore nella cabina climatizzata dell’aereo.
Ma è il vento amico che mi porta notizie del deserto, che mette in vibrazione l’aria a seconda dei luoghi da cui proviene. Assorbe il calore e l’odore delle lande che percorre e lo trasporta fino alle mie narici, ai miei occhi, alla mia mente. Tutto percepisco, tutto decodifico appena vengo a contatto con esso, mentre vicino a me alcuni turisti già si lamentano e si pentono della decisione presa di aver scelto per la vacanza questi luoghi alla fine di luglio.
MI pervade una sorta di frenesia, vorrei scendere e perdermi tra gli wadi mentre attendo che mi scendano la bicicletta dall’aereo. Sistemo tutto, è ancora pomeriggio, potrei andare e tornare a notte fonda, percorrere km e km, conosco tutto, non avrei problemi, ma scelgo di scendere alla scogliera ed immergermi nelle acque salmastre e popolate di una miriade di pesci multicolori.
Galleggio come un tappo con gli occhi rivolti al sole morente dietro i monti fiammeggianti, ho deciso così per prolungare il piacere dell’attesa. L’attesa è un piacere sottile che ti pervade in vista di ciò che avverrà quando tieni particolarmente a qualcosa. Nella tua mente si proietta il film dell’incontro, lo immagini così come vorresti che fosse, lo fai diventare realtà, tanto reale diventano questi pensieri, che modificano poi l’evento tanto che sarà giocoforza come la hai immaginato e creato. Ma attendo la notte, esco respirando l’aria che scorre dal deserto, sotto le stelle offuscate dalle luci del villaggio della Springtour. Nella notte preparo la bici, la carico di acqua…non dormo e quando il sole neppure ha iniziato ad illuminare il mio cammino, parto. Una decina di km su una strada asfaltata, poi ecco il villaggio di el Rouweisat, ormai enorme,
una accozzaglia di case stile popolari, strade ripiene di bottiglie vuote che il vento trasporta a piacimento, fumi di camion, rumori, sotto la cima del gebel Ruweisat el Nima.
Qui c’era un villaggio di tende, caprette scorrazzavano sul deserto, due acacie erano contese dai cammelli, i bimbi inseguivano le capre disobbedienti.
Poi furono sfrattati, bisognava
edificare alloggi per gli operai che
costruiscono case e per i nuovi residenti. Mi sono seduto, ho parlato con i
vecchi bedu muzeina. Sono stati sfrattati, hanno dato loro un
appartamento fornito di aria condizionata, una gabbia in cambio della loro
sacra terra, dove dimorano i djinn. Ma la notte non possono dormire tra le mura
tetre e si sdraiano poco lontano, nel deserto, sotto le stelle, a gruppetti,
come mucchi di stracci, come facevano una volta, come avevano fatto da tempi
immemori. Così li ho trovati, una notte, di ritorno da una traversata…mucchi di
stracci…una volta erano nobili…
Ormai il villaggio è talmente vasto che si permette una periferia. Una favelas di case fatiscenti, costruite alla rinfusa con mattoni cotti al sole, con i tetti in foglie di palma, oppure coperte da cartoni e bandoni metallici. Un impeto di rabbia, una stretta allo stomaco, mi allontano il più velocemente possibile da questo scempio urbano e sociale, da questa barbarie culturale. Pedalo veloce per fuggire, fuggo senza voltarmi…voglio respirare l’aria del deserto…
Tutto il territorio che
percorro mi è familiare fino all’inverosimile. Le piste che conosco sono state
cancellate dalle piogge che quest’anno devono essere state abbondanti. Sapeva che sarei tornato da lui, che sarebbe giunto il momento in cui avrei avuto bisogno di lui…attendeva paziente. Quelle terre figlie dei terremoti, li dove si scontrano i continenti, li dove passa la ferita più grande e profonda della terra, quelle terre forse sapevano che un suo piccolo figlio sarebbe venuto a farci visita. E venne nel 2009, un piccolo terremoto confrontato a quelli del Sinai, distrusse la mia città e rubò tutto quello che avevo.
