lunedì 4 febbraio 2013

QUANDO IL VENTO GIOCA CON IL DESTINO DEGLI UOMINI


Di fronte al destino siamo liberi…si e no. Siamo costretti dall’acqua, dal pascolo, dalle fessure della roccia e dalla sabbia. Nessun’altra volontà umana ci forza. Siamo liberi di scegliere il modo migliore per piegarci a queste costrizioni, liberi di partire e di fermarci, di togliere la sella e di dormire senz’altro riparo che il cielo.  Liberi…… liberi di scegliere ciò che il destino ha già deciso per noi .”

               Il mio unico bagaglio...acqua, solo acqua sul portapacchi anteriore e posteriore

Le fotografie del post sono dei frames del filmato originale di quel giorno, quindi non particolarmente nitide. Ho preferito inserire delle foto originali  piuttosto che altre foto non corrispondenti temporalmente. Anche se per voi sarebbe stata la stessa cosa, non lo sarebbe stato per i miei ricordi.
 
 SHARM EL SHEIKH  22 LUGLIO 2005...
Già la sera avevo preparato l’acqua ben sistemata sul portabagagli della bici. Non  mi serve altro, non ho bisogno di nulla, ormai.
Ormai so che nel deserto tutto è superfluo. Noi crediamo che ci serva sempre tanto bagaglio. Ma serve alla nostra mente, non al nostro corpo. Qualcuno mi può dire di cosa si può aver bisogno nel deserto? Solo acqua. Vestiti? Perché? Non fa freddo e nessuno ci può vedere. Solo acqua, tanta acqua. Nessuno può resistere senza acqua. Nessun tureg o bedu resiste più di un qualunque altro uomo senza acqua. Loro resistono più di un occidentale solo perchè sanno  soffrire di più. Il cibo? Per tre giorni è assolutamente superfluo, abbiamo tante di quelle riserve nel nostro ipernutrito corpo europeo!! Saponi e belletti vari? L’acqua serve per sopravvivere, non per pulirsi.  La tenda? Forse perché si ha bisogno di tener separato il “FUORI” cattivo, dal “DENTRO” buono. Ma il “fuori” non è cattivo, è solamente il “DESERTO”. Bisogna imparare a vivere non “nel deserto”, ma “con il deserto”. Solo allora si può dire di apprezzare questo ambiente. Il deserto è sempre dentro di noi, allora perché abbiamo paura di quello vero?  Quindi ormai parto con estrema facilità dopo aver caricato tanta acqua, quanta più ne posso portare, limitata solo dalla capacità di carico della bici e dalla forza delle mie gambe e mi dirigo verso nord.
              La prima parte del tragitto fino alle montagne è abbastanza intuitivo
Devo raggiungere quasi Dahab e poi inoltrarmi verso ovest, traversare le catene dei monti e tentare di raggiungere una strada nell’interno che mi permetterà di fare rifornimento di acqua in qualche sedicente “bar” che raramente si incontrano lungo le strade.  Ma non so nulla dell’itinerario tra le montagne, non  ho la più pallida idea di quanto sia lungo il tragitto e quali difficoltà dovrò affrontare , ne so se ci sia uno sbocco percorribile, ma è quello che mi piace.
         La parte a me sconosciuta dell'itinerario tra il labirinto di   montagne
 Come al solito non rispondo alle richieste di chi mi chiede dove sarò e quando tornerò. "Non lo so"…..e questa risposta mi da un’immensa sensazione di libertà. Libertà di andare e venire quando sarà il momento, di riposare e camminare secondo le mie energie e non secondo un programma prestabilito, di camminare fuori dalle strade tracciate, che mi imprigionano psicologicamente. La libertà di non avere un fine ne una meta….. la libertà di vivere. Ad una sola cosa solo legato. Rispondo solo ad una cosa: all’acqua. Solo lei decide della mia vita, solo lei sarà padrona della mia vita nei prossimi due (?)  giorni. Ne porto una quantità che dovrebbe bastarmi . In caso di emergenza dovrei cavarmela per tre giorni. Diciamo due giorni con una certa sicurezza. Due giorni di più assoluta libertà, ma so che è una libertà condizionata, presto dovrò rientrare nel carcere della nostra comune e generica vita. Un carcere che ci siamo costruiti attorno che ci protegge da ogni pericolo, ma che è pur sempre un carcere. 

