Innaji, sprona il tuo cammello
In nome di colei cui forgiasti un anello!
... Come per te e' meravigliosa la tua donna,
lei che Dio creo' perfetta tra le donne,
non somigliano alle altre le sue mani,
i suoi piedi, l'aspetto del volto,
la forma dei fianchi,
i suoi occhi truccati con cura
su cui scendono, mio Dio, sopracciglia
di un nero profondo,
il suo naso ben modellato che ferisce il cuore
come l'erba nel fuoco.
Il seno risplende sul busto e illumina il collo,
come piume di struzzo i capelli ricoprono il capo,
sulle spalle ricadono gli amuleti confusi,
se guardi i suoi fianchi, la follia ti rapisce,
le anche racchiudono un florido ventre,
le cosce son quelle di ben nutrita puledra,
lunghe e robuste le gambe,
ben alti i suoi glutei,
ondeggianti quand'ella cammina...
(canto Tuareg)
(Il quadro è opera della pittrice Sara Chiaranzelli http://www.sarachiaranzelli.com/ )
(Il quadro è opera della pittrice Sara Chiaranzelli http://www.sarachiaranzelli.com/ )
Questa è la storia di un uomo che cercava un fiore ed un fiore che cercava un cuore.
E’ la storia di un viaggio, il viaggio più difficile che ognuno di noi intraprende nella sua vita, un viaggio lungo, spesso lungo quanto tutta la vita, periglioso, pieno di incognite e di delusioni….il viaggio alla ricerca di qualcuno da amare e che ricambi il nostro amore……
Tanti, tanti anni fa, quando ancora non conoscevo il deserto, durante una delle mie escursioni nelle desolate lande del Sinai, improvvisamente mi giunse un soffio di vento, aveva un sapore diverso, sembrava fresco. Intuii un profumo, poi scomparve. Annusai l’aria come un orso, sollevato sulla punte dei piedi, con il naso all’insù, le narici dilatate. Tentai di seguirlo, studiai la direzione della brezza e mi diressi contro vento, volevo scoprire cos’èra! Per alcuni istanti il profumo aumentò, poi scomparve di nuovo, infine tutta l’aria si riempì di aroma. Sapeva di menta e di incenso, una menta incensata o un incenso mentato.
Sembrava che tutta la valle fosse stata trattata con uno spray profumato. L’essenza di menta donava all’aria un’aura di freschezza indicibile, l’incenso gli permetteva di essere persistente e penetrante. Cercai di scoprire l’origine di tanta meraviglia, ma non trovai nulla, se non la desolazione infernale del luogo. Poi in un avvallamento del terreno scorsi delle minuscole piantine, alte pochi cm, simili alle nostre stelle alpine, ma prive di fiori. Erano foglioline minuscole, pelose, grasse. Mi avvicinai, partiva tutto da li. L’esile prato si estendeva , con rade piantine, per circa 100 mq. Il profumo era fortissimo, entrava nelle narici, negli occhi, sembrava entrare anche nelle orecchie, quasi fosse un suono soave, era magnifico! Zittii tutti i miei principi e li relegai nella zona più profonda e meno raggiungibile della mia coscienza e colsi alcune piantine.
(La valle circolare dove trovai i ravael)
Come una reliquia le riposi nel mio marsupio con cura meticolosa, cercando di non farle male. Sperai che conservassero nel tempo un po di questo profumo. Le avrei fatte annusare alle persone a me care per cercare di condividere con loro un po di queste emozioni, ma sapevo già che non avrebbero capito. Per capire bisognava essere li, lontano da tutti, li dove esiste solo il vento, l’aria, il sole, la luce, gli spazi aperti, dove potevi essere veramente libero da ogni elemento superfluo che condizionava la vita a casa nostra.
Poi per tanti anni non trovai più le odorose piantine. Ad un pastore chiesi il nome delle piantine, mi disse che si chiamavano RAVAEL e che venivano mangiate dalle capre nei pochi giorni della loro fioritura. Ma non ne trovai più fino al giorno in cui………
…….ieri, tornando, ho notato che sul terreno apparivano degli stecchi. Mi fermo e cerco attorno a me uno stecco che avesse ancora qualche residuo di quelle che dovevano essere delle foglie. Lo porto al naso ed aspiro. Riconosco l’odore dei ravael..