casa mia...... |
Forse questo cercava Mosè e nel Sinai lo trovò. Partii un giorno con la mia bicicletta, emozionato come un ragazzino al suo primo appuntamento, carico di attese, sicuro di rifornirmi di energie vivificanti, come tante e tante volte. Però erano passati alcuni anni, qualcosa nel Sinai era cambiato. Nel deserto le montagne, le rocce sono state distrutte dal tempo e si sono trasformate in sabbia. Nulla può essere più distrutto, tutto quindi ora era immutabile nella sua distruzione…
Questo credevo, invece il deserto era cambiato, o forse no…forse ero cambiato io. Forse però nulla era cambiato, tranne i miei occhi. Questi occhi avevano visto la morte, la distruzione, il dolore, la disperazione, le urla, non potevo credere di essere rimasto lo stesso. Il deserto era solo la materializzazione della mia anima, quindi doveva affrontare un terreno sconosciuto, lo stesso terreno che tentavo di lasciare nella mia terra, ma che mi tiravo inesorabilmente dietro.
Era appiccicato a me, lo portavo dietro come bagaglio a mano, chiuso dentro il mio amico zaino… che aprii appena sceso dall’aereo. Il vento torrido mi accolse all’apertura dello sportello dell’aereo, il caro vento torrido che asciuga le mie malandate ossa e che spaventa chi per la prima volta atterra dopo una permanenza di tre ore nella cabina climatizzata dell’aereo.
Ma è il vento amico che mi porta notizie del deserto, che mette in vibrazione l’aria a seconda dei luoghi da cui proviene. Assorbe il calore e l’odore delle lande che percorre e lo trasporta fino alle mie narici, ai miei occhi, alla mia mente. Tutto percepisco, tutto decodifico appena vengo a contatto con esso, mentre vicino a me alcuni turisti già si lamentano e si pentono della decisione presa di aver scelto per la vacanza questi luoghi alla fine di luglio.
MI pervade una sorta di frenesia, vorrei scendere e perdermi tra gli wadi mentre attendo che mi scendano la bicicletta dall’aereo. Sistemo tutto, è ancora pomeriggio, potrei andare e tornare a notte fonda, percorrere km e km, conosco tutto, non avrei problemi, ma scelgo di scendere alla scogliera ed immergermi nelle acque salmastre e popolate di una miriade di pesci multicolori.
Galleggio come un tappo con gli occhi rivolti al sole morente dietro i monti fiammeggianti, ho deciso così per prolungare il piacere dell’attesa. L’attesa è un piacere sottile che ti pervade in vista di ciò che avverrà quando tieni particolarmente a qualcosa. Nella tua mente si proietta il film dell’incontro, lo immagini così come vorresti che fosse, lo fai diventare realtà, tanto reale diventano questi pensieri, che modificano poi l’evento tanto che sarà giocoforza come la hai immaginato e creato. Ma attendo la notte, esco respirando l’aria che scorre dal deserto, sotto le stelle offuscate dalle luci del villaggio della Springtour. Nella notte preparo la bici, la carico di acqua…non dormo e quando il sole neppure ha iniziato ad illuminare il mio cammino, parto. Una decina di km su una strada asfaltata, poi ecco il villaggio di el Rouweisat, ormai enorme,
una accozzaglia di case stile popolari, strade ripiene di bottiglie vuote che il vento trasporta a piacimento, fumi di camion, rumori, sotto la cima del gebel Ruweisat el Nima.
Qui c’era un villaggio di tende, caprette scorrazzavano sul deserto, due acacie erano contese dai cammelli, i bimbi inseguivano le capre disobbedienti.
Il villaggio come era..... |
Ormai il villaggio è talmente vasto che si permette una periferia. Una favelas di case fatiscenti, costruite alla rinfusa con mattoni cotti al sole, con i tetti in foglie di palma, oppure coperte da cartoni e bandoni metallici. Un impeto di rabbia, una stretta allo stomaco, mi allontano il più velocemente possibile da questo scempio urbano e sociale, da questa barbarie culturale. Pedalo veloce per fuggire, fuggo senza voltarmi…voglio respirare l’aria del deserto…
Sul
terreno si vedono le tracce che le meteore hanno lasciato, scavando i rivoli
che sono rimasti come pennellate in un quadro ad olio. Ma quello che più è
evidente è la bassa vegetazione che non avevo mai visto in queste zone nello
stesso periodo.
Incontro jeep cariche di beduini che vanno ad un villaggio mobile, evidentemente posizionato nell’interno del wadi Sahara, lo segue un cane, cosa molto rara.
Continuo il mio cammino ma quello che mi distrae è un rumore sordo, una specie di tuono, un rullo di tamburi. Una nuvola grigia avanza velocemente verso di me e nasconde l’orrendo rumore. Ora il convoglio procede in una zona brecciosa dello wadi, la polvere svanisce e tutto appare.
Sono quad, le motociclette a 4 ruote. Non era mai successo che si fossero spinte fin quaggiù, generalmente non superavano le montagne del gebel Wa’ir. Ma qualcosa deve aver dato il coraggio a questi mostri meccanici che tutto distruggono, inquinano. Le loro urla ingoiano il silenzio immacolato degli wadi, allontanano i folletti del deserto, iDjinn che per millenni e millenni erano stati i padroni incontrastati del deserto.
Ora non sentivo più la loro presenza, il deserto era veramente …”deserto” nel suo significato più crudo. “desere”...abbandonare. Devo andare più all’interno per tentare di trovare il mio deserto che ora forse si è rintanato li dove l’orrida civiltà non potrà mai arrivare.
Pedalo…pedalo...supero montagne, scendo valichi mentre il sole certo non rallenta il suo cammino. Il caldo tenta di fermarmi, ma non mi faccio intimidire. Ormai so dove può arrivare, ma principalmente so dove posso arrivare io, quale è la mia resistenza, anche se è qualche anno che sto lontano dal mio rifugio psicologico, dalla mia valle verde dove riposava la mia anima.
Un’ultimo valico, spingendo la bici con le forze ormai ridotte al lumicino e scendo in uno wadi. Di lontano una montagna ha dei canaloni bianchi, sembrano canaloni in cui è rimasta l’ultima neve. Nella valle alcuni alberi sono fioriti come mandorli di questa strana primavera. Vado a vedere, ma man mano che avanzo mi rendo della realtà. Ecco gli alberi fioriti.
Sono fioriti di buste di plastica che il vento trasporta dalla costa e che vengono catturate dalle spine delle acacie. Una sorta di orrendo e fetido albero di natale. Alcune buste già sono strappate, altre sono ancora sono intatte, altre più recenti emanano odori nauseabondi ancorpiù amplificati dall’aria pura del deserto. Tutte però sbattono contro i rami oscillando al perenne vento del deserto. Le spine le tagliano, le sbriciolano, le distruggono pian piano e il vento porta via i pezzi più grandi come foglie morte e i pezzi più piccoli come polline mortale.
Mi copro la bocca con la kefiah per non respirare questo polline che porta con se quello che più odio e mi allontano verso i canaloni innevati, ma anche questa volta il cuore mi si ferma con un tonfo. Non è biancore immacolato della neve, sono le bottiglie di plastica dell’acqua che rotolando e volando si sono accumulate nei canaloni e riflettono i raggi del sole in un albedo mortale. L’angoscia mi pervade, vorrei fuggire come tentò di farlo il dott. Jonathan Harker dal castello di Dracula .
Mi sento prigioniero di una gabbia invisibile, ma insuperabile. Sono come un piccolo animale preda di una fiera che ha marcato il proprio territorio e che dovunque fugge, sente l’odore della cacciatrice e non osa passare. La civiltà distruttrice ha marcato il territorio e io sento dove ha depositato i fetidi ferormoni e non riesco a superare questi territori.
Poi mi faccio forza, e trattenendo il respiro e chiudendo gli occhi, valico un passo….La notte incalza, non voglio stendermi su questo terreno immondo, non riuscirei a dormire controllato da questi guardiani orrifici, senza la compagnia dei folletti, delle fiabe. Mi avvio al ritorno, ma ormai è notte e la notte nasconde gli orribili scenari che devo ripassare.
La notte è mia amica e nasconde la nausea, mi da coraggio come lo ha fatto tante volte. Il cielo è tappezzato delle mie consolatrici stelle. Lo Scorpione già alto nel cielo, mi scorta fino alle luci del villaggio che ora sono visibili km e km rispetto a quanto lo erano solo qualche anno fa. Spengo la lampada della bici quando ancora mancano una ventina di km, l’inquinamento luminoso è sufficiente ad illuminare il mio cammino con la luce spettrale delle lampade al mercurio. Non riesco a dormire nel comodo letto della mia stanza climatizzata.
La mia mente visualizza il vecchio deserto, puro, appena usciti dal villaggio, i cammelli con il loro incedere ondeggiante appena fuori delle ultime case e queste a poche centinaia di metri dalla costa. Ho l’ansia di chi crede di aver perso la sua amata, ma che si attacca alla speranza che essa non lo abbia abbandonato, ma che la sua assenza sia solo un momentaneo silenzio di cui però non si spiega la ragione.
Allora bisogna di nuovo andare laggiù, forse la fata e la magia hanno solo spostato il loro regno, per fuggire la civiltà, ma in cuor mio ho la paura che ormai anche quaggiù non troverò la mia fata, dopo averla persa anche a monte Calvo ed averla cercata inutilmente per tanti anni. http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/03/ci-sono-luoghi-sulla-terra-che-la.html Ognuno di noi ha bisogno della sua fata che popoli il regno della sua fantasia e dei suoi sogni, ma nessuno se ne rende più conto perché le sue necessità sono totalmente soddisfatte dagli smartfones, dalle automobili, dalla voce ingannevole della strega della nostra realtà, una strega malefica che si trasforma facilmente nella nostra fata, ingannandoci.
Io la cercavo nel deserto, nel mondo che vivo la fata non esiste, per quanto possa averla cercata, credendo di poterla trovare. Questo è il mondo magico dove mi rifugio spesso, ma dove nessuno è mai venuto con me ormai da tanti anni ed io farò bene ad abbandonare la ricerca. Allora senza il mio mondo onirico, mi sarà più facile accettare un deserto popolato da moto quad, da buste di plastica che abbelliscono gli alberi di acacia, dai rumori assordanti, ma che per tutti non sono altro che musica soave. Allora potrei accettare i canaloni riempiti di bottiglie ed anzi, questo simbolo del nostro mondo, potrebbe consolarmi perché mi farebbe sempre compagnia. Ancora è notte, ma parto dopo poche ore di riposo. Parto da solo, senza la mia fata, senza la mia principessa del magico mondo che mi affanno inutilmente a creare, affrontando da solo un deserto che ormai è diventato un mostro chimerico. Certo, centinaia e centinaia di km nell’interno nulla è cambiato. Ma io viaggio con i piedi e la bici, spingendola faticosamente sulla sabbia e la breccia. Il mio “areale” (il territorio di competenza di un animale) è limitato….ed ora sta scomparendo. Salgo in uno wadi qualunque, cosa importa il nome, quando albeggia. Non so perché la gambe mi portano verso un posto che non conosco, ma non mi interessa sapere dove sto andando, non ho la coscienza del mio cammino, cosa importa? Valico una bassa catena di monti, scendo altri wadi, li supero, li seguo per evitare altre montagne. Mi siedo sotto un monte bellissimo per riposare sotto il sole impietoso, ma le rocce ustionano e mi permettono solo di fare una fotografia. Non voglio avere volontà, mi lascio trasportare dal deserto, ma questa volta non ho la compagnia delle fiabe, dei folletti, non mi guidano questi esseri magici, mi guida solo la mia mente che è sola con se stessa, senza la sua fata. Salgo un’ultimo wadi quando mi accorgo di essere arrivato alla diga di sassi che sbarra la valle che sfocia al wadi Madsus, li dove costruii la tomba di Filippo. http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/11/lultima-traversata-insieme-filippo.html Mi affaccio al wadi, guardo, ma non oso proseguire, forse lo farei se avessi la mia fata con me, se mi accompagnasse la mia principessa, se