Le ombre ci accompagnano nel nostro cammino.
Esse dimorano nella fantasia
Mi sto apprestando a descrivere una grande avventura. Forse la più grande avventura che abbia mai vissuto. Non aspettatevi però chissà cosa. Salire su un monte, traversare un deserto non è una cosa difficile. Scalare una parete o sciare su un vertiginoso canalone è solo questione di essere preparati a farlo ed essere così umili da fare solo ciò che si è pronti ad affrontare. C’è però un terreno difficilissimo da percorre, da scalare, da scendere. E’un terreno in cui l’allenamento non conta, perché muta di continuo, quasi avesse un’anima. Quello che possiamo aver imparato con l’esperienza diventa inutile perché dobbiamo affrontare ogni volta una diversa situazione, mai vissuta e mai più ripetibile. Questo terreno impervio non ha un nome altisonante, non si chiama “Everest” o “monte Bianco”, non ci sono pareti nord dell’Eiger. Tutto ha un solo nome: LA NOSTRA OMBRA.
E’ questo un luogo oscuro dove mai scorre la luce, dove ci si perde facilmente. E’ un luogo che quasi tutti rifuggono perché in quel luogo c’è tutto ciò che nascondiamo a noi stessi e che potrebbe non piacerci. E’ però un luogo che necessariamente dobbiamo affrontare e superare se vogliamo traversare i deserti. E’ necessario, semplicemente perché il deserto è esso stesso la nostra OMBRA. In quei luoghi allignano le nostre paure, i nostri desideri più nascosti, le nostre voglie più irripetibili, i nostri dubbi più profondi. A casa nostra releghiamo tutto ciò in un pozzo profondo e buio, li dove non c’è possibilità di scendere, ma principalmente un pozzo da cui niente e nulla può risalire.
Ma nel deserto, durante la notte o nei giorni roventi su piane infinite, dove l’orizzonte si perde al di la dell’inconscio, nel deserto devi convivere con la tua OMBRA, che non ti abbandona mai, neppure quando il sole scompare. Anzi, il sole relega la tua ombra vicino a te, le dona contorni netti e puri, si muove all’unisono con te…poi il sole tramonta e scende la notte. L’ombra si perde nel buio, si dilata, ti abbandona e si confonde con tutto ciò che ti circonda. Si perde, ma non scompare. Ti penetra, ti violenta, ti parla con un linguaggio che non vorresti sentire, si manifesta a te con forme orripilanti, putride, nauseabonde…se vuoi arrivare indenne al mattino devi scendere a compromessi, devi accettare le sue condizioni.
Ma nel deserto, durante la notte o nei giorni roventi su piane infinite, dove l’orizzonte si perde al di la dell’inconscio, nel deserto devi convivere con la tua OMBRA, che non ti abbandona mai, neppure quando il sole scompare. Anzi, il sole relega la tua ombra vicino a te, le dona contorni netti e puri, si muove all’unisono con te…poi il sole tramonta e scende la notte. L’ombra si perde nel buio, si dilata, ti abbandona e si confonde con tutto ciò che ti circonda. Si perde, ma non scompare. Ti penetra, ti violenta, ti parla con un linguaggio che non vorresti sentire, si manifesta a te con forme orripilanti, putride, nauseabonde…se vuoi arrivare indenne al mattino devi scendere a compromessi, devi accettare le sue condizioni.
Poi il sole sorge di nuovo e l’ombra si riattacca a te e ti parla. Ti ricorda che essa è sempre la stessa OMBRA della notte. Essa è davanti a te. Ti fermi a mangiare e quando riparti pensi di averla seminata,ma poi ti volti ed ella è sempre li, ti segue, ti sussurra frasi sconce, ti provoca. Quello che mi appresto a raccontare non è una avventura reale, è inventata. Ma la finzione è solo nella descrizione temporale. Tutto quello che leggerete è vero, è stato da me vissuto, solamente che è avvenuto in più circostanze, in tanti anni di esperienze nei deserti e che ho già descritto nei vari post del blog. Se avete letto il blog riconoscerete i vari racconti. Io li ho semplicemente riassemblati come se fosse un unico episodio.
Nei vari racconti mi ero limitato a descrivere l’ESTERNO, ora ho deciso di farvi sapere cosa c’era SOTTO. Questo è il “Bignami” delle mie sensazioni, la consecutività temporale in cui tutto è avvenuto non corrisponde alla realtà ( perdonatemi), …tutto l’altro è una storia vera, i luoghi sono veri, sono vere le mie paure, le mie speranze, i miei sforzi, i miei crampi. Spero solo che i lettori possano comprendere ciò che scriverò, perché sono certo che non sarò in grado di descrivere la mia OMBRA con parole comprensibili, ma spero in cuor mio che qualche lettore ci si riconosca. E di questo gliene sarò grato, mi farebbe sentire meno solo. Se così non fosse, saltate il lungo capitolo e proseguite nel blog…..Ma perché, allora, descrivo tali sensazioni? Per una sola ragione. Per farvi sapere chi c’è veramente dietro all’impavido traversatore di deserti. Un po’ per farlo sapere a voi… e forse molto per farlo sapere a me stesso….
Nei vari racconti mi ero limitato a descrivere l’ESTERNO, ora ho deciso di farvi sapere cosa c’era SOTTO. Questo è il “Bignami” delle mie sensazioni, la consecutività temporale in cui tutto è avvenuto non corrisponde alla realtà ( perdonatemi), …tutto l’altro è una storia vera, i luoghi sono veri, sono vere le mie paure, le mie speranze, i miei sforzi, i miei crampi. Spero solo che i lettori possano comprendere ciò che scriverò, perché sono certo che non sarò in grado di descrivere la mia OMBRA con parole comprensibili, ma spero in cuor mio che qualche lettore ci si riconosca. E di questo gliene sarò grato, mi farebbe sentire meno solo. Se così non fosse, saltate il lungo capitolo e proseguite nel blog…..Ma perché, allora, descrivo tali sensazioni? Per una sola ragione. Per farvi sapere chi c’è veramente dietro all’impavido traversatore di deserti. Un po’ per farlo sapere a voi… e forse molto per farlo sapere a me stesso….
Domani mi appresto ad esplorare una zona del Sinai a me totalmente sconosciuta. Partirò dalla costa del golfo di Aqaba mi dirigerò all’interno fino ad arrivare alla costa del golfo di Suez. Dovrò superare catene di monti con orride e roventi piane interne. E’ ancora notte, guardo l’orologio ogni 5 minuti sperando che al successivo controllo sia passata almeno un’ora, ma sempre sono passati solo 5 minuti. Sono nervoso e non riesco a dormire. Non so perché, ma non nascondo la mia paura. Sono ansioso di partire, ma spero solo che succeda qualcosa che me lo impedisca.