       Al mattino il vento solleva granuli di sabbia, come carta abrasiva sulla pelle 
 Quando ancora il sole è nascosto dai monti arabi al di la del golfo di Aquaba, parto con lena, mentre il vento mi sveglia definitivamente. Un vento che si indirizza sempre più precisamente davanti alla mia fronte. Il sole sorge con un guizzo quando sono davanti l’aereoporto di Charm. Al di la, il sole ormai decisamente sorto, dona più energia al vento.  Una ventola immane sembra girare le sue pale davanti la mia bicicletta. Ho serie difficoltà ad avanzare. Ma so anche che non devo assolutamente lamentarmi. Ancora le mie ruote girano su una buona pista, ma ancor  la temperatura è accettabile.

 Nel sole del primo mattino il termometro segna 39 gradi e la sensazione che ho è quasi di freddo. Fra un’ora salirà vertiginosamente. Lo so perché conosco questo vento, come da noi conosciamo il fresco maestrale, la gelida tramontana o il caldo scirocco. Questo è il vento caldo del deserto, proviene dalle roventi sabbie arabe. Già una volta ho sfidato quest’aria che sembra abbia un’anima.

Fu quella volta che incontrai il team di Overland.( leggi . "la carovana di Overland" luglio 2012 in questo blog) . Successivamente ho visto il documentario di quel giorno. Si lamentavano del terribile vento caldo incontrato mentre la cinepresa inquadrava la sabbia alzata dal vento impietoso. Si lamentavano perché neppure dentro la cabina climatizzata del camion c’erano condizioni accettabili. Il sistema di aria condizionata non era sufficiente a stemperare le condizioni infernali dell’esterno….ed io ero all’esterno e pedalavo nel deserto! Man mano che procedo quindi mi torna in mente quel giorno e mi rendo conto sempre più che anche oggi il vento è lo stesso, ma quel giorno avevo una meta conosciuta, oggi non so dove potrò, ne  se potrò arrivare. Passano i km con lentezza esasperante, ma il tempo sembra non seguire lo stesso metro ed il sole sembra esser più veloce dei minuti e delle ore, sembra essere slegato all’orario. Solo il vento non cede un’attimo ed anzi ancora più rinforza. Non pensavo che potesse ancora rinforzare.

Alla mia sinistra si stende la piana allucinante in costante salita fino alla prima catena di montagne. Appena apparirà uno wadi mi dirigerò verso di esse sperando di poter passare. Ma la piana è lunga decine di km. Incrocio delle macchine che vanno a velocità assurde su una pista polverosa larga appena per far passare l’autovettura e quando mi incrociano non hanno il benché minimo segno di rallentamento. Il vento, sommato all’aria smossa dalla macchina nascosta in una nuvola di polvere, mi getta ogni volta quasi a terra cosicché quando finalmente abbandono la dannata pista, tiro un sospiro di sollievo.

Ma ora devo pedalare su un terreno in lieve, costante salita, con il vento perennemente contrario e con una temperatura di 45 gradi. Come se non bastasse la polvere mi acceca e mi impasta la bocca. Comincio a sentire i primi segni della disidratazione. Devo bere, non posso correre rischi. Devo però anche considerare che l’acqua dovrà bastarmi per due giorni. Il terreno è duro come l’asfalto e solo pochi piccoli sassi sono incastrati nella terra alluvionale dello wadi. Se non ci fosse il vento procederei con speditezza, ma il vento è come un muro, anzi, come un’elastico. Piccoli aumenti di velocità da parte mia si traducono in sempre più difficoltà ad avanzare. Sembra un muro di gomma contro cui si infrange la mia forza che sempre più va scemando man mano che il sole fa salire la temperatura…. 46…47…48…49….poi 50 gradi. Quasi un traguardo, magari fosse un traguardo!!!I rapporti meccanici più corti mi fanno avanzare a 4-5 km orari, con estrema difficoltà e con improba fatica.
                    Il caldo ed il vento mi procurano difficoltà respiratorie
 Anche se ho cambiato direzione, avanzando con componente nord.ovest, purtuttavia il vento si infrange sempre contro la mia fronte, quasi avesse un’anima malefica. Ora, appena superato il medio-die, il termometro sale a 53 gradi. Una catena di montagne circonda lo wadi che percorro, la costa è da tempo scomparsa. Il terreno ora è breccioso e morbido. Il vento è con esso alleato.