(Oggi questo pozzo è scomparso......come tante altre cose)
Oggi andrò nella zona dei pascoli alti per vedere se posso trovare qualche piantina di ravael che ancora porti attaccate delle foglie con l’aroma che tanto amo. Devo trovarne almeno una, devo portarla a qualcuno e farne aspirare l’odore. Chissà se il suo odore non riesca a rivelare un cuore che possa in futuro seguire il mio nelle peregrinazioni senza senso. Ecco perché devo trovarlo, ma credo che la ricerca sia praticamente irrealizzabile. I ravael fioriscono tra maggio ed i primi di giugno. Tutti vengono mangiati dalle capre, gli altri appassiscono e muoiono. Le foglie rimaste vengono rapidamente bruciate dal deserto e scompaiono tra le sabbie. Rimangono solo dei fragili stecchi, i cadaveri dei ravael. Ora ho una missione da compiere, trovare un ravael odoroso, ma è una missione disperata.
(L'alba.....la partenza)
Mi avvio fiducioso al mattino presto, in una giornata tersa e calda. Il vento, mio unico compagno, mi accompagna spingendomi verso il deserto, ma presto cambia opinione e decide di contrastare il mio cammino. Sono abituato a questi cambiamenti d’umore e non mi lascio scoraggiare, malgrado la fatica che si preannuncia terribile.
Devo salire in quota, negli altipiani dove il sole potrebbe aver risparmiato qualche piantina. Li l’umidità notturna, seppure bassissima, potrebbe aver tenuto in vita per qualche tempo una misera piantina, la quale comunque dovrebbe anche essere stata risparmiata dalle bocche fameliche delle capre che si contendono i fiori gialli e le fresche e saporite foglioline delle giovani ravael.
Salire nelle valli con la bici in spalla è quasi un suicidio, ma la fatica potrebbe valere la pena per una speciale piantina. E’ importante che la trovi. Conosco il suo odore. Bisogna che la porti in Italia e la faccia aspirare, devo sapere quali emozioni possa provocare il suo aroma a chi non conosce il deserto, se mai a qualcuno possa provocare anche una semplice emozione. Per me ora è una sorta di scarpetta di Cenerentola. Chi si emozionasse sarebbe per me una regina, anche se travestita da Cenerentola. Per me questa piantina è preziosa più del diamante.Più del diamante perché chiunque si emozionerebbe alla vista di un diamante. Ma “chiunque” non mi interessa. E’ ora la mia unica ragione del mio vagare nel deserto. Sulla bici c’è tanta acqua, che però ha appesantito il mio mezzo con un carico difficile da gestire. Non so quanto dovrò vagare, potrei trovarla subito o anche domani, magari non la troverò…. Mi dirigo verso ovest e presto lascio il terreno conosciuto con alla mia sinistra la valle delle microonde.
Risalgo una valle stretta e malagevole con ciottoli incoerenti e neri, roventi come un cuore bruciato dall’amore.
Il caldo infernale mi fa consumare più acqua del preventivato. Qui non c’è traccia di vegetazione. Del resto i ravael crescono negli wadi e negli altipiani, comunque su terreno breccioso e sabbioso e qui è inutile cercare, ma devo attraversare questa valle se voglio arrivare nella zona degli altipiani. Anche il wadi Madsus poteva essere un posto buono, ma ieri ho visto che non c’era alcuna traccia delle adorate ed agognate piantine.
Forse è meglio tornare indietro e cercare in un posto più adatto alla presenza umana. Qui servirebbero due ali, non basterebbero due cuori. Forse potrebbero essere sufficienti quattro gambe, ma se le gambe fossero di un fennec o di un’addax. Io non ho neppure due gambe, me ne sono rimaste si e no un po più di una…E sicuramente non ho neppure un cuore intero. E poi oggi vedo un deserto vero, non quello che ho immaginato per anni. La mia fantasia ed i miei sogni non bastano più a dipingere un quadro inesistente, sono solo un uomo, non ho più sogni, ne fantasia, ne poesia e non posso attraversare questo luogo. Mi sforzo di proseguire, ma tutto mi dice di tornare indietro. Tanto a che serve? Nessuno apprezzerà il suo profumo, e poi non so neppure se la troverò.