Quando arrampicavo, la notte precedente l’ascensione, sognavo quasi sempre di cadere. Qui non sogno, o almeno non ricordo i sogni. Forse il deserto ha rubato il mio coraggio insieme ai miei sogni. Poi, all’ennesimo controllo dell’orologio, visto che il tempo sembra bloccato alle ore 02.00, mi alzo e parto, nel buio più totale. Questa notte è veramente buia perché la luna ancora viaggia nel cielo con una sottile falce ed è quindi già tramontata essendo in fase di iniziale luna crescente. Generalmente le stelle sono sufficienti a dare una debole luce, ma oggi i miei occhi sono ciechi ai sottili fotoni che provengono dal fondo scuro del cielo. Viaggio su una zona che conosco, ma non mi sento a mio agio. Dopo la morte di Filippo ho perso molte delle mie certezze. Forse in cuor mio penso che avrei dovuto impedirgli di scendere nella grotta senza di me, che se non gli avessi dato le lampade frontali, forse avrebbe rinunciato alla sua decisione. So perfettamente che non è così, ma l’inconscio non ha legge razionale e lavora nell’OMBRA.
Non posso fare a meno di fantasticare su queste cose e quando viaggio nel deserto riaffiorano sempre dal profondo del pozzo. Quando questi pensieri si affollano maggiormente per uscire tumultuosamente, perdo le motivazioni a pedalare, le forze scemano senza ragione e stento a trovare le energie per proseguire. Vorrei fermarmi, sdraiarmi sulla sabbia ed ammirare le stelle per farmi da loro consolare. Decido di farlo per pochi minuti, ma ogni stella mi è indifferente e non riconosco neppure le familiari costellazioni. Mi sono indifferenti, sono solo puntini luminosi senza importanza, senza nome. Un’ impeto di rabbia mi fa alzare.
Monto di nuovo in sella e proseguo, ma non ho una strada, non seguo un sentiero. Dove vado? Vado verso una meta inesistente. Il cammino non mi intimorisce, mi intimorisce non avere una meta. Ho sempre pensato che quello che importa sia solo il cammino. Di questo ne sono convinto, ma ora mi manca la meta. La meta è una sicurezza per i pavidi ed io ora appartengo alla più pavida di questa categoria. Il problema è che più cerco di immaginarmi una meta, meno riesco a visualizzarla, perché non ho mai visto una carta del luogo. Poi inganno me stesso e faccio finta di sapere dove sto andando e parto rincuorato.
Piccoli rumori mi allarmano, non li riconosco. Non ho paura dei rumori della natura, ma il Sinai non è certo un luogo sicuro ( ricordate l’attentato di Charm el Sheick e di cui parlerò successivamente). Mi distraggo pensando a qualche mio gesto eroico per liberarmi da un immaginario, paventato rapimento. Penso che potrei tagliare i legacci ai miei polsi ed impadronirmi di esplosivo. Nella notte piazzarlo con cariche temporali in vari punti del campo dei rapitori e poi fuggire mentre tutto esplode. Credo che sto immedesimandomi nelle scene di un film che devo aver visto, ma di cui non ricordo il nome. Già che ci sto salvo anche due turisti anch’essi rapiti. Questi pensieri mi ridanno la voglia di pedalare, facendomi credere falsamente coraggioso, mentre dietro di me l’orizzonte si illumina fiocamente, poi sempre più decisamente. Ora la mia sicurezza sembra granitica, la luce fuga ogni dubbio, insieme alla notte scompaiono i pensieri più nascosti.
Quando arrampicavo, la notte precedente l’ascensione, sognavo quasi sempre di cadere. Qui non sogno, o almeno non ricordo i sogni. Forse il deserto ha rubato il mio coraggio insieme ai miei sogni. Poi, all’ennesimo controllo dell’orologio, visto che il tempo sembra bloccato alle ore 02.00, mi alzo e parto, nel buio più totale. Questa notte è veramente buia perché la luna ancora viaggia nel cielo con una sottile falce ed è quindi già tramontata essendo in fase di iniziale luna crescente. Generalmente le stelle sono sufficienti a dare una debole luce, ma oggi i miei occhi sono ciechi ai sottili fotoni che provengono dal fondo scuro del cielo. Viaggio su una zona che conosco, ma non mi sento a mio agio. Dopo la morte di Filippo ho perso molte delle mie certezze. Forse in cuor mio penso che avrei dovuto impedirgli di scendere nella grotta senza di me, che se non gli avessi dato le lampade frontali, forse avrebbe rinunciato alla sua decisione. So perfettamente che non è così, ma l’inconscio non ha legge razionale e lavora nell’OMBRA.
Non posso fare a meno di fantasticare su queste cose e quando viaggio nel deserto riaffiorano sempre dal profondo del pozzo. Quando questi pensieri si affollano maggiormente per uscire tumultuosamente, perdo le motivazioni a pedalare, le forze scemano senza ragione e stento a trovare le energie per proseguire. Vorrei fermarmi, sdraiarmi sulla sabbia ed ammirare le stelle per farmi da loro consolare. Decido di farlo per pochi minuti, ma ogni stella mi è indifferente e non riconosco neppure le familiari costellazioni. Mi sono indifferenti, sono solo puntini luminosi senza importanza, senza nome. Un’ impeto di rabbia mi fa alzare.
Monto di nuovo in sella e proseguo, ma non ho una strada, non seguo un sentiero. Dove vado? Vado verso una meta inesistente. Il cammino non mi intimorisce, mi intimorisce non avere una meta. Ho sempre pensato che quello che importa sia solo il cammino. Di questo ne sono convinto, ma ora mi manca la meta. La meta è una sicurezza per i pavidi ed io ora appartengo alla più pavida di questa categoria. Il problema è che più cerco di immaginarmi una meta, meno riesco a visualizzarla, perché non ho mai visto una carta del luogo. Poi inganno me stesso e faccio finta di sapere dove sto andando e parto rincuorato.
Piccoli rumori mi allarmano, non li riconosco. Non ho paura dei rumori della natura, ma il Sinai non è certo un luogo sicuro ( ricordate l’attentato di Charm el Sheick e di cui parlerò successivamente). Mi distraggo pensando a qualche mio gesto eroico per liberarmi da un immaginario, paventato rapimento. Penso che potrei tagliare i legacci ai miei polsi ed impadronirmi di esplosivo. Nella notte piazzarlo con cariche temporali in vari punti del campo dei rapitori e poi fuggire mentre tutto esplode. Credo che sto immedesimandomi nelle scene di un film che devo aver visto, ma di cui non ricordo il nome. Già che ci sto salvo anche due turisti anch’essi rapiti. Questi pensieri mi ridanno la voglia di pedalare, facendomi credere falsamente coraggioso, mentre dietro di me l’orizzonte si illumina fiocamente, poi sempre più decisamente. Ora la mia sicurezza sembra granitica, la luce fuga ogni dubbio, insieme alla notte scompaiono i pensieri più nascosti.
