“Sulle sabbie del deserto come sulle acque degli oceani non è possibile soggiornare, mettere radici, abitare, vivere stabilmente. Nel deserto come nell'oceano bisogna continuamente muoversi, e così lasciare che il vento, il vero padrone di queste immensità, cancelli ogni traccia del nostro passaggio, renda di nuovo le distese d'acqua o di sabbia, vergini e inviolate.” (Alberto Moravia).
La parete ed i bastioni de "I sette pilastri della saggezza"
I “ 7 Pilastri Della Saggezza” è una montagna che si trova in Giordania, nel Wadi Rumm, ma è anche il titolo del libro di Lawrence d’Arabia, che racconta la storia della rivolta araba combattuta dal 1916 al 1918.
Il wadi Rumm è il luogo da dove partirono le tribù arabe di Auda Abu Tai degli Oweitat condotte da T.E.Lawrence per attaccare Aqaba, roccaforte turca, dopo aver attraversato il deserto di Nefud. I cannoni di Aqaba erano diretti verso il mare perchè nessuno poteva traversare il Nefud. I predoni attaccarono dal deserto, Aqaba cadde, si aprì la strada verso Damasco e Lawrence entrò nella leggenda.
Il wadi Rumm è il luogo da dove partirono le tribù arabe di Auda Abu Tai degli Oweitat condotte da T.E.Lawrence per attaccare Aqaba, roccaforte turca, dopo aver attraversato il deserto di Nefud. I cannoni di Aqaba erano diretti verso il mare perchè nessuno poteva traversare il Nefud. I predoni attaccarono dal deserto, Aqaba cadde, si aprì la strada verso Damasco e Lawrence entrò nella leggenda.
Traversare da solo il Wadi Rumm non è solo camminare nella sabbia, è soprattutto immergersi nella favola dell’incanto del luogo, dove le montagne raccontano di battaglie, di scontri epici, di sangue versato, dove personaggi veri ed immaginari si confondono con la magia vermiglia delle sabbie del mattino in cui troneggia incontrastato il Sole. Oggi il deserto ha cancellato tutto, il vento ha nascosto le tracce di quegli uomini, la sabbia ha asciugato il sangue dei combattenti.
Oggi solo impera la sabbia, le montagne, il sole, quasi che nulla fosse accaduto, quasi che le battaglie non siano mai state combattute, quasi che gli uomini non siano mai esistiti, come sempre succede nel deserto. Oggi solo regna il silenzio, quasi che le urla di battaglia, gli scoppi delle granate, il calpestio dei cavalli, siano stati congelati nelle verticali pareti dei monti incombenti sulla valle. Tutto è stato ingoiato dal deserto che, dopo essere stato insozzato dagli uomini, è tornato puro e pulito.
“Il giorno nascente ci colse in marcia fra due grandi cime di roccia arenaria, diretti verso il confine di un lungo e dolce pendìo che sembrava quasi rovesciarsi giù dai monti torreggianti davanti a noi.
Tutto era coperto di tamerici: mi informarono che qui iniziava la vallata di Rumm. Guardammo verso sinistra, una lunga parete rocciosa che avanzava verso il centro della valle come una lunghissima onda infinita.
A destra, la valle terminava invece con una sequenza di rossi colli aspri e frastagliati.
Risalimmo pian piano il pendìo, aprendoci la strada crepitando attraverso le fratte secche e aride. Con l'avanzare della strada, i cespugli si raggrupparono in macchie, le cui foglie diventarono di un color verde più carico, e più puro, a contrasto dei contigui spazi sabbiosi di un delicato colore rosa. Il declivio si fece più dolce, fin quando la valle si ridusse ad una pianura inclinata e limitata.
I monti a destra divennero più alti e ardui, in buona risposta alla sinistra che si drizzava ormai in un unico massiccio bastione purpureo.
Tutto era coperto di tamerici: mi informarono che qui iniziava la vallata di Rumm. Guardammo verso sinistra, una lunga parete rocciosa che avanzava verso il centro della valle come una lunghissima onda infinita.
A destra, la valle terminava invece con una sequenza di rossi colli aspri e frastagliati.
Risalimmo pian piano il pendìo, aprendoci la strada crepitando attraverso le fratte secche e aride. Con l'avanzare della strada, i cespugli si raggrupparono in macchie, le cui foglie diventarono di un color verde più carico, e più puro, a contrasto dei contigui spazi sabbiosi di un delicato colore rosa. Il declivio si fece più dolce, fin quando la valle si ridusse ad una pianura inclinata e limitata.
I monti a destra divennero più alti e ardui, in buona risposta alla sinistra che si drizzava ormai in un unico massiccio bastione purpureo.
Le due pareti si accostarono e la valle rimase larga non più di tre chilometri; poi si alzarono sempre di più, fin quando i loro parapetti paralleli corsero sopra di noi, proseguendo per svariati chilometri come una lunga via dritta.
Non erano pareti rocciose ininterrotte, ma composte da diversi strati con blocchi simili ad edifici giganti. Spaccature profonde, larghe cinquanta metri, dividevano i blocchi, le cui superfici erano state levigate e scavate dalla pioggia con alte absidi e scanalature, e presentavano fenditure e cesellature come in un lavoro di arabesco.
Caverne rotonde, lungo le pareti a strapiombo, occhieggiavano alte come finestre; altre, alla base, si aprivano come porte. Striature scure si allungavano giù verso le rocce in ombra, come macchie dovute ad una lunga usura.
I picchi erano striati verticalmente nelle loro rocce granulari, il cui ordine primo poggiava su stratificazioni di blocchi infranti, alti duecento metri, di colore più intenso e di pietra più dura. Questo zoccolo non si presentava disposto a pieghe, come la roccia arenaria, ma frammentato in strati di pietre sciolte orizzontali, come la base di un muro.
I blocchi culminavano in cumuli di guglie rosse, ma meno vivaci del resto dei monti, anzi alquanto grigie e non molto alte, che servivano a dare l'ultimo tocco di parvenza bizantina a questo luogo affascinante, una strada di pellegrini più lunga di quanto non si riesca a immaginare.
La nostra carovana si rese conto della propria piccolezza, e divenne silenziosa, timorosa e vergognosa di ostentare la propria pochezza alla presenza della maestosità delle montagne.
Caverne rotonde, lungo le pareti a strapiombo, occhieggiavano alte come finestre; altre, alla base, si aprivano come porte. Striature scure si allungavano giù verso le rocce in ombra, come macchie dovute ad una lunga usura.
I picchi erano striati verticalmente nelle loro rocce granulari, il cui ordine primo poggiava su stratificazioni di blocchi infranti, alti duecento metri, di colore più intenso e di pietra più dura. Questo zoccolo non si presentava disposto a pieghe, come la roccia arenaria, ma frammentato in strati di pietre sciolte orizzontali, come la base di un muro.
I blocchi culminavano in cumuli di guglie rosse, ma meno vivaci del resto dei monti, anzi alquanto grigie e non molto alte, che servivano a dare l'ultimo tocco di parvenza bizantina a questo luogo affascinante, una strada di pellegrini più lunga di quanto non si riesca a immaginare.
La nostra carovana si rese conto della propria piccolezza, e divenne silenziosa, timorosa e vergognosa di ostentare la propria pochezza alla presenza della maestosità delle montagne.
Solo le visioni di paesaggi in un sogno fanciullesco si affacciano talvolta così immense e silenti. Ripercorremmo il viatico della memoria per ritrovare quel prototipo di strada dove tutti gli uomