L’inizio della mia “carriera” sciistica è
descritto nel blog quindi vi risparmio.
http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/03/full-ski.html
Comunque nel tempo la difficoltà delle discese aumentava in maniera proporzionale alla mia sicurezza, vera o presunta. Ormai ogni canalone per me era una pista di discesa, ma quello che più mi attraevano erano le creste aeree. Io ho sempre avuto una attrattiva incontrollata per il vuoto, per la vertigine. Mi piaceva dondolarmi appeso alla corda con l’abisso sotto i piedi, mi sembrava di volare.
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Comunque nel tempo la difficoltà delle discese aumentava in maniera proporzionale alla mia sicurezza, vera o presunta. Ormai ogni canalone per me era una pista di discesa, ma quello che più mi attraevano erano le creste aeree. Io ho sempre avuto una attrattiva incontrollata per il vuoto, per la vertigine. Mi piaceva dondolarmi appeso alla corda con l’abisso sotto i piedi, mi sembrava di volare.
La zona del Piccolo
che guarda il rifugio Franchetti era il mio terreno preferito. In ogni modo,
per quello che riguarda lo sci, ogni parte di terreno in cui potesse posarsi la
neve, era il mio terreno di gioco. Da tempo avevo puntato un itinerario, dovevo
solo attendere le condizioni adatte e un giorno esse si avverarono.
L’itinerario era la discesa in verticale dalla cima di pizzo Cefalone. Avevo
studiato un itinerario che mi sembrava fattibile anche se in alcuni punti,
sotto il secondo salto di rocce, l’itinerario doveva giocoforza spostarsi dalla
linea verticale. Questo non mi preoccupava perché mi piaceva scoprire sul
momento dove potessi passare. Avevo un paio di sci con anima interna di legno,
quattro lamine affilate come un rasoio, scarponi da sci particolarmente tecnici
( chi lo ricorda..i TNT arancioni…mitici).
Già, io per scendere su quei
terreni,non utilizzavo sci da scialpinismo, ma degli sci molto rigidi da
discesa ( slalom speciale), con attacchi bloccati in modo che non potessero
sganciarsi inavvertitamente. Su condizioni difficili era l’attrezzatura più
sicura. Quel giorno però feci un errore. Dato che faceva molto freddo, indossai
un paio di pantaloni di tessuto sintetico, non lisci, ma purtuttavia più
scivolosi di un tessuto naturale. Al mattino salii con la funivia insieme ai
miei amici che si fermarono sulle piste e dopo alcune discese di riscaldamento,
più per attendere il momento giusto che per sgranchire i muscoli, partii. Le
creste di Portella erano molto affilate e mi divertii un mondo. In un
battibaleno arrivai alla cima. Era una giornata magnifica ed attesi però più di
un’ora per permettere al sole di ammorbidire la neve. Era quasi mezzogiorno
quando il sole illuminò direttamente il mio percorso. Tolsi i ramponi e strinsi
gli attacchi. Controllai con minuzia i lacci dello zaino, gli occhiali, che la
piccozza fosse saldamente agganciata, mi misi sul punto in cui il sentiero
estivo sbocca alla cima, feci un profondo respiro e partii. Mi piacevano i
secondi che precedevano queste partenze. In questo caso però già dalle prime
curve il pendio è molto ripido e quindi bisognava fare estrema attenzione
perché i muscoli e la testa ancora non erano “rodate” e quindi uno sbaglio
poteva sempre avvenire. La mia tecnica era molto “saltata” e del resto su
quelle pendenze non poteva certo
attendersi una curva “condotta”. Il salto permetteva di perdere poca quota e di
controllare perfettamente gli sci che così non prendevano velocità. Io ero
maestro in questa tecnica che peraltro avevo affinato scendendo sui brecciai e
sulla falasca, in estate.
Purtroppo questa tecnica non era quanto di meglio sulle piste, dove sfrecciavano i tecnicisti dello sci, ma a me poco interessava, mi prendevo la rivincita quando il pendio iniziava ad impennare. Dalla cima il canalino era ben evidente, la neve magnifica e scendevo con tranquillità fino ad arrivare a livello della cresta. Li in estate ci sono prati ripidi e quindi non feci altro che seguire un itinerario a “goccia d’acqua”. Sapevo che sotto di me c’era il primo fascione di rocce e che un canalino lo solcava, ma io dovevo scendere in un itinerario il più possibile verticale. In realtà trovai un canalino appena accennato, forse formato dal vento, come un semitubo. Dovetti scendere in derapata, piano piano, non avevo spazio neppure per una curva saltata, ma poi si allargò e potetti dare sfogo alla tensione accumulata durante questo tratto. Saltavo in aria ed atterravo con sicurezza fermando gli sci senza un solo piccolo indugio.
Purtroppo questa tecnica non era quanto di meglio sulle piste, dove sfrecciavano i tecnicisti dello sci, ma a me poco interessava, mi prendevo la rivincita quando il pendio iniziava ad impennare. Dalla cima il canalino era ben evidente, la neve magnifica e scendevo con tranquillità fino ad arrivare a livello della cresta. Li in estate ci sono prati ripidi e quindi non feci altro che seguire un itinerario a “goccia d’acqua”. Sapevo che sotto di me c’era il primo fascione di rocce e che un canalino lo solcava, ma io dovevo scendere in un itinerario il più possibile verticale. In realtà trovai un canalino appena accennato, forse formato dal vento, come un semitubo. Dovetti scendere in derapata, piano piano, non avevo spazio neppure per una curva saltata, ma poi si allargò e potetti dare sfogo alla tensione accumulata durante questo tratto. Saltavo in aria ed atterravo con sicurezza fermando gli sci senza un solo piccolo indugio.
Credo che la
pendenza nel tratto più ripido arrivi attorno ai 50 gradi, se non di più. Ora
dovevo affrontare il secondo fascione di rocce e la cosa mi metteva una certa
apprensione per via delle difficoltà che sembrava avere. In alto le rocce sono
molto ripide, ma non verticali. Poi, ma mano che la parete scende, diventa sempre
più verticale fino a divenire strapiombante tanto che sotto di esse, alla fine,
ci sono antichi rifugi di pastori ed anche un eremo pochissimo conosciuto.
Queste rocce sono appunto il tetto di tali rifugi. Il pendio, già ripido,
finiva su questo immane salto che non sembrava avere, almeno dall’alto una
benchè minima possibilità di discesa. MI fermai sull’orlo del precipizio, mi
guardai attorno e decisi di andare a vedere verso la mia sinistra, li dove
sembrava ci fosse la possibilità di passare. Iniziai a procedere diagonalmente
e sentivo le lamine mordere la neve e questo mi dava una immensa sensazione di
sicurezza.
Man mano che avanzavo, il pendio diventava sempre più ripido… Poi tutto successe senza che neppure avessi la sensazione di aver fatto un errore. Il pendio era talmente ripido che lo scarpone urtò la neve con il suo lato e mi fece perdere l’attrito delle lamine. Un istante dopo scivolavo di fianco su un ripidissimo pendio che finiva sulle rocce del fascione…. Un salto di almeno 30 metri ( per avere un’idea, un palazzo di più di 10 piani) che io però non conoscevo se non per averlo visto da sotto con il binocolo. Ero stato spesso lassù in estate, mi allenavo di corsa su questo versante, ma li non si poteva salire quindi non lo avevo mai considerato… ed ora precipitavo verso di esso. Il solo pensiero di potermi fermare era ingenuo. Tentare di fermarmi mettendo di traverso le lamine era impossibile ed addirittura pericoloso, perché mi avrebbe potuto far ruotare e farmi perdere totalmente il controllo. Vedevo l’orlo avvicinarsi inesorabilmente . Avevo commesso l’imperdonabile errore di non scendere con la piccozza in mano, la quale mi avrebbe permesso di bloccarmi immediatamente. Ma ormai era fatta e già immaginavo il mio corpo dilaniato dalle rocce. E li agii d’istinto, non pensai nulla, non avrei avuto tempo di farlo, tutto successe in pochi istanti. Ormai ero perso, tanto valeva assecondare il destino. Non potevo fare altro, riuscii a mettere gli sci sotto di me e poco prima di precipitare, ero sugli sci e acceleravo verso il vuoto, come uno sciatore su un trampolino gigantesco in una gara di salto con la morte.
Man mano che avanzavo, il pendio diventava sempre più ripido… Poi tutto successe senza che neppure avessi la sensazione di aver fatto un errore. Il pendio era talmente ripido che lo scarpone urtò la neve con il suo lato e mi fece perdere l’attrito delle lamine. Un istante dopo scivolavo di fianco su un ripidissimo pendio che finiva sulle rocce del fascione…. Un salto di almeno 30 metri ( per avere un’idea, un palazzo di più di 10 piani) che io però non conoscevo se non per averlo visto da sotto con il binocolo. Ero stato spesso lassù in estate, mi allenavo di corsa su questo versante, ma li non si poteva salire quindi non lo avevo mai considerato… ed ora precipitavo verso di esso. Il solo pensiero di potermi fermare era ingenuo. Tentare di fermarmi mettendo di traverso le lamine era impossibile ed addirittura pericoloso, perché mi avrebbe potuto far ruotare e farmi perdere totalmente il controllo. Vedevo l’orlo avvicinarsi inesorabilmente . Avevo commesso l’imperdonabile errore di non scendere con la piccozza in mano, la quale mi avrebbe permesso di bloccarmi immediatamente. Ma ormai era fatta e già immaginavo il mio corpo dilaniato dalle rocce. E li agii d’istinto, non pensai nulla, non avrei avuto tempo di farlo, tutto successe in pochi istanti. Ormai ero perso, tanto valeva assecondare il destino. Non potevo fare altro, riuscii a mettere gli sci sotto di me e poco prima di precipitare, ero sugli sci e acceleravo verso il vuoto, come uno sciatore su un trampolino gigantesco in una gara di salto con la morte.
Non so, non ricordo, di aver fatto alcun ragionamento, ma mi ritrovai in
aria che volavo verso il vuoto…. Si verso il vuoto, lontano dalle rocce che li
non erano perfettamente verticali. Si dice che in questi casi la vita passata
ti scorre davanti come un lampo…non è vero, io ero totalmente assorbito a non
perdere l’assetto in volo. Poi la mia traiettoria finì la sua spinta e vidi le
rocce avvicinarsi. Le urtai, ma non sentii alcun dolore, mi parve così strano.
Urtai ancora ed udii un rumore sinistro… forse erano le mie ossa…. Un’ultima
roccia, poi di nuovo il vuoto. Ero perfettamente cosciente che stavo superando
lo strapiombo, ormai attendevo solo l’impatto che avvenne un instante dopo.
Un impatto… no..non ci fu impatto perché la neve era accumulata in decine di metri e la pendenza era molto accentuata. Piuttosto ci fu un “atterraggio morbido”. Neppure me ne resi conto, oppure la mia mente ha cancellato quell’istante, così come cancella i dolori più acuti. Infine mi fermai. Non avevo il coraggio di muovermi perché avevo paura di accorgermi di essere fratturato e peggio, paralizzato. Passò un tempo imprecisato, poi iniziai a connettere. Non sentivo dolore, ma questo poteva essere un segno molto negativo. Mandai impulsi agli arti inferiori che reagirono prontamente ed allora mi tranquillizzai ed ebbi il coraggio di procedere oltre all’esame delle mie condizioni fisiche. Avevo ancora gli sci ai piedi, intatti. Un senso di pace si impossessò di me. Forse pagavo l’adrenalina che avevo appena prodotta in maniera abnorme. MI guardai i piedi, avevo gli scarponi aperti. Si erano rotti. Poi sentii freddo alla gamba, con una sensazione di bagnato. Sul momento pensai che fosse sangue e guardai. I pantaloni mi si erano aperti totalmente con un taglio netto che correva lungo tutto il pantalone e..udite udite, anche gli slip si erano rotti. E tutto questo senza neppure un taglio alla pelle. Annodai gli slip, con un cordino “ricucii” il pantalone alla “bellemeglio” e mi avviai verso la villetta a piedi. I miei amici che lavoravo alle funivie appena mi videro in quelle condizioni, mi rifocillarono. Evenio ed Ubaldo mi fornirono di un bel nastro americano con cui riparai i pantaloni per non essere troppo scandaloso. Il giorno dopo avevo un piccolo dolore alla cervicale…. Quegli sci rimasero ai miei piedi per altri anni. Ormai erano diventati vecchi, nuove tipologie di sci erano ai piedi dei miei amici “pistaioli”. Venivo spesso deriso, ma a me non interessava nulla… non si tradisce un amico “per la pelle”. Un giorno scendevo con alcuni amici nella facile vallefredda. Ero quasi arrivato, ma la stagione ormai era avanzata ed alcune rocce spuntavano dal terreno. Impattai inavvertitamente su una di esse e uno sci si divise in due. Nessuno capì il mio dispiacere, anzi tutti ridevano della mia avversione ad acquistare delle “spade” più consone. Nessuno capì…. Spesso nessuno capisce…solo pochi…. E’ stata una “prima”? A me non interessa, ma sicuramente è stata una prima...“mezza prima con salto”,sfido chiunque ad averla ripetuta !!
Un impatto… no..non ci fu impatto perché la neve era accumulata in decine di metri e la pendenza era molto accentuata. Piuttosto ci fu un “atterraggio morbido”. Neppure me ne resi conto, oppure la mia mente ha cancellato quell’istante, così come cancella i dolori più acuti. Infine mi fermai. Non avevo il coraggio di muovermi perché avevo paura di accorgermi di essere fratturato e peggio, paralizzato. Passò un tempo imprecisato, poi iniziai a connettere. Non sentivo dolore, ma questo poteva essere un segno molto negativo. Mandai impulsi agli arti inferiori che reagirono prontamente ed allora mi tranquillizzai ed ebbi il coraggio di procedere oltre all’esame delle mie condizioni fisiche. Avevo ancora gli sci ai piedi, intatti. Un senso di pace si impossessò di me. Forse pagavo l’adrenalina che avevo appena prodotta in maniera abnorme. MI guardai i piedi, avevo gli scarponi aperti. Si erano rotti. Poi sentii freddo alla gamba, con una sensazione di bagnato. Sul momento pensai che fosse sangue e guardai. I pantaloni mi si erano aperti totalmente con un taglio netto che correva lungo tutto il pantalone e..udite udite, anche gli slip si erano rotti. E tutto questo senza neppure un taglio alla pelle. Annodai gli slip, con un cordino “ricucii” il pantalone alla “bellemeglio” e mi avviai verso la villetta a piedi. I miei amici che lavoravo alle funivie appena mi videro in quelle condizioni, mi rifocillarono. Evenio ed Ubaldo mi fornirono di un bel nastro americano con cui riparai i pantaloni per non essere troppo scandaloso. Il giorno dopo avevo un piccolo dolore alla cervicale…. Quegli sci rimasero ai miei piedi per altri anni. Ormai erano diventati vecchi, nuove tipologie di sci erano ai piedi dei miei amici “pistaioli”. Venivo spesso deriso, ma a me non interessava nulla… non si tradisce un amico “per la pelle”. Un giorno scendevo con alcuni amici nella facile vallefredda. Ero quasi arrivato, ma la stagione ormai era avanzata ed alcune rocce spuntavano dal terreno. Impattai inavvertitamente su una di esse e uno sci si divise in due. Nessuno capì il mio dispiacere, anzi tutti ridevano della mia avversione ad acquistare delle “spade” più consone. Nessuno capì…. Spesso nessuno capisce…solo pochi…. E’ stata una “prima”? A me non interessa, ma sicuramente è stata una prima...“mezza prima con salto”,sfido chiunque ad averla ripetuta !!
http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/03/full-ski.html
della valanga di S.Pietro
http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/03/la-valanga-del-6-febbraio-1983.html
e della tragica esperienza con i miei amici
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e molte altre volte ho dovuto accorrere a disseppellire degli sfortunati alpinisti ( o sconsiderati?), ma in due altre occasioni ho avuti personalmente a che fare con loro
In una bella giornata di sole del 1973 partii con Pasqualino
a fare la traversata alta con gli sci. A quel tempo, nessuno aveva la macchina
e quindi la traversata significava andare e tornare sempre a piedi. Ma questo
certamente non era un problema per due ragazzi il cui peso complessivo non
superava i 100 Kg…
Pasqualino era esile, alto, fortissimo in barba al suo
aspetto. Lo iniziai all’arrampicata insieme a Robertino Mancini. Ambedue ben
presto superarono tecnicamente il “maestro” e Pasqualino oggi fa la guida alpina
a tempo pieno con residenza a Firenze, ma di fatto vive tra Courmayeur e
Chamonix.
Sono due persone stupende e molti li conosceranno. Non sto a
raccontarvi la salita alla direttissima, la discesa sul ghiacciaio, la morena,
la spettacolare discesa con gli sci sotto il monolito e l’arrivo alla
madonnina. A quel punto decidemmo di tornare e quindi di risalire per la stessa
via fatta. Ci fermammo alla sella dei due corni più per ammirare il panorama
che per riposare. Non ci serviva certo il riposo per una salitina di quella
fatta….
Ci avviammo all’incirca seguendo il
tragitto che d’estate fa il sentiero, cioè proprio al di sotto del roccione che
delimita a dx ( scendendo) la via normale.
Tutto successe in un attimo, come sempre in questi casi. Il
tempo sembra annullarsi, il concetto del suo scorrere viene alterato, almeno
nella mia mente. Mi sembra che tutto si dilati, si allunghi come un elastico,
come un sogno in cui tutto rallenta….una moviola che mi permette di pensare e
di agire, di fare ogni considerazione, di attendere che la mia mente valuti
ogni mossa ed attenda il risultato di essa. Poi mi sveglio e mi accorgo che è
passata solo una frazione di secondo, che tutto ancora è rimasto come prima, o
almeno che il tempo ancora non ha avuto modo di incidere sulla realtà. Un
fruscio, uno stormire di foglie, un rumore sordo e piacevole come lo scorrere
dell’acqua di un ruscello. Una valanga mi stava travolgendo. Dire valanga è
dare un’impressione di eccessiva drammaticità ad un semplice smottamento, come
sarebbe meglio appellarlo. Valutai tutto in un istante, in un battibaleno mi
resi conto che la zone di distacco era vicinissima a me e che al di sopra le
rocce erano scoperte e non aveva un serbatoio da cui attingere altra forza e
altro materiale. Come spesso mi succedeva, il tempo mi rallentava attorno e mi
dava la possibilità di fare tutte le valutazioni necessarie. Non ero in una
posizione pericolosa, sotto di me la neve non avrebbe avuto la possibilità di
prendere energia dalla forza di gravità. Il tipo di neve aveva molti attriti
interni. Il primo istinto fu di gettarmi verso la massima pendenza con gli sci
e poi di tirarmi lateralmente fuori dal percorso della valanga. Poi decisi di
rimanere fermo e di attendere gli eventi.
La sola cosa che dovevo fare era di liberarmi della piccozza
e dello zaino. Gettai tutto lontano da me e tolsi dai polsi i lacci dai
bastoncini per non dare la possibilità alla neve di avere appigli sulla mia
persona.
Più o meno in questo punto..incredibile?
Sotto i miei sci la neve scorreva e si accumulava lentamente,
sommergendoli. Io rimasi in piedi, tutto senza alcun problema. La valanga mi
trascinò verso valle per circa 10 metri mentre le mie gambe sprofondavano
nell’interno del manto come se fossi nelle sabbie mobili, nonostante la
presenza degli sci. Tutto si risolse in pochi secondi. Tutto si fermò ed io
sentii la morsa della neve che si pressava sulle mie gambe. Mi sommerse fino al
ginocchio e si fermò con una forza incredibile. Ci mettemmo a ridere e ne
avevamo ben ragione…. Immaginate quanto fu poi la sorpresa quando tentai di
liberami da quella prigione. Ero
imprigionato con gli scarponi fissati sugli sci ed una sorta di cemento a
rapida presa mi bloccava saldamente nel terreno. Tentai di scavare con le mani
ma non ci riuscii. La neve, fermandosi si era solidificata. Lo strato più a
monte aveva pressato quello più a valle e tutto era diventato un muro che
nessuna mano avrebbe potuto scalfire. La mia piccozza giaceva sulla neve ad una
decina di metri da me e non sarei mai riuscito a raggiungerla. Se fossi stato
solo sarebbe stato un problema perché io non sarei stato in grado di liberarmi.
Era ormai pomeriggio inoltrato e la temperatura era in forte discesa. Avrei
passata la notte così imprigionato con conseguenze poco prevedibili. Arrivò subito
Pasqualino che mi riconsegnò la mia piccozza e mi aiutò a liberami. Non
successe nulla, nessun problema, solo
una minuscola quantità di neve ancora una volta mi aveva avvertito di non
giocare con il destino. Mi aveva fatto vedere quanto fosse la sua potenza,
quanto noi siamo fragili, piccoli, deboli, quanto ci è preclusa ogni piccola
confidenza con la forza della natura. Pian piano queste esperienze si stavano
accumulando dentro di me e sempre più mi spingevano verso un rispetto
sconfinato per la montagna, un rispetto che più tardi, con le altre più
sconvolgenti esperienze che ho raccontato, mi avrebbero spinto a tentare di
comprendere le forze naturali a considerarle non come comportamenti
“assassini”, ma come condizioni senza le quali non avrebbe nessun senso la
montagna, il mare, i deserti, le grotte… Solo che noi dobbiamo udirle,
comprenderle, seguire i suoi avvertimenti che sempre la natura ci offre…solo
che noi siamo sordi…
Un grammo di fortuna vale più di una libbra d’oro.
(Proverbio Yiddish)
Quest’altro episodio spero possa farvi capire quanto il confine tra la vita e
la morte, alcune volte, sia flebile e legato assolutamente al caso. Io quindi,
dopo essere uscito dal CNSA, feci parte del soccorso della protezione civile e facevo servizio sulle piste e fuoripista
a campo imperatore. Io non scendevo mai
sulle piste, limitandomi a scendere in zone non battute, ma sempre attorno agli
impianti, per accorrere ad ogni emergenza.
Per scendere dalle fontari ed andare alla scindarella, prima della
attuale seggiovia, si scendeva tagliando sotto il pendio dell’Uccelluccio. Io
salivo sulla sua cima con una scivolata
veloce dal primo pezzo delle fontari a poi scendevo direttamente alla partenza
della sciovia della scindarella. Il pendio è bellissimo, un gran paginone
bianco. In epoca pre snow board i fuoripista erano pochissimo frequentati. Un
giorno come un altro mi preparai a scendere come tante e tante volte. La neve
era magnifica, ma a me piaceva qualunque tipo di neve ed anzi avevo la
preferenza per la “pappa” che tutti rifuggono. Feci le prime curve, e poi mi
avviai con curve strette ed arrivai al centro del pendio.
Stavo benissimo, ma
improvvisamente ebbi la sensazione di avere
una vertigine, una sensazione fugace di instabilità. Passò una frazione
di secondo e lo sbandamento aumentò, la vertigine mi procurava l’incapacità di
reggermi in piedi. Pensai di fermarmi per riprendere l’equilibrio, ma poi
improvvisamente capii. Ora mi sembra che tutto ciò che racconto sia successo in
un tempo misurabile, ma in realtà reagii in frazioni di attimo. La mia
vertigine non era dovuta ad un problema oggettivo, era il terreno che si
muoveva sotto di me. Il mio cervello si aspettava una certa reazione dal mio
corpo, ma il terreno non era fermo e quindi la vertigine era dovuta alla
disparità di reazione tra l’occhio e i canali semicircolari. Immediatamente
realizzai che mi trovavo su una valanga in movimento. Non mi stava precipitando
addosso, era un lastrone enorme che si era staccato e stava scorrendo su uno
strato più duro. Non dovevo fermarmi, anzi, dovevo prendere la massima pendenza
e tentare di uscire da quella trappola in movimento. Mentre tutta la tavola
scendeva, mi gettai a uovo sulla massima pendenza sperando di andare più veloce
del lastrone. Improvvisamente tutto attorno a me si fissurò, si disgregò ed
aumento la sua velocità.
Ma io ormai ero velocissimo e nonostante che tutto
scendesse, in realtà io ero più veloce e la mia velocità relativa mi permetteva
di galleggiare e di sciare come se tutto fosse fermo. La fine della discesa si
avvicinò velocemente e quando mi resi conto di essere su terreno stabile, cioè
davanti la valanga, mi diressi verso la pista da sci a dx e risalii grazie alla
mia velocità. Mi fermai e vidi la valanga perdere velocità e arrestarsi molto prima
della pista. Anche questa volta era andata bene. Non avevo mai valutato che
quel pendio potesse essere pericoloso. Solo quando la neve si accumulava a
causa dei venti da ovest, ero attento ad una eventuale caduta della cornice, ma
quel giorno la neve era poca, non c’erano accumuli e la situazione appariva “
TRANQUILLISSIMA” ( Eh??). Più tardi però, parlando con Renato Velletri che
aveva assistito al fattaccio, mi disse che proprio nello stesso punto, nel 1942
erano morte quattro persone sotto la valanga. Una era una guida alpina di
cortina, Ignazio Dibona, compagno di Comici, che dall’anno prima era il direttore
degli impianti, e tre clienti. La
valanga li aveva sepolti senza scampo.
http://ramecrodes.blogspot.it/2011/11/ricordo-della-guida-alpina-ignazio.html Io reagii d’istinto, non ricordo di aver pensato, non ricordo di aver ordinato al mio corpo di fare ciò che feci, tutto si mosse come un software autonomo. Chi aveva visto il tutto forse si mise più paura di me…io non ne avevo avuto il tempo. |