Il sole sorge con un guizzo, la luce acceca gli occhi ancora dilatati dal buio della notte. Ora devo solo seguire la mia ombra. Devo procedere verso ovest ed il sole sorge ad est, quindi la mia ombra si proietta precisamente verso ovest. Un striscia nera si perde nella piana infinita, sembra uno gnomone di una meridiana vivente. Poi l’ombra si accorcia e riconosco la sagoma di un uomo. Devo seguire quell’uomo. Non mi va, mi infastidisce seguire qualcuno, ma devo necessariamente farlo. Se non lo facessi devierei dalla mia direzione. Comincio ad odiare quell’uomo. Vedo le sue spalle curve sulla bicicletta, vedo le sottili ruote, vedo i pedali che si alzano alternativamente….sono io. Sono io? Ma io non so dove andare, quindi perché dovrebbe saperlo colui che sto seguendo? Perché dovrebbe saperlo un’OMBRA? Ma perché dovrei seguire un’ombra che forse neppure è colei che credo?
E se non fosse un essere pensante e mi portasse fuori rotta? Vedo i suoi movimenti che pian piano perdono la sincronizzazione con i miei. Mi fermo e credo di vedere la mia ombra che prosegue e poi si ferma in attesa che io arrivi. E attendo, non so che cosa, sul bordo di una piana concava, mentre la temperatura sale vertiginosamente. So che a queste temperature sono a rischio di crampi. Più che una piana è una conca in cui la temperatura è infernale, e devo attraversarla. Man mano che procedo, mi rendo conto che l’aria rovente mi ustiona la gola.
Vorrei fuggire da qui, ma ora sto quasi al centro e la via di fuga ormai è simmetrica. Ai primi crampi penso che essi mi bloccheranno , che non potrò più procedere. Un impeto di rabbia si impadronisce di me. Possibile che questo luogo deve essere l’ultima cosa che vedrò? Spero che i crampi non continuino, e per sperare in questo, faccio delle scommesse con me stesso.
“Se arrivo in quel luogo senza poggiare i piedi a terra, allora i crampi non mi prenderanno!” Poi, visto che perdo sempre tali scommesse, passo ai fioretti. Poi mi pento anche di quelli , perché so di non poter onorare le promesse fatte e tento altre strade per salvare dignitosamente la pelle. Neppure mi viene in mente di trovare le energie nei miei muscoli allenati, tento di trovarle nei folletti delle sabbie, nell’aiuto di non so quale essere soprannaturale che regola la vita e la morte nel deserto. L’OMBRA non ha questi problemi, mi fa rabbia, mi sembra che mi schernisca. Assume un’anima autonoma e si comporta come un essere insensibile al calore infernale. Più mi indebolisco, più essa mi guarda con ostilità, come in attesa della mia rinuncia, ma rinunciare qui significa non tornare indietro.
Un impeto di furore mi pervade, odio questo disegno sul terreno che mi ricorda di avere un corpo opaco. Ma il disegno ondeggia sul terreno sconnesso, corre come avesse muscoli propri, senza fatica, senza affanno, senza crampi…ed è sempre davanti a me. Quando le vertigini offuscano i miei occhi, comincio ad imprecare contro l’OMBRA che mi ha portato in questo luogo. Perché poi in questo luogo? Io intuivo che questo luogo era l’inferno dei vivi. Lo sapevo perché gli insetti mi avevano abbandonato avvicinandomi ad esso. Allora perché avevo seguito la mia sconsiderata guida? Questo è un quesito che inizia a rodermi il cervello. Lo sapevo? Non lo sapevo? E se lo sapevo perché lo avevo fatto? Le vertigini mi fanno sbandare e per un momento perdo la mia oscura guida. Un momento di terrore passa sulla mia mente quando ho dubbi di non poter più seguire l’unica certezza che mi rimane…la mia OMBRA. Penso che essa non potrà mai tradirmi, ma è solo una speranza, non una sicurezza.
Devo seguirla. Non posso lasciarla andare da sola. Cosa farei senza la mia ombra? Sarei un essere migliore? Senza la mia ombra forse sarei seduto sotto il mortale Sole che non ha nessuna pietà per gli esseri umani in attesa di qualcosa che non potrà mai arrivare. Ma io non cedo.. IO, IO !! Ora sono certo che non è l’Io razionale che è in grado di contrastare la sete, le vertigini, i crampi, la sete, la stanchezza. E’ l’Io oscuro che è più resistente, ma è un Io lontano da me. Lo sento estraneo, cattivo, malefico, bestemmia, impreca contro tutte le divinità conosciute, ma è forte, i suoi muscoli sono giovani, si tendono come un filo d’acciaio, senza difficoltà. Ma quello che è invincibile è la sua oscura anima. Devo decidermi se continuare a stare arroccato nel mio rifugio razionale che mi accorgo essere debole, costruito con macigni solidi, ma senza una malta che li leghi tra di loro, oppure affrontare una volta per tutte il mio intimo nemico, che però mi assicurerebbe la salvezza, almeno quella fisica. Ma cosa diventerei? Sarei ancora Io? Oppure diventerei una Chimera che non saprà distinguersi dagli animali che la compongono?
Ogni tanto rientro nella realtà, le condizioni climatiche non danno tregua e mi ricordano dove sto e cosa devo fare…pedalare…pedalare….pedalare. Sarebbe bello seguire un amico reale, anzi, non “seguire”, ma “procedere” con un amico reale che non sta davanti o dietro, ma lateralmente a te. Anche uno sconosciuto, per quanto sconosciuto, non sarà mai come quello che continuo a seguire. Ho rabbia, vorrei riuscire a seminarlo, ma più accelero, più egli è davanti a me…fino al momento che finalmente attendevo. Alzo gli occhi e vedo solo un nudo e sterile terreno.
Il sole è stato nascosto da una sottile nube di polvere che pian piano ha coperto tutto il cielo. La mia OMBRA, la mia guida, l’ago della mia bussola è scomparso e con esso anche la mia finta sicurezza. II mio castello, ora che non c’è più il nemico, si rivela essere ancora più fragile. Almeno l’OMBRA mi dava la possibilità di imprecare contro di essa e tutte le mie energie erano indirizzate a combattere questo oscuro essere che tentava continuamente di convincermi a diventare come Lui, forse peggiore, ma sicuramente più forte.
Sicuramente in grado di fare ciò che non avrei potuto fare io. Forse la storia del dott. Faust non è solo una invenzione, forse è nata nelle piane e tra i monti del Sinai, in estate, a 58 gradi,quando la nostra fragile mente è messa a dura prova e diventa una massa plasmabile a piacimento. Tutte le certezze della nostra civiltà scompaiono e tutto mi sembra lontano, inutile, tutto mi sembra una sovrastruttura a cui si può fare tranquillamente a meno, anzi se ci penso, mi infastidisce. Ma ora devo uscire da questa trappola ardente e non ho neppure l’OMBRA. La mancanza di questo fantasma mi atterrisce, così come la mancanza di un nemico atterrisce il generale il quale abituato a combatterlo….la mia OMBRA…ma è lei la mia OMBRA o sono io che sono la sua OMBRA? Sembra un gioco di parole, ma risolvere tale dubbio cambia completamente il punto di vista e cambia totalmente la mia esistenza. Dove vado? Senza la mia ombra sono perso.
Ho una piccola bussola ad ago, praticamente un giocattolo, credo che sia una sorpresa di un uovo di pasqua, che avevo gettato nello zaino e li era rimasto. L’ago mi darà una direzione, ma non un compagno. Con chi parlerò? Chi accuserò dei miei pavidi comportamenti? Un ago di metallo malamente calamitato? Non vedere più l’OMBRA mi da una labile sicurezza sulle mie capacità e sulla mia forza psicologica. Non vedendo il nemico, credo di averlo sconfitto, ma egli si è semplicemente nascosto. Si è stemperato nella piana, si è spalmato nel deserto, si è identificato nelle rocce, nell’aria rovente e li si aggira nascosto nel vento che scorre sulla piana ed attende solo il momento di colpire di nuovo. Attende la notte…e la notte si avvicina. Una tetra foschia staziona sulla piana. Non posso tornare indietro, così come feci nel Badyat el tih, sconfitto solo dall’altro me che mi convinse che non dovevo sfidare il deserto ( vedi el tih). Ora un dubbio mi assale. Chi fu che decise la ritirata? Fui io oppure la mia OMBRA?.Questo è un dubbio amletico perché, non risolvendolo, mi costringe ad accettare il fatto che sono manovrato da due esseri contrapposti che spesso confondo e che non so più quale sia reale e quale immaginario. Ma quando si manifesta l’uno e quando l’altro? Io sono certo di essere quello bello, alto, moro, allenato, invitto, coraggioso, forte, senza macchia e senza paura, un cavaliere medioevale che è sempre disponibile a salvare dal cattivo la pulzella di turno.
A me, misera carne, il sole toglie energie e volontà. MI fermo, volgo lo sguardo indietro ed eccola li, l’OMBRA, questa volta è dietro di me, dalla parte opposta. La mia determinazione l’ha relegata a seguirmi, non a precedermi. Ora sono io che conduco, sono io che vado avanti. Ora posso farle vedere come si procede contro il caldo e la sabbia. Ma forse ancora una volta inganno me stesso, comunque intanto ho ingannato Lei. Il sole si abbassa, i suoi raggi divengono sempre più rosso cupo. Il caldo diminuisce, il vento non ustiona più il viso e l’anima. Per me è facile recuperare le energie. Ma lei, insensibile alle cose terrene, non lo sa. E non sa che la mia carne è dipendente dal calore, dalla luce, dal vento. Ma intanto ora vado avanti io. E lei è costretta a seguirmi.
Man mano si spegne, i suoi contorni sbiadiscono, forse la mia forza l’ha debilitata. Forse è rimasta indietro e si è persa nel deserto. Questo spero. Spero si sia persa e mi abbia abbandonato, così da non sentire più i rimproveri che mi urla nelle orecchie e la sfida che mi lancia continuamente ed a cui sono costretto a rispondere per non sembrare un pavido cittadino. Spero di non sentire più gli scherni, la sua insensibilità all’ambiente esterno che a lei da forza e che invece distrugge me. Poi spero di non sentire più i sermoni, i rinfacci degli errori commessi, delle cattiverie perpetrate ai deboli. Sono tutte strategie dell’OMBRA per poter vincere la corsa. Ma ora il sole è scomparso ed io sono uscito dalla conca infinita e sono arrivato alla base della catena montuosa che domani dovrò superare. Monto la tenda e mi appresto a riposare.
Le ombre lontane si allungano, i monti aguzzi proiettano sul terreno pianeggiante ombre veloci che corrono verso la costa alla velocità di un cammello al galoppo. La notte cala improvvisamente nel deserto. Il crepuscolo viene ingoiato dal buio. La mia ombra si nasconde con quella delle creste, dei torrioni, delle guglie, poi tutto si confonde, viene inglobato dalla notte.
Mi preparo un giaciglio vicino la tenda, all’esterno, modellando la sabbia per accogliere il mio corpo stanco e provato con le battaglie della mia mente. Tappo ogni pertugio dello zaino e della bicicletta perché non diventi il rifugio di qualche scorpione, stendo la kefia a terra e mi adagio finalmente su di essa.
Il buio mi avvolge, alzo gli occhi al cielo. Una infinità di stelle confondono la mia saccenza astronomica non permettendomi di riconoscere tutte le galassie, le nebulose, gli ammassi che popolano il cielo estivo. Mi giro e rigiro, ma non riesco a prendere sonno e, anzi, appena Morfeo tenta di rapirmi, una miriade si sogni mi riportano alla realtà. Vedo nel sogno (o nella realtà?) tutti i miei fantasmi ballare come in un sabba infernale. Le ombre ancora popolano la scena, l’ esile falce di luna è sufficiente a dare vita alle ombre, ai fantasmi, ai Golem della nostra anima.
Non mi rimane altro che rifugiarmi nella tenda, dentro di essa sarò al sicuro, nessuno potrò farmi del male. Mentre decido sul da farsi, i miei ricordi tornano alle scene de “il pianeta proibito”. Nel pianeta abitato dal prof. Moebius e da sua figlia Alta, dei mostri notturni, eterei e mortali, attaccano la base. Il prof e i suoi ospiti dell’astronave si difendono con saracinesche di spesso acciaio che scendono rapidamente chiudendo ogni finestra ed ogni porta.
Ma questi stratagemmi servono a poco perché i mostri sono potentissimi ed invincibili. Essi sono i mostri dell’id, mostri generati dal più profondo del loro inconscio. Come può quindi un esile telo svolazzante nel vento proteggermi da ciò che è dentro di me? Comunque mi conviene tentare, mi conviene rifugiarmi tra inutili, sottilissimi teli di plastica che hanno il solo scopo di non far uscire il calore che il terreno emana, surriscaldando l’interno della tenda. Ma qui dentro le ombre non mi seguono, sono confinate nella piana sterminata e si rincorrono tra le cime e le valli.
Come la mano del Signore scendeva dal cielo nel film “I 10 comandamenti” ed avanzava tra le case come una nebbia mortale , così io mi rinchiudo nella tenda per far passare l’angelo della morte…” Chiudi Giosuè…e fai passare la morte…” Esortava Mosè. La mia fertile mente certo non mi aiuta. La fuori ci sono tutte le mie paure più recondite, tutti i miei desideri più inconfessabili, tutti i miei tabù più radicati, tutte le mie ombre. Si…tutte le mie ombre, ora si sono moltiplicate a DISMISURA.
La notte non le ha distrutte, ha moltiplicato la sua essenza, la sua forza, le ha unite in un’unica, sterminata, invincibile OMBRA…ed io non ho il coraggio di affrontarla. Mi sdraio nel misero pertugio assumendo una posizione fetale, consona al mio stato d’animo, alla mia predisposizione a rinunciare a qualunque tenzone con l’esterno del mondo e con l‘interno del mio inconscio. Ecco cosa attendeva la mia ombra, durante il giorno. Essa sapeva che di notte ....TUTTO E’ OMBRA. Quello che di giorno è un piccolo disegno scuro sul terreno, di notte prende possesso del mondo e della tua mente. Tutto è nero, nonostante che le stelle tentino di illuminare il deserto. Quasi quasi smonto la tenda e mi incammino, così mi allontano da questo posto. I nomadi mi hanno ammonito di non bivaccare nei Kambaltou, luoghi di proprietà degli spiriti. Forse io sono capitato in uno di questi. Ma ciò è un breve pensiero per scusare le mie paure. Già da molto tempo so dove devo bivaccare per non infastidire i Djiin e i folletti del deserto e ormai lo faccio automaticamente.
I Djinn non vagano nel deserto, ma scorrazzano nel mio animo. Laggiù assumono le forme più varie e bizzarre e da laggiù mi chiamano, vogliono che vada con loro… i miei amici che non ci sono più sono tutti laggiù, loro sanno cose che io ignoro e che intravedo nell’oscurità del deserto e della mia anima. Mi fa rabbia non sapere, invidio i miei amici che conoscono cose proibite a noi viventi. Il deserto non ti da nulla, non è prodigo. Chi viene quaggiù credendo di prendere, se ne può andare subito via, pena grandi delusioni. Il deserto non da nulla, prende solo….quaggiù si trova solo quello che si porta dentro i reconditi meati dell’animo. Solo quaggiù potevano nascere i profeti. Tutti hanno dovuto subire la forche caudine del deserto, hanno dovuto chinare la testa alla sua esuberante presenza. Loro hanno trovato la chiave del loro pensiero. Iddio si è a loro manifestato e tornando hanno portato un nuovo Verbo…..ma chissà se veramente il Verbo si è impossessato della loro mente, inculcato dal Signore dei potenti, oppure forse già avevano tutto nel loro inconscio e quaggiù si è solo manifestato. Dal loro pozzo hanno semplicemente estratto ciò che portavano. Io, essere semplice, non porto un Verbo, porto solo insicurezze e fantasmi….e questi si manifestano, con loro devo combattere. Ma sono troppo forti, il mio IO inconscio è troppo forte perché la mia mente razionale possa pensare di vincerlo. Forse non conviene combattere, forse conviene scendere a un compromesso che soddisfi entrambi, forse, prima di soccombere, conviene addivenire ad una pace onorevole. Forse…forse…troppi forse. Ma dove sta il punto d’incontro? Attorno a me tutto è deserto, buio, silenzioso….si !.. Silenzioso….ma perché oggi è tutto silenzioso? Dove è andata a finire la voce del deserto? Dove stanno le note che il vento crea correndo tra le pianure sterminate o tra le rocce calcinate dal sole? Dove sono le canzoni che le rocce scrivono quando , contraendosi all’ombra che avanza, vibrano come un organo? Perché la sabbia non emana il suono dei granuli che scorrono trasportati dal vento? Perché nessuno sciacallo ulula alla luna? Perché nessuno scarabeo urta il suo carapace sul duro terreno?
Ecco…tutto è silenzio. Il silenzio atterrisce, ammutolisce chiunque voglia contrastarlo, noi non siamo abituati al silenzio. Il silenzio è un nemico invincibile, la sua arma è la nostra debolezza, Tutti aspirano al silenzio….ma nessuno conosce il silenzio del deserto…..pochi sanno quanto sia terrificante l’URLO del silenzio.
Il silenzio sa quanto noi siamo deboli e durante la notte lancia i suoi attacchi. Mi rassicuro perché qualcosa nelle mie orecchie eccita i nervi uditivi…è lo scorrere del mio sangue, odo pulsazioni ritmiche ed una sorta di soffio soffocato, ma è già qualcosa. Nel silenzio dell’esterno della tenda si agitano tutti i miei sentimenti più nascosti. Ora emergono tutti e ballano attorno a me in un sabba demoniaco. Tento di scacciarli, ma so che solo il sole può distruggerli e ricacciarli nel buio del mio Io. Devo semplicemente sopravvivere ancora qualche ora, poi ci penserà il sole….il sole. Ma il sole darà di nuovo vita alla mia ombra! Come uscire da questo labirinto inestricabile? Non potrò combattere con la mia ombra quando dovrò superare le montagne, li mi serviranno tutte le mie energie da convogliare nelle mie gambe e nel mio cuore, non posso disperderle tra il miei neuroni cerebrali.
L’ombra si staglierà contro la parete e mi irriderà mentre salgo con la bici in spalla sfidando la calura infernale che sale dalle rocce arroventate da un sole che non ha pietà per la debolezza umana. Ma il sole ancora è molto lontano, si riposa, LUI, sotto l’orizzonte, mentre io perdo ulteriori energie a combattere…..ma contro chi? Quale nemico io creo nel mio inconscio? Magari potessi dormire….”dormir,dormire, forse anche sognare. Ma quali mai sogni possono sorprenderci…” Hamlet già ha affrontato il problema…ma nessuno poi ha detto se lo ha veramente risolto. Ma Hamlet aveva tempo per risolvere i suoi dilemmi, io ho solo qualche ora prima di dover affrontare di nuovo il deserto e le montagne. A questo punto devo comunque andare avanti, perché tornare indietro è impossibile, non avrei acqua a sufficienza per traversare di nuovo la piana, mentre dovrei impiegare solo qualche ora per superare i monti e poi giù, in discesa, velocemente, fino alla costa, e all’acqua……ma quando sorge il sole?
Forse è meglio ignorare tutti i personaggi che ballano davanti ai miei occhi, tutte le personificazioni vere o immaginarie che popolano la notte.
Qualcuna ha un volto, altre si muovono come in una nuvola evanescente, si mescolano tra di loro, riappaiono, si confondono con la notte. Esco con la lampada frontale al massimo, illumino il buio e tutto torna naturale, tutto scompare, la luce distrugge i fantasmi, il silenzio torna ad essere solo mancanza di rumore. Poi mi siedo a terra sulla kefja, appoggiato con la schiena ad una roccia e spengo la lampada, sfidando i miei nemici. La luna ormai tramontata non illumina più il deserto, il buio si riappropria del mondo e della mia anima, i djinn entrano in scena ed io li affronto spavaldo, questa volta. Non fuggo, li guardo dentro li occhi, li fisso, li sfido.
Non ho più possibilità di fuggire e quando un animale viene stretto all’angolo, diventa una belva. Ecco, ora sono una belva, assetata di sangue, con i denti acuminati. Il pavido, il succube, deve reagire, attaccare, ora o mai più. Mi alzo, giro le spalle al nemico in segno di sfida, come un matador che irride il toro volgendogli le terga. Il toro non attacca perché è confuso di tanta baldanza. Forse è questa la strategia giusta, è l’attacco, non la ritirata strategica, che significa sempre una sconfitta. Rientro nella tenda non retrocedendo, ma volgendo le spalle all’ignoto, quello che mi fa più paura. Mi sdraio e mi addormento, sogno…sogno di essere un uccello e volare tra le nubi, il vento accarezza le mie ali, mi tiene in aria, salgo sempre più in alto, tra le torri rocciose, tra le rupi ed i precipizi e poi ancora più in alto, dove le nubi cedono il posto al sole ed ancora più su. Il sole è scomparso ed il cielo è diventato nero e si curva sempre più su di me.
Al di la c’è la luce. Tutto è limpido, colorato, i monti si stagliano contro un cielo azzurro, i prati fanno a gara per contenere tutti i colori dei fiori, la brezza accarezza i ghiacciai, tutto è popolato dai miei amici più cari, quelli reali e quelli ormai eterei, tutti sono felici…..ma è tutto lontano, irraggiungibile. L’oblò è troppo stretto per permettermi di passare. Devo tentare comunque . Infilo il capo nel pertugio, poi le spalle ed il torace, forzo e poi mi rendo conto che sono incastrato. Sono le ali che mi impediscono di passare. Un impeto d’ira mi pervade….così vicino alla libertà, alla felicità. Per colpa delle ali…Perdo tutte le speranze e mi abbandono, ma improvvisamente un’idea balena nel mio cervello. Come ho fatto a non pensarci prima? Basta sganciare le ali, rinunciare a volare, e vai ! ……
Mi sveglio con il cuore in tumulto, sono passati solo pochi minuti, quello che credevo fosse durato ore, è stato un istante, un solo momento nella notte. Ma ora so come passare nel mio oblò, ho una soluzione al problema. Rincuorato aggiusto lo zaino sotto la testa e finalmente mi addormento, ma ormai sono le 4. Cado in un sonno profondo e mi sveglia il sole che già illumina le cime più alte. Sono distrutto, un sonno mortale ancora aleggia sulle mie membra, ma devo partire, non posso permettermi di poltrire. A fianco della mia tenda una netta linea d’ombra divide il giorno dalla notte.
Quando finalmente il Sole illumina il mio giaciglio, la mia ombra compare come una marionetta in un palcoscenico. Ma tutto è cambiato, essa si muove diversamente. Mi stupisco che possa muoversi a mio comando, essa ha perso la sua volontà, segue pedissequamente il mio corpo, sembra non avere più un’anima. Il silenzio è scomparso, il vento zufola tra le rupi, qualche roccia precipita dalle pareti con un rumore sinistro, ma rassicurante. Urlo contro la montagna ed essa risponde con un’eco che rimbalza più volte e che pian piano si spegne allontanandosi nella pianura. Tutto mi sembra cambiato, il panorama mi è familiare, le montagne che devo affrontare hanno canaloni simili a quelli che solcano le mie montagne, le pareti hanno colori che stemperano le mie ansie.
Mi ergo con le spalle al sole e contemplo la mia ombra che obbedisce ai miei comandi, agito le braccia, alzo le gambe, faccio smorfie e mi beo della visione dell’ombra che mi imita alla perfezione e per di più senza un minimo ritardo temporale., Sono felice…..ma non sarà un sogno? Spero di non svegliarmi. Se non dovrò confrontarmi con il mio ombroso nemico posso salire il canalone velocemente. Il caldo non mi fermerà, quello è il nemico meno pericoloso. Smonto la tenda e bevo una buona quantità d’acqua. Non faccio colazione perché per percorsi di due o tre giorni non porto cibo. La fame è solo un fatto psicologico. Il nostro corpo civilizzato ha tante energie accumulate che due giorni senza cibo possono appena intaccare le riserve. Pedalo per pochi minuti e mi trovo a salire con la bici in spalla nel canalone ancora fresco.
Qualcuna ha un volto, altre si muovono come in una nuvola evanescente, si mescolano tra di loro, riappaiono, si confondono con la notte. Esco con la lampada frontale al massimo, illumino il buio e tutto torna naturale, tutto scompare, la luce distrugge i fantasmi, il silenzio torna ad essere solo mancanza di rumore. Poi mi siedo a terra sulla kefja, appoggiato con la schiena ad una roccia e spengo la lampada, sfidando i miei nemici. La luna ormai tramontata non illumina più il deserto, il buio si riappropria del mondo e della mia anima, i djinn entrano in scena ed io li affronto spavaldo, questa volta. Non fuggo, li guardo dentro li occhi, li fisso, li sfido.
Non ho più possibilità di fuggire e quando un animale viene stretto all’angolo, diventa una belva. Ecco, ora sono una belva, assetata di sangue, con i denti acuminati. Il pavido, il succube, deve reagire, attaccare, ora o mai più. Mi alzo, giro le spalle al nemico in segno di sfida, come un matador che irride il toro volgendogli le terga. Il toro non attacca perché è confuso di tanta baldanza. Forse è questa la strategia giusta, è l’attacco, non la ritirata strategica, che significa sempre una sconfitta. Rientro nella tenda non retrocedendo, ma volgendo le spalle all’ignoto, quello che mi fa più paura. Mi sdraio e mi addormento, sogno…sogno di essere un uccello e volare tra le nubi, il vento accarezza le mie ali, mi tiene in aria, salgo sempre più in alto, tra le torri rocciose, tra le rupi ed i precipizi e poi ancora più in alto, dove le nubi cedono il posto al sole ed ancora più su. Il sole è scomparso ed il cielo è diventato nero e si curva sempre più su di me.
Ora mi sembra di volare in un imbuto che va restringendosi sempre di più e il cunicolo scuro diventa una spirale che precipita in un nero pozzo. Mi volto un momento prima della curva e vedo uno spiraglio luminoso che presto scompare e volo in un fluido denso che rallenta il mio volo per quanto io tenti di procedere battendo con forza le mie aliL’imbuto a spirale si stringe su di me, ora mi blocca, le pareti mi soffocano, le mie ali sono adese al mio corpo che tenta di liberarsi dalla stretta rocciosa. Vedo un lumicino, una luce lontana e striscio verso di essa, ma il torace si stringe e non respiro, sono bloccato in un cunicolo infinito. Il buio mi terrorizza, l’immobilità mi terrorizza, la respirazione rallenta sempre più perché il torace è costretto e non può espandersi. Vedo una fioca luce, appena un punto luminoso che però mi da la speranza e mi dirigo faticosamente verso di esso. Si ingrandisce lentamente man mano che avanzo, ora è diventato un oblò da cui spero di uscire. Mi affaccio e riesco a sbirciare.
Al di la c’è la luce. Tutto è limpido, colorato, i monti si stagliano contro un cielo azzurro, i prati fanno a gara per contenere tutti i colori dei fiori, la brezza accarezza i ghiacciai, tutto è popolato dai miei amici più cari, quelli reali e quelli ormai eterei, tutti sono felici…..ma è tutto lontano, irraggiungibile. L’oblò è troppo stretto per permettermi di passare. Devo tentare comunque . Infilo il capo nel pertugio, poi le spalle ed il torace, forzo e poi mi rendo conto che sono incastrato. Sono le ali che mi impediscono di passare. Un impeto d’ira mi pervade….così vicino alla libertà, alla felicità. Per colpa delle ali…Perdo tutte le speranze e mi abbandono, ma improvvisamente un’idea balena nel mio cervello. Come ho fatto a non pensarci prima? Basta sganciare le ali, rinunciare a volare, e vai ! ……
Mi sveglio con il cuore in tumulto, sono passati solo pochi minuti, quello che credevo fosse durato ore, è stato un istante, un solo momento nella notte. Ma ora so come passare nel mio oblò, ho una soluzione al problema. Rincuorato aggiusto lo zaino sotto la testa e finalmente mi addormento, ma ormai sono le 4. Cado in un sonno profondo e mi sveglia il sole che già illumina le cime più alte. Sono distrutto, un sonno mortale ancora aleggia sulle mie membra, ma devo partire, non posso permettermi di poltrire. A fianco della mia tenda una netta linea d’ombra divide il giorno dalla notte.
Quando finalmente il Sole illumina il mio giaciglio, la mia ombra compare come una marionetta in un palcoscenico. Ma tutto è cambiato, essa si muove diversamente. Mi stupisco che possa muoversi a mio comando, essa ha perso la sua volontà, segue pedissequamente il mio corpo, sembra non avere più un’anima. Il silenzio è scomparso, il vento zufola tra le rupi, qualche roccia precipita dalle pareti con un rumore sinistro, ma rassicurante. Urlo contro la montagna ed essa risponde con un’eco che rimbalza più volte e che pian piano si spegne allontanandosi nella pianura. Tutto mi sembra cambiato, il panorama mi è familiare, le montagne che devo affrontare hanno canaloni simili a quelli che solcano le mie montagne, le pareti hanno colori che stemperano le mie ansie.
Mi ergo con le spalle al sole e contemplo la mia ombra che obbedisce ai miei comandi, agito le braccia, alzo le gambe, faccio smorfie e mi beo della visione dell’ombra che mi imita alla perfezione e per di più senza un minimo ritardo temporale., Sono felice…..ma non sarà un sogno? Spero di non svegliarmi. Se non dovrò confrontarmi con il mio ombroso nemico posso salire il canalone velocemente. Il caldo non mi fermerà, quello è il nemico meno pericoloso. Smonto la tenda e bevo una buona quantità d’acqua. Non faccio colazione perché per percorsi di due o tre giorni non porto cibo. La fame è solo un fatto psicologico. Il nostro corpo civilizzato ha tante energie accumulate che due giorni senza cibo possono appena intaccare le riserve. Pedalo per pochi minuti e mi trovo a salire con la bici in spalla nel canalone ancora fresco.
Sono le 6.30 ed il sole ancora è stanco, sonnecchia ancora anche lui, ha difficoltà ad accendere i forni. Dopo un’ora ancora salgo, ma più salgo, più ritrovo le mie energie. La mia ombra tace, mi segue come un cagnolino ammaestrato, il sole accende le rocce, le infuoca, l’aria torrida sembra rifuggire i polmoni, ma queste sono piccole difficoltà che sono abituato ad affrontare e superare.
I polmoni sembrano rifiutarsi di respirare l'aria rovente che ustiona la gola. L'affanno della salita brucia nel torace. Devo rallentare e respirare più lentamente, magari respirando con il naso per raffreddare il fluido rovente che non può chiamarsi "aria". In quei momenti mi fermo e controllo la mia ombra che sia sempre li e che sia semplicemente la proiezione della mia immagine.
I polmoni sembrano rifiutarsi di respirare l'aria rovente che ustiona la gola. L'affanno della salita brucia nel torace. Devo rallentare e respirare più lentamente, magari respirando con il naso per raffreddare il fluido rovente che non può chiamarsi "aria". In quei momenti mi fermo e controllo la mia ombra che sia sempre li e che sia semplicemente la proiezione della mia immagine.
Il valico si staglia sopra di me mentre pareti verticali mi scortano dove la mia ombra si proietta inutilmente.
La sua prosopopea, i suoi rimproveri, le sue saccenti affermazioni sono lontane, relegate tra le rocce del bivacco, le sabbie hanno seppellito la sua voce . Ora tace, forse per sempre. Sono sul valico e il panorama si allarga a dismisura.
Laggiù, sembra irraggiungibile, c’è il golfo di Suez. Tra lui e me si interpone un canalone ed una piana inumana, ma sono in discesa e so che la piana è percorribile dalle ruote. Scendo quasi saltellando tra le rocce con la bicicletta che, nei punti scabrosi, rotolo senza pudore giù dalle rupi. Eccomi sulla piana, corro sul terreno rovente, mi allontano dalle montagne,pedalo verso il mare.
Mi volto. Lassù, tra la foschia c’è il mio cammino. La polvere alzata dal vento cancella le mie tracce e con esse cancella la mia ombra dispettosa, le mie paure, il mio sogno, i miei fantasmi. Sono tutti lassù, ma forse il deserto li distruggerà, li congelerà nelle pareti e li farà crollare nei canaloni.
Forse qualcuno sopravviverà e prepotentemente tenterà di riprendere il suo posto. E’ un pericolo, lo so. Prima o poi dovrò ancora andare lassù, in quel posto ed accamparmi di nuovo sotto il gebel e sfidare quello che è rimasto. Forse non lo troverò, forse è morto, ma dovrò correre questo pericolo. Per ora godo la vista del mare che si avvicina. Davanti a me si staglia un’ombra, la mia ombra, che finalmente è tornata ad essere solo…..UN’OMBRA…….per ora.
La sua prosopopea, i suoi rimproveri, le sue saccenti affermazioni sono lontane, relegate tra le rocce del bivacco, le sabbie hanno seppellito la sua voce . Ora tace, forse per sempre. Sono sul valico e il panorama si allarga a dismisura.
Laggiù, sembra irraggiungibile, c’è il golfo di Suez. Tra lui e me si interpone un canalone ed una piana inumana, ma sono in discesa e so che la piana è percorribile dalle ruote. Scendo quasi saltellando tra le rocce con la bicicletta che, nei punti scabrosi, rotolo senza pudore giù dalle rupi. Eccomi sulla piana, corro sul terreno rovente, mi allontano dalle montagne,pedalo verso il mare.
Mi volto. Lassù, tra la foschia c’è il mio cammino. La polvere alzata dal vento cancella le mie tracce e con esse cancella la mia ombra dispettosa, le mie paure, il mio sogno, i miei fantasmi. Sono tutti lassù, ma forse il deserto li distruggerà, li congelerà nelle pareti e li farà crollare nei canaloni.
Forse qualcuno sopravviverà e prepotentemente tenterà di riprendere il suo posto. E’ un pericolo, lo so. Prima o poi dovrò ancora andare lassù, in quel posto ed accamparmi di nuovo sotto il gebel e sfidare quello che è rimasto. Forse non lo troverò, forse è morto, ma dovrò correre questo pericolo. Per ora godo la vista del mare che si avvicina. Davanti a me si staglia un’ombra, la mia ombra, che finalmente è tornata ad essere solo…..UN’OMBRA…….per ora.
Chissà, forse scavando sotto la nostra ombra, potremmo trovarci un uomo migliore, magari con un cuore di bimbo. In ogni caso conviene sempre tentare......
Ps: Una spiegazione tecnica dell'ombra. Nel deserto, in giugno-agosto, il sole sorge esattamente ad est e tramonta esattamente ad ovest. Alle ore 12 è perpendicolare al terreno e quindi non procura ombra. Quindi, al mattino, per procedere verso ovest, basta seguire l'ombra che il tuo corpo proietta sul terreno. A mezzogiorno scompare, ma subito dopo compare dalla parte opposta e si proietta dietro di te. Basta guardare indietro e seguire sempre la direzione che l'ombra ti suggerisce.
Ps: Una spiegazione tecnica dell'ombra. Nel deserto, in giugno-agosto, il sole sorge esattamente ad est e tramonta esattamente ad ovest. Alle ore 12 è perpendicolare al terreno e quindi non procura ombra. Quindi, al mattino, per procedere verso ovest, basta seguire l'ombra che il tuo corpo proietta sul terreno. A mezzogiorno scompare, ma subito dopo compare dalla parte opposta e si proietta dietro di te. Basta guardare indietro e seguire sempre la direzione che l'ombra ti suggerisce.
In questo racconto già dalla prima lettura sentivo che ero colpito da una sequenza di emozioni profonde che non riuscivo però a identificare. Dopo un copia incolla immediato e istintivo delle frasi che sentivo di più le ho poi rilette come un racconto a sé :
RispondiElimina“Devo procedere verso ovest ed il sole sorge ad est, quindi la mia ombra si proietta precisamente verso ovest. Un striscia nera si perde nella piana infinita, sembra uno gnomone di una meridiana vivente. Poi l’ombra si accorcia e riconosco la sagoma di un uomo. Devo seguire quell’uomo. Non mi va, mi infastidisce seguire qualcuno, ma devo necessariamente farlo. Se non lo facessi devierei dalla mia direzione.
Mi atterrisce il buio del NULLA
La mia ombra si nasconde con quella delle creste, dei torrioni, delle guglie, poi tutto si confonde, viene inglobato dalla notte.
TUTTO E’ OMBRA. Quello che di giorno è un piccolo disegno scuro sul terreno, di notte prende possesso del mondo e della tua mente. Tutto è nero, nonostante che le stelle tentino di illuminare il deserto.
Tutti aspirano al silenzio….ma nessuno conosce il silenzio del deserto…..pochi sanno quanto sia terrificante l’URLO del silenzio.
Il silenzio sa quanto noi siamo deboli e durante la notte lancia i suoi attacchi. Mi rassicuro perché qualcosa nelle mie orecchie eccita i nervi uditivi…è lo scorrere del mio sangue, odo pulsazioni ritmiche ed una sorta di soffio soffocato, ma è già qualcosa.
La luna ormai tramontata non illumina più il deserto, il buio si riappropria del mondo e della mia anima,
Urlo contro la montagna ed essa risponde con un’eco che rimbalza più volte e che pian piano si spegne allontanandosi nella pianura.”
Sono venute fuori le incertezze, le domande, le paure primordiali, che sperimentiamo nel rapporto con l’ambiente, con il nostro corpo, con la nostra vita - il suo significato e destino - nascoste e rimosse negli angoli più nascosti e profondi del nostro cervello, chissà, forse da quando l’uomo non era ancora in grado né di accendere fuoco e né, tantomeno, di rianimare la propria…ombra.
caro Leo
RispondiEliminami fa molto piacere che ti sia piaciuto questo racconto, o meglio "relazione". Rileggendo le mie traversate, mi ero accorto che spesso evidenziavo la parte avventurosa e atletica correndo il rischio che il lettore (bontà sua...)potesse identificarmi in un eroe solitario "senza macchia e senza paura". Queste cose mi erano state già manifestate e quindi mi sono accinto a raccontare quello che VERAMENTE, spesso aleggiava nel mio animo durante le traversate delle sterminate pianure o durante le notti sotto i monti del Sinai. Quelle eperienze che si possono provare quando si è lontani da tutto e da tutti non sono traferibili quando si torna nella campana protettiva della nostra civiltà, dove tutto è sicuro e certo. Laggiù le favole prendono vita, camminano con te, i tuoi fantasmi ti perseguitano. Quello che qui può far sorridere laggiù è estremamente serio e quindi stai molto attento a non bivaccare nei luoghi di proprietà dei djinn.
Laggiù tutto muta al variare della luce,tutto scompare con il giorno e compare nella notte, diversamente da quello che qui accade, dove la luce illumina e il buio nasconde. Ciao caro Leo
In gioventù vedevo la luce nelle parole di alcune canzoni:La solitudine è un'ombra...che si rivela a chi si sente inutile..(Felona E Sorona - Le Orme)Ne fuggivo.Crescendo sognai una frase che mi rimase nella mente :E' facile confondere i rumori nella notte ,ma il mio è solo un richiamo...La scrissi in un foglio nell'eremo di San Francesco sul monte Subasio , dove si va per meditare e pregare.Unica compagnia Silenzio e solitudine.L'ho incontrata.In età adulta sui libri ho trovato scritto :L'ombra è solo un altro aspetto della luce (T.Terzani).La cerco.Ora sono curioso di ciò che possa riservarmi la vecchiaia.Coinvolgente come sempre.Un saluto Pà.Carlo.
RispondiEliminacaro carlo
RispondiEliminai tuoi commenti sono sempre magnifici e mi fa piacere riceverli, impreziosiscno i miei racconti. La parola "ombra" ci ricorda il buio, il mistero, le streghe, i folletti, gli orchi, ma dentro il mistero dell'ombra è nascosto un altro essere, forse migliore di quello che cammina alla luce del giorno. Noi non lo sappiamo. Ecco perchè ho chiuso il racconto con un augurio ed una speranza:"Chissà, forse scavando sotto la nostra ombra, potremmo trovarci un uomo migliore, magari con un cuore di bimbo. In ogni caso conviene sempre tentare......" Ciao
...E poi il tempo, come sempre ci darà le risposte giuste... Paolo, si resta senza parole, senza fiato, con il cuore che corre.... Si chiama emozione! Grazie! Edoardo
RispondiEliminaGrazie a tutti, sono commosso e gratificato per i vostri commenti.
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