 Devo scendere e spingere la bicicletta. Devo bere spesso, la bocca si impasta, la gola brucia, gli occhi lacrimano, i muscoli dolgono. Il mio abito è da tempo solo la mia pelle. Il sole non danneggia la mia coriacea e scura cute e quindi sono vestito come gli indiani d’america, cioè sono praticamente nudo. Il vento mi ustiona gli occhi e l’anima, non la pelle. Il problema è che tutta la mia pelle, esposta totalmente al vento, evapora portando via velocemente acqua preziosa. La sete mi tormenta nonostante che spesso mi fermo a bere. Ora avanzo a 55 gradi  contro un vento che non presenta nessun segno di cedimento. Magari le mie gambe avessero la sua stessa forza.









Arrivo ad un ampio passo, credevo fosse il punto più alto, ma davanti a me altri km di salita per arrivare ad un punto che ancora una volta si dimostra non essere il valico definitivo. Sono le due del pomeriggio…56 gradi, speriamo sia l’ultimo. Dopo venti
minuti arrivo al passo ed il termometro tende a scendere…55.


Il passo segna anche i miei primi crampi. Dapprima un polpaccio, poi l’interno coscia, poi un quadricipite. Devo assolutamente bere, anche se ora non ho una gran sete. In ogni caso devo reintrodurre acqua e sale. Al di la un’ampia valle.


Cime come coni vulcanici a perdita d’occhio, ed in fondo la catena principale, altissima. Il passo è a 480 m di quota e la valle sarà a 300. Non c’è segno di strada, forse la strada è al di la della catena di montagne che vedo all’orizzonte. Sono le 15 e sono circa 8 ore che procedo come una lumaca, ininterrottamente.

Il vento mi ha letteralmente prosciugato e solo ora mi accorgo che ho consumato troppa  acqua. Purtroppo so che con questo vento anche questa notte la temperatura non scenderà, rimarrà comunque sopra i 40 gradi ed anzi, le rocce infuocate non avranno la possibilità di raffreddarsi.

La sensazione di calore aumenterà ancor più quando l’umidità della notte farà aumentare  a dismisura il senso di disagio. Mi rimangono cinque litri d’acqua. Ne ho consumato una quantità enorme. Senza averne la sensazione, ne ho consumato quasi 15 litri. Non ho scelta, non posso procedere oltre, devo tornare indietro. Non posso passare la notte.

Non ho l’acqua per le altre 10 ore che devo mettere in conto per trovare il villaggio del Mandar dove potrò rifornirmi di acqua. Ho detto che DEVO TROVARE perché non ho la più pallida idea di dove si trovi.

Ho solo l’intuizione della sua posizione. Comunque non mi preoccupo. Questo vento massimo dura tre giorni e avrò il tempo di tornare domani o magari dopodomani.

 Alle cinque, dopo alcuni giri esplorativi per capire l’orografia del luogo ed orientarmi in questo dedalo di coni e colline, mi accingo a risalire il passo e a gettarmi nuovamente nella piana. Oggi non ho forato! Appena questo pensiero si materializza nella mia mente uno sbuffo alla ruota mi annuncia che comincia il calvario della riparazione delle ruote.

Sembra quasi  che la ruota non attendesse altro che il mio pensiero per sgonfiarsi indegnamente. Ormai la foratura non mi preoccupa più perché la considero un male necessario. Dover tornare indietro non mi da il benché minimo senso di “sconfitta”, anzi è ancora una volta il senso del deserto, dove nulla è sicuro.


Se solo sapessi quello che mi aspetta dovrei invece essere felice della decisione presa e dell’acqua che non mi è bastata.
Corro nella piana in discesa finalmente con il vento alle spalle che mi spinge come un’ariete. Devo addirittura frenare per non correre rischi.
Mi getto sull’asfalto in pianura ed il vento mi fa andare a 38km orari senza pedalare. Mi rendo conto allora che il vento almeno corre a 70 km/h, forse qualche raffica è ancora più violenta.
Alle prime ore della notte sono arrivato con lo stupore dei miei  che non aspettavano il mio ritorno. Bevo…..bevo….bevo…..  racconto del vento e del caldo, ma come sempre non interessa a nessuno.

C’è stato un tempo che questa cosa mi crucciava, ora  mi è indifferente. Le cose le faccio solo per me, anche se mi piacerebbe condividere almeno il racconto, non dico la marcia. E’  passata mezzanotte….un’esplosione, due, tre…..Tornano i primi turisti.
Qualcuno piange, alcuni feriti. Un’attentato…morti…devastazione….nessuno sa nulla. Sirene…polizia…Il figlio di un mio amico è ad una festa in una discoteca allestita in una cava del deserto. Rientra appena in tempo per non farci preoccupare. Facciamo l’appello, siamo tutti presenti. Ci arrivano alcune telefonate preoccupate, poi tutto si blocca e siamo isolati. Ci chiamano nel villaggio per sapere se siamo in stanza, ci invitano a firmare il registro. Al telefonino arriva un messaggio della Farnesina che invita tutti gli italiani a lasciare al più presto Charm el Sheick. Come si fa..a nuoto? Oppure a piedi nel deserto? Questa cosa mi fa arrabbiare perché incute in tutti i presenti una notevole preoccupazione. Facciamo una riunione e spingo la mia comitiva a non lasciarci prendere dal panico. Dicono che potremo lasciare Sharm già domani mattina con dei voli messi a disposizione.
Non è il caso di fuggire nella calca. Meglio aspettare il volo già prenotato tra tre giorni. Tutto si sarà calmato e si avrà una maggior sicurezza. Mi danno ascolto.
Il mattino successivo apprendo che nella notte, appena dopo le esplosioni dell’attentato, hanno fatto una retata nel deserto. Hanno arrestato numerosi beduini e ci sono stati dei conflitti a fuoco in cui forse sono rimasti uccisi alcuni nomadi. Cosa sarebbe successo se mi avessero trovato nel deserto senza documenti , di notte oppure anche il giorno successivo? La polizia egiziana comunque prima spara e poi parla. Ho corso un rischio enorme. Se avessi incontrato delle persone armate nella notte, mentre bivaccavo, che mi urlavano in una lingua sconosciuta, forse mi sarei rifugiato nei monti, dove mi trovo più a mio agio, tentando di mettermi in salvo da un ipotetico rapimento.  Mi avrebbero sicuramente sparato, come hanno fatto con i beduini sospetti. Se mi avessero catturato, nella migliore delle ipotesi avrei dovuto affrontare un interrogatorio che non è certamente come dai nostri commissariati, dove sono rispettati tutti i diritti costituzionali. Ancora una volta il mio angelo custode si è dato molto da fare e non si è distratto un momento…e il destino si è servito del vento per urlarmi nelle orecchie che forse sarebbe stato  meglio decidere di tornare....libero di scegliere  ciò che il destino aveva già deciso per me....

2 commenti:

  1. impressionante la precisione del caso che ti ha fatto prendere la corretta decisione...Ma quando un evento apparentemente estraneo ai tuoi piani (acqua,foratura ecc) determina in te una decisione che si rivela particolarmente giusta...si può parlare di semplice caso???Non ho mai creduto al caso!!Quella voce dentro di noi che quasi mai ascoltiamo solo per ostinazione cieca è spesso il terzo occhio...quella potenzialità mai coltivata che abbiamo ,simile ad un superpotere che confondiamo tra i rumori delle nostre buie notti mentali.Il silenzio del deserto te le ha restituite...Il deserto ti è stato più amico di quallunque altro,ma tu lo sapevi già...A presto Pà.Carlo.

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  2. Ciao Carlo
    spesso mi chiedo se durante la mia vita ho fatto delle azioni dettate dalla ragione o da qualche altra cosa. La risposta è che la maggior parte delle volte seguo sempre il mio "istinto". Il problema è che non so cosa sia "l'istinto". Mi piace credere che sia l'omonimo di "esperienza", questo mi darebbe una gratificazione tutta umana. Però credo ( ho timore) che invece la parola "istinto" sia più vicina a...Fato..Caso...Fortuna...Destino...Provvidenza....Sorte e questo annienta la mia capacità di intervenire....
    Ciao

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