Il sole del mattino arriva al culmine che sto ancora salendo e spingendo la bici contro la mia stessa volontà di non proseguire. Come sono stupido, per quale ragione devo salire sugli altipiani? Almeno non fossi solo. Ma non lo sono!! Ormai sono anni che me lo ripeto, ma ora non ci credo più. Il deserto non può più ammaliare ed offuscare la mente, quando la realtà è troppo evidente. Forse può dipingere come un acquerello su un foglio immacolato, ma non può coprire un disegno già stampato, riuscirebbe solo a confondere un po i contorni già sbiaditi. Finalmente la malagevole salita accenna a finire, ecco il valico.
Ora lo wadi torna in lieve salita, però posso pedalare, il terreno permette alle ruote di non affondare e sono scomparsi i tetri ciottoli. Non vedo alcuna bellezza, il vento non scandisce le parole amate, taglia solo le labbra con il suo coltello affilato e rovente, le pareti ai miei lati sono solo ammassi informi di pietre nere incombenti che aspettano solo il momento opportuno per precipitare a valle con un eco sinistro. Che ci sto a fare qui? Che ci sto a fare nel deserto? Perché non sono a monte Calvo con la mia fata? Cosa cerco quaggiù che non posso avere sui miei monti? La risposta non la voglio sapere, ma la so. Nei miei monti non posso avere più nulla ed allora cerco un’illusione lontano da tutti, un’illusione che nessuno può smentire, perché non c’è nessuno. Ma ora è successo qualcosa, quest’anno un’altra realtà ha preso personalità.
Nessuno, Nessuno, Nessuno…..Quello che mi proteggeva, che mi permetteva di far sopravvivere i miei sogni ora è un’entità viva, non più astratta. Nessuno…Nessuno..ora parla e mi dice che Nessuno può sentirmi, che Nessuno può venire con me. Nessuno distrugge le mie fantasie, Nessuno distrugge i miei sogni. Perché sono quassù? Anche se colgo la piantina, che senso ha? Perché dovrei portarla in Italia? Il suo profumo si perderà prima di arrivare.
Le tetri pareti mi sovrastano, incombono sul mio animo, pesano sulla mia mente, il caldo è insopportabile. Grido, urlo per scaricare la mia rabbia, la mia debolezza, la mia inettitudine. Non so cosa urlo, ma l’eco mi risponde, all’infinito, non si ferma. Cos’ho urlato. Credo di saperlo, ma l’eco echeggia con un’altra parola, non è possibile!
Mille volte ripete e più ripete più sono atterrito. Allora il deserto non è quello che avevo visto da qualche ora, da qualche giorno, è quello che ho sempre saputo, è quello che ho sempre visto. O creduto di vedere. Ma dura poco, tutto torna come prima, l’incanto è scomparso. Pedalo come un automa nella breccia riarsa e rovente, senza scopo, senza meta. E’ pomeriggio e vado ancora avanti, nessuna piantina è sopravvissuta per me. Neppure una piantina per me. Cosa sarebbe costato ad una semplice piantina sopravvivere per me? Mi avrebbe fatto sentire meno solo.
Ma nulla compare sulla superficie sterile e dannata. Solo io mi ergo al di sopra dei ciottoli. Che inutilità! Ora sono sull’altipiano immenso, il sole ormai rincorre i suoi raggi tra le creste. Devo tornare anche se già so che è tardi e che comunque non riuscirò ad arrivare prima di notte. Anzi, credo che ormai dovrò dormire all’addiaccio. Devo comunque avvicinarmi il più possibile alla costa perché non posso correre il rischio di dover fare un lungo tragitto di ritorno senz’acqua. Ma il rischio vale una piantina? Per un uomo normale senza fantasia, ne sogni, no, sicuramente no! Ma spero che un po di fantasia e di sogni, un po di poesia sia ancora rimasta nelle profondità della mia anima, altrimenti non saprei come giustificare la mia presenza quassù a quest’ora.
Decido di andare ancora un po avanti e poi di tornare. Pedalo come un ubriaco a destra e sinistra, ma possibile che una piantina…..una semplice piantina….anche uno stecco….una misero stecco…..solo per me…
Non guardo più neppure dove dirigo la bici, poi…..un arbusto minuto, da lontano, potrebbe essere, chissà..andiamo a vedere.
Il cuore mi batte, forse, ma si !!! E’ una piantina
“Eccola finalmente, finalmente! Finalmente una piantina, Ho camminato un giorno intero per lei!” .
Mi avvicino e la raccolgo, povero stecco rinsecchito. Ha perso quasi tutto il suo profumo, ma a me non importa. La metto tra le mani e me la porto al naso, chiudo gli occhi ed inspiro.
Ora sono felice, ho trovato ciò che cercavo e carezzo le foglioline rinsecchite che, divenute fragili come cristalli, si trasformano in polvere appena toccate.
Porgo le mani a conca cercando di non disperdere i resti delle foglie e amorevolmente le ripongo in un sacchetto. Che profumo emana da esso!
Ora perché sento il petto scoppiare, perché ho voglia di piangere? Forse semplicemente questo è l’amore?
Il suo profumo sa di vento, di libertà, di notti passate sotto le stelle, di speranze, di ricordi, di sogni, di rimpianti. Sa di caldo, di paura. Sa di folletti e di tempeste. Ora so perché sono venuto quassù, come avevo fatto a dubitare ?.
Ma il deserto è un luogo speciale. Un luogo dove la realtà si confonde con la fiaba, dove ogni cosa assume un'anima. Quando sei lontano centinaia di km da un'altro essere umano, il rumore della sabbia che scende dalle dune diventa un suono lugubre che lo fa sembrare un calpestio di cavalli, dove i piccoli tornado non sono altro che i malefici djnn che si insinuano negli esseri umani con il respiro e lo fanno impazzire mentre la sua mente insegue le persone amate. E' qui che anche un fiore può assumere un'anima....ma poi, perchè non dovrebbe? Ciò che il deserto crea nella tua mente sono solo sogni, oppure non sarà che qui i nostri occhi vedono la pura realtà, non più abbagliati e confusi dai fumi della nostra protettiva civiltà?......
Una piantina di ravael nacque in mezzo ad altre, poche, ma molte nello sconfinato deserto. Era bella, odorosa, succulenta ed aveva tra i capelli un bel fiore giallo. Essa rappresentava la vita, la vittoria sulla morte, la possibilità che l’amore vincesse sul nulla.
Era orgogliosa della sua bellezza e quando qualche insetto si inebriava della sua essenza sentiva che essa era indispensabile a perpetuare la vita li dove la morte faceva scorribande travestita da turbine e da tempesta.
Poi arrivavano le capre e tutte le piantine si rassettavano i capelli, alzavano il busto e si spruzzavano il profumo per far innamorare qualche capretta.
Come si poteva resistere loro? Le loro foglie erano dolci e succulente, il loro profumo irresistibile ed erano belle, belle, belle. Il vento, complice del loro amore, faceva ondeggiare i loro fianchi ed il fiore sulla loro testa era una maledizione divina per le caprette che si contendevano le poche piantine.
(Un pascolo di ravael fotografato negli anni successivi nella fioritura)
Com’era dolce per loro essere annusate, leccate, contese e poi carpite. Sapevano che nella bocca delle capre esse potevano vivere, si sarebbero trasformavate in carne e avrebbero potuto vagare nel deserto, non essere succubi del vento e del sole, avrebbero potuto esse stesse annusare i profumi, e poi avrebbero amato con un cuore, non solo con la linfa. Questo tutte speravano, avere un cuore, magari di capra, ma avere un cuore che battesse non solo quando bisognava correre, ma specialmente per amore. Ecco, meglio avere un cuore di capra che non averlo affatto. Poi non era finito. Sai che soddisfazione diventare latte profumato! Si potevano nutrire gli agnelli. Loro si che avevano un cuore, un cuore di cucciolo.
Questa era l’aspirazione di tutte le piantine di ravael: diventare un cuore di cucciolo. Quel cuore poteva vedere dove nessun altro nemmeno immaginava. Quel cuore non doveva imparare ad amare, era lui stesso l’amore. Poi avrebbe dimenticato e forse più avanti negli anni avrebbe potuto di nuovo imparare ad amare, ma era un rischio. Un cuore di cucciolo era una sicurezza. Questo cuore non aveva dubbi che il sole sarebbe sorto ancora. Il cuore di una capra batteva la sera, al tramonto. La luce scompariva, il nulla ingoiava il mondo. Il cuore di una capra vegliava tutta la notte perché aveva timore che il sole non avesse più la forza di sorgere. Ma perché i cuori di cucciolo non battono la sera? E’ semplice, loro sanno che il sole sorgerà ancora, basta attendere. Il loro cuore non ha dubbi e possono riposare tranquilli. Era necessario quindi diventare cuore di cuccioli, ma per farlo bisognava essere mangiate. “Porca miseria!” pensò la piantina “forse che io abbia qualcosa che non va? Perché nessuna capra mi annusa? In verità alcune si sono avvicinate, mi hanno annusata e persino assaggiata, ma poi si sono allontanate. Eppure sono bella, almeno come le altre!”
Ora il tempo passava ed il deserto era implacabile, bisognava far presto. Il sole non da tregua ed inaridisce i viventi. Sapeva che in poco tempo essa sarebbe rinsecchita, avrebbe perso il suo peso, le sue meravigliose curve sarebbero avvizzite. Chi l’avrebbe più neppure guardata? Se non faceva presto gli armenti avrebbero abbandonato la zona e tutto sarebbe morto. Nell'estate neppure un insetto resiste al calore infernale. Ma comunque non avrebbe avuto senso perché essa non sarebbe più servita a nulla, sarebbe morta inutilmente e non avrebbe saputo cosa fosse l’amore, non avrebbe mai avuto un cuore che batte. I giorni passavano e tutto era morto, nel deserto. Solo lei, ormai irriconoscibile contrastava il vento, a pochi cm da terra. Si era piegata, non aveva più il colorito rubicondo dei giovani, ma non cedeva. Nessuno avrebbe scambiato lo stecco sterile per una bella piantina di ravael.
Attorno a lei non c’erano più neppure i resti delle piantine più fortunate. Il deserto aveva cancellato tutto. Il vento rovente aveva sepolto tutto e la sabbia ora tentava di seppellire anche lei. “Nessuno si accorge che sono viva?” pensava la piantina. Ma chi avrebbe potuto accorgersene? Resisteva alla morte con stoicismo quando un giorno udì un calpestio lontano, fors’anche uno sferragliare confuso. Si alzò con tutte le sue ultime forze, sporgendo dalle sabbie per quel che poteva, sperando che fosse qualche capretta dispersa dal gregge, ma sapeva che era una speranza inutile.
Tutti erano andati via da un mese. Ora era piena estate, ma chissà! Chi poteva essere che camminava sul rovente terreno? Per quale scopo avrebbe dovuto farlo? Le forze la stavano abbandonando, ma non avrebbe mai ceduto, forse era l’ultima occasione per avere un cuore. Ora vedeva bene, era un essere umano.
Peccato, l’uomo non mangia i ravael. Era finita. Reclinò la testa ed aspettò la morte. Con l’ultimo sguardo vide che l’uomo si aggirava senza senso su e giù per lo wadi. Ora si fermava e guardava lontano, ora tornava indietro, deluso. Poi si avvicinava verso di lei, ma poi improvvisamente deviava. Sicuramente era un pazzo. Perché fare tanta strada nel deserto? C’era un giorno di cammino dal villaggio. E perché poi vagare senza senso? Perché sprecare tante energie? “Non capirò mai gli uomini” pensò la piantina. Poi gli venne in mente che non aveva cuore e credette che era questa la ragione per tanta incomprensione. “ Non è vero” Urlò “ gli uomini li ho conosciuti ed è per questo che voglio un cuore di capra !! Gli uomini ci calpestano, ci schiacciano sotto i loro sandali. Nessuno , neppure per pietà ha mai rialzato una piantina riversa a terra. Qualcuno addirittura ci tira i calci e ci strappa le membra. Forse ho fatto male ad urlare, potrebbe avermi sentito ed ora verrà a darmi il colpo di grazia.” Chiuse gli occhi ed attese la morte.
Un urlo lontano la fece trasalire prima che la vita l’abbandonasse. “Eccola finalmente, finalmente! Finalmente una piantina, Ho camminato un giorno intero per lei!” . La piantina non si spiegava lo strano comportamento dell’uomo, ma attese che egli si avvicinasse. Non riusciva a capire. Forse che l’uomo aveva detto che per lei aveva camminato un giorno nel deserto? Chi è quel pazzo che avrebbe fatto tutto quel tragitto quand’anche per una donna? Figuriamoci per una piantina! L’uomo si avvicinò e la raccolse, povero stecco rinsecchito. Aveva perso quasi tutto il suo profumo, ma all’uomo non parve importare. La mise tra le mani e se la portò al naso, chiuse gli occhi ed inspirò. Com’era felice la piantina. Cercò di emanare tutto il suo misero profumo. “Se quest’uomo ha traversato l’inferno per me ora che sono inguardabile, chissà cosa avrebbe fatto se mi avesse conosciuto quando ero florida, quando il mio profumo si aggirava nel deserto attirando insetti, quando la mia presenza poteva essere avvertita alla distanza di una corsa di cammello. Lo avrei fatto impazzire di gioia”. Ma l’uomo era felice, aveva trovato ciò che cercava e carezzava le foglioline rinsecchite che, divenute fragili come cristalli, si trasformavano in polvere appena toccate.
L’uomo mise le mani a conca cercando di non disperdere i resti delle foglie e amorevolmente le ripose in un sacchetto. Che profumo emanava da esso! Com’era stata fortunata la piantina. Aveva atteso tanto, aveva perso quasi tutte le speranze, ma ora sapeva, sapeva cosa vuol dire avere un cuore. Ora lo sentiva battere, ma non sapeva come poteva essere successo. L’uomo non mangia i ravael ! Allora perché sentiva il petto scoppiare, perché aveva voglia di piangere? Forse questo era l’amore? Poi pian piano capì. Il suo profumo, ormai quasi esaurito era stato respirato dall’uomo ed era andato nei polmoni, quindi nel sangue e si era annidato nel suo cuore. Quello che sentiva era il cuore che batteva per il profumo che ancora inspirava, era la sua essenza a dargli l’emozione che lo faceva piangere. E lei lo ripagò. Il suo profumo sapeva di vento, di libertà, di notti passate sotto le stelle, di speranze, di ricordi, di sogni, di rimpianti. Sapeva di caldo, di paura. Sapeva di folletti e di tempeste. Ma l’uomo ora non era in grado di distinguerli, egli sentiva solo l’odore dell’amore. La piantina seppe che l’uomo era venuto sin li proprio per lei e fu felice come non lo era mai stata in tutta la sua vita. Non c’era stato bisogno di essere mangiata, del resto chi avrebbe più avuto il coraggio visto come era ridotta? Era bastato il profumo. Era entrato nel corpo dell’uomo, in tutti i suoi capillari, si era fuso con esso e sentiva ora che non era vero che gli uomini non hanno un cuore.
Lo sentiva battere d’amore, sentiva la sua mente vagare lontano, sentiva il sapore del vento, il,profumo della libertà, la felicità delle notti passate sotto le stelle, capiva le speranze, i ricordi, i sogni, i rimpianti. E si chiese : “Ma non sono le stesse cose che ho provato io quando credevo di non avere un cuore?”……
Chi crede che questa sia una favola non vada nel deserto. Vedrebbe solo sabbia rovente e sentirebbe solo caldo.....................
PS:
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Uno dei più bei regali che ho ricevuto è una lettera della madre di un mio amico che si firma "mamma Adalberta" riferita alla storia di monte Calvo ed alla ricerca del fiore nel deserto che raccontai in un incontro al CAI. Mi sono permesso di riportarla già in questo blog nel post " Monte Calvo: il mito d'origine" del mese di marzo, Mi scuserete la ripetizione , ma è stato un bel regalo...giudicate un po Voi.
GRAZIE ANCORA, MAMMA ADALBERTA!!!