credessi ancora nelle fiabe del deserto. Filippo è in ogni posto dello Wadi, non è sepolto sotto la piramide di sassi, non serve ritrovarlo. Torno a sud ovest e scendo in altri wadi, altre strade, altri monti, con la gola stretta. Salgo su una sella difficile e non so se al di la la via possa essere percorribile. MI affaccio e vedo lontano il mare, la via è aperta. Scendo per km in uno wadi stretto, dapprima angusto e chiuso tra anguste pareti. Poi si allarga in una piana perfetta, ma mi sento a disagio. So per certo che queste sensazioni significano sempre qualcosa e sto all’erta, torno nella realtà, abbandono l’idea di essere in compagnia della mia principessa che non esiste, e mai esisterà, di cui non visualizzo il volto, eppure mi fa compagnia. Cammino spingendo la bici su un terreno inconsistente e decido di passare sul bordo in cerca di un terreno più solido, anche se più roccioso. Incontro alcuni razzi, proiettili, bombe, da cui mi tengo diligentemente alla larga. Le rocce rendono difficoltoso il mio cammino e mi costringono a tornare nello wadi. Ormai sto quasi allo sbocco dello wadi , vedo da lontano un reticolato che sbarra il cammino. Alcuni cartelli sono rivolti verso la costa. “campo minato”…
“ Attenzione Mine”. Ho camminato per ore su un campo minato. Non mi faccio impressionare, ormai sto fuori, è inutile preoccuparsi e poi credo che siano mine controcarro che esplodono solo con grossi pesi...FORSE ! .
Un’ombra improvvisa nel sole morente della
sera avanza velocissima verso di me.Incontro jeep cariche di beduini che vanno ad un villaggio mobile, evidentemente posizionato nell’interno del wadi Sahara, lo segue un cane, cosa molto rara.
Continuo il mio cammino ma quello che mi distrae è un rumore sordo, una specie di tuono, un rullo di tamburi. Una nuvola grigia avanza velocemente verso di me e nasconde l’orrendo rumore. Ora il convoglio procede in una zona brecciosa dello wadi, la polvere svanisce e tutto appare.
Sono quad, le motociclette a 4 ruote. Non era mai successo che si fossero spinte fin quaggiù, generalmente non superavano le montagne del gebel Wa’ir. Ma qualcosa deve aver dato il coraggio a questi mostri meccanici che tutto distruggono, inquinano. Le loro urla ingoiano il silenzio immacolato degli wadi, allontanano i folletti del deserto, iDjinn che per millenni e millenni erano stati i padroni incontrastati del deserto.
Ora non sentivo più la loro presenza, il deserto era veramente …”deserto” nel suo significato più crudo. “desere”...abbandonare. Devo andare più all’interno per tentare di trovare il mio deserto che ora forse si è rintanato li dove l’orrida civiltà non potrà mai arrivare.
Pedalo…pedalo...supero montagne, scendo valichi mentre il sole certo non rallenta il suo cammino. Il caldo tenta di fermarmi, ma non mi faccio intimidire. Ormai so dove può arrivare, ma principalmente so dove posso arrivare io, quale è la mia resistenza, anche se è qualche anno che sto lontano dal mio rifugio psicologico, dalla mia valle verde dove riposava la mia anima.
Un’ultimo valico, spingendo la bici con le forze ormai ridotte al lumicino e scendo in uno wadi. Di lontano una montagna ha dei canaloni bianchi, sembrano canaloni in cui è rimasta l’ultima neve. Nella valle alcuni alberi sono fioriti come mandorli di questa strana primavera. Vado a vedere, ma man mano che avanzo mi rendo della realtà. Ecco gli alberi fioriti.
Sono fioriti di buste di plastica che il vento trasporta dalla costa e che vengono catturate dalle spine delle acacie. Una sorta di orrendo e fetido albero di natale. Alcune buste già sono strappate, altre sono ancora sono intatte, altre più recenti emanano odori nauseabondi ancorpiù amplificati dall’aria pura del deserto. Tutte però sbattono contro i rami oscillando al perenne vento del deserto. Le spine le tagliano, le sbriciolano, le distruggono pian piano e il vento porta via i pezzi più grandi come foglie morte e i pezzi più piccoli come polline mortale.
Mi copro la bocca con la kefiah per non respirare questo polline che porta con se quello che più odio e mi allontano verso i canaloni innevati, ma anche questa volta il cuore mi si ferma con un tonfo. Non è biancore immacolato della neve, sono le bottiglie di plastica dell’acqua che rotolando e volando si sono accumulate nei canaloni e riflettono i raggi del sole in un albedo mortale. L’angoscia mi pervade, vorrei fuggire come tentò di farlo il dott. Jonathan Harker dal castello di Dracula .
Mi sento prigioniero di una gabbia invisibile, ma insuperabile. Sono come un piccolo animale preda di una fiera che ha marcato il proprio territorio e che dovunque fugge, sente l’odore della cacciatrice e non osa passare. La civiltà distruttrice ha marcato il territorio e io sento dove ha depositato i fetidi ferormoni e non riesco a superare questi territori.
Poi mi faccio forza, e trattenendo il respiro e chiudendo gli occhi, valico un passo….La notte incalza, non voglio stendermi su questo terreno immondo, non riuscirei a dormire controllato da questi guardiani orrifici, senza la compagnia dei folletti, delle fiabe. Mi avvio al ritorno, ma ormai è notte e la notte nasconde gli orribili scenari che devo ripassare.
La notte è mia amica e nasconde la nausea, mi da coraggio come lo ha fatto tante volte. Il cielo è tappezzato delle mie consolatrici stelle. Lo Scorpione già alto nel cielo, mi scorta fino alle luci del villaggio che ora sono visibili km e km rispetto a quanto lo erano solo qualche anno fa. Spengo la lampada della bici quando ancora mancano una ventina di km, l’inquinamento luminoso è sufficiente ad illuminare il mio cammino con la luce spettrale delle lampade al mercurio. Non riesco a dormire nel comodo letto della mia stanza climatizzata.
La mia mente visualizza il vecchio deserto, puro, appena usciti dal villaggio, i cammelli con il loro incedere ondeggiante appena fuori delle ultime case e queste a poche centinaia di metri dalla costa. Ho l’ansia di chi crede di aver perso la sua amata, ma che si attacca alla speranza che essa non lo abbia abbandonato, ma che la sua assenza sia solo un momentaneo silenzio di cui però non si spiega la ragione.
Allora bisogna di nuovo andare laggiù, forse la fata e la magia hanno solo spostato il loro regno, per fuggire la civiltà, ma in cuor mio ho la paura che ormai anche quaggiù non troverò la mia fata, dopo averla persa anche a monte Calvo ed averla cercata inutilmente per tanti anni. http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/03/ci-sono-luoghi-sulla-terra-che-la.html Ognuno di noi ha bisogno della sua fata che popoli il regno della sua fantasia e dei suoi sogni, ma nessuno se ne rende più conto perché le sue necessità sono totalmente soddisfatte dagli smartfones, dalle automobili, dalla voce ingannevole della strega della nostra realtà, una strega malefica che si trasforma facilmente nella nostra fata, ingannandoci.
Io la cercavo nel deserto, nel mondo che vivo la fata non esiste, per quanto possa averla cercata, credendo di poterla trovare. Questo è il mondo magico dove mi rifugio spesso, ma dove nessuno è mai venuto con me ormai da tanti anni ed io farò bene ad abbandonare la ricerca. Allora senza il mio mondo onirico, mi sarà più facile accettare un deserto popolato da moto quad, da buste di plastica che abbelliscono gli alberi di acacia, dai rumori assordanti, ma che per tutti non sono altro che musica soave. Allora potrei accettare i canaloni riempiti di bottiglie ed anzi, questo simbolo del nostro mondo, potrebbe consolarmi perché mi farebbe sempre compagnia. Ancora è notte, ma parto dopo poche ore di riposo. Parto da solo, senza la mia fata, senza la mia principessa del magico mondo che mi affanno inutilmente a creare, affrontando da solo un deserto che ormai è diventato un mostro chimerico. Certo, centinaia e centinaia di km nell’interno nulla è cambiato. Ma io viaggio con i piedi e la bici, spingendola faticosamente sulla sabbia e la breccia. Il mio “areale” (il territorio di competenza di un animale) è limitato….ed ora sta scomparendo. Salgo in uno wadi qualunque, cosa importa il nome, quando albeggia. Non so perché la gambe mi portano verso un posto che non conosco, ma non mi interessa sapere dove sto andando, non ho la coscienza del mio cammino, cosa importa? Valico una bassa catena di monti, scendo altri wadi, li supero, li seguo per evitare altre montagne. Mi siedo sotto un monte bellissimo per riposare sotto il sole impietoso, ma le rocce ustionano e mi permettono solo di fare una fotografia. Non voglio avere volontà, mi lascio trasportare dal deserto, ma questa volta non ho la compagnia delle fiabe, dei folletti, non mi guidano questi esseri magici, mi guida solo la mia mente che è sola con se stessa, senza la sua fata. Salgo un’ultimo wadi quando mi accorgo di essere arrivato alla diga di sassi che sbarra la valle che sfocia al wadi Madsus, li dove costruii la tomba di Filippo. http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/11/lultima-traversata-insieme-filippo.html Mi affaccio al wadi, guardo, ma non oso proseguire, forse lo farei se avessi la mia fata con me, se mi accompagnasse la mia principessa, se credessi ancora nelle fiabe del deserto. Filippo è in ogni posto dello Wadi, non è sepolto sotto la piramide di sassi, non serve ritrovarlo. Torno a sud ovest e scendo in altri wadi, altre strade, altri monti, con la gola stretta. Salgo su una sella difficile e non so se al di la la via possa essere percorribile. MI affaccio e vedo lontano il mare, la via è aperta. Scendo per km in uno wadi stretto, dapprima angusto e chiuso tra anguste pareti. Poi si allarga in una piana perfetta, ma mi sento a disagio. So per certo che queste sensazioni significano sempre qualcosa e sto all’erta, torno nella realtà, abbandono l’idea di essere in compagnia della mia principessa che non esiste, e mai esisterà, di cui non visualizzo il volto, eppure mi fa compagnia. Cammino spingendo la bici su un terreno inconsistente e decido di passare sul bordo in cerca di un terreno più solido, anche se più roccioso. Incontro alcuni razzi, proiettili, bombe, da cui mi tengo diligentemente alla larga. Le rocce rendono difficoltoso il mio cammino e mi costringono a tornare nello wadi. Ormai sto quasi allo sbocco dello wadi , vedo da lontano un reticolato che sbarra il cammino. Alcuni cartelli sono rivolti verso la costa. “campo minato”…
“ Attenzione Mine”. Ho camminato per ore su un campo minato. Non mi faccio impressionare, ormai sto fuori, è inutile preoccuparsi e poi credo che siano mine controcarro che esplodono solo con grossi pesi...FORSE ! .
E un solifugo, l’enorme ragno delle sabbie, Non è velenoso
ma un morso inferto dalle sue enormi chele può risultare molto doloroso. Si
ciba di insetti, ma anche di topi ed uccelli, viste le sue proporzioni. E’
molto territoriale ed attacca chiunque invada il suo territorio con una
rapidità impressionante (16 km/h). Ed ora sta attaccando me. Un ragno grande
quanto il palmo della mia mano, chele minacciose alzate al cielo sta arrivando
ai miei piedi e non ha alcuna intenzione di fermarsi.
Dopo aver tentato di convincerlo con le buone maniere, gli sferro un calcio che evidentemente ottiene il suo effetto, visto che si allontana mestamente, sconfitto.
Dopo aver tentato di convincerlo con le buone maniere, gli sferro un calcio che evidentemente ottiene il suo effetto, visto che si allontana mestamente, sconfitto.
Ormai
vedo la costa e scendo veloce con la bici, un’ultima valle…li si che devo
superare la vere mine, quelle più rischiose. Un’accumulo infinito di immondizia
nauseabonda mi sbarra il cammino.
Arde lentamente emanando fetida diossina. Non so dove andare, tutto è sbarrato. Trovo una strada aperta tra le immondizie e mi ci ficco. Passo con la kefhia sul naso mentre gli occhi mi bruciano per il fumo acre. Ecco, il mio magico mondo è scomparso, sto quaggiù nella realtà fetida, la fiaba si è dissolta, la mia principessa mi ha abbandonato, il nulla avanza e tutto distrugge. Quaggiù vivevo un istante magico, ora non so se potrò ricostruirlo a casa mia, come facevo da fanciullo, salendo su monte Calvo in compagnia della mia principessa. Il problema è che la ricerca della Principessa è irta di pericoli, le streghe hanno tutto l'interesse a distruggere la fiaba, la poesia, è una battaglia di sopravvivenza. Il magico mondo delle fiabe, quello dove vivono i bimbi, non si addice alle streghe, che sanno prendere le fattezze di chiunque tanto da confondersi con Fate e Principesse.
E per di più le loro arti ammaliatrici sono irresistibili.....Loro vogliono distruggere l'animo umano, la poesia, le emozioni, le fiabe, i tramonti e le albe che fanno battere il cuore, lo stormire delle foglie, il cinguettio degli uccelli, il volo delle poiane. A loro non interessa il fragile fiore del deserto che cerca anch'esso un cuore che lo faccia sopravvivere. http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/04/il-fiore-ed-il-deserto.html . Ma non dobbiamo rinunciare alla ricerca. Io dovrò tentare, ne ho bisogno….solo colui che vive il magico mondo delle fiabe, della poesia, salverà la natura, gli altri neppure sanno di vivere nel mondo delle Streghe ....“ Come era verde la mia valle”….
PS. Le strade asfaltate
sono state delimitate da un muro di cemento invalicabile alle automobili con
solo alcuni punti di accesso.Arde lentamente emanando fetida diossina. Non so dove andare, tutto è sbarrato. Trovo una strada aperta tra le immondizie e mi ci ficco. Passo con la kefhia sul naso mentre gli occhi mi bruciano per il fumo acre. Ecco, il mio magico mondo è scomparso, sto quaggiù nella realtà fetida, la fiaba si è dissolta, la mia principessa mi ha abbandonato, il nulla avanza e tutto distrugge. Quaggiù vivevo un istante magico, ora non so se potrò ricostruirlo a casa mia, come facevo da fanciullo, salendo su monte Calvo in compagnia della mia principessa. Il problema è che la ricerca della Principessa è irta di pericoli, le streghe hanno tutto l'interesse a distruggere la fiaba, la poesia, è una battaglia di sopravvivenza. Il magico mondo delle fiabe, quello dove vivono i bimbi, non si addice alle streghe, che sanno prendere le fattezze di chiunque tanto da confondersi con Fate e Principesse.
E per di più le loro arti ammaliatrici sono irresistibili.....Loro vogliono distruggere l'animo umano, la poesia, le emozioni, le fiabe, i tramonti e le albe che fanno battere il cuore, lo stormire delle foglie, il cinguettio degli uccelli, il volo delle poiane. A loro non interessa il fragile fiore del deserto che cerca anch'esso un cuore che lo faccia sopravvivere. http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/04/il-fiore-ed-il-deserto.html . Ma non dobbiamo rinunciare alla ricerca. Io dovrò tentare, ne ho bisogno….solo colui che vive il magico mondo delle fiabe, della poesia, salverà la natura, gli altri neppure sanno di vivere nel mondo delle Streghe ....“ Come era verde la mia valle”….
Questo ha permesso di limitare l’invasione del deserto a chiunque si trovi a passare, ma non ha certamente impedito ai venti di traportare l’immondizia della civiltà . Una sola consolazione. Il deserto sarà ancora li quando l’uomo sarà scomparso e tutto tornerà pulito. Il deserto tutto distrugge, il suo alleato invincibile è il tempo immutabile.
Allora tornerà ad essere il luogo dove “…il Signore dei fedeli possa riposare in pace”, il luogo delle fiabe, dei folletti, delle fate e delle bellissime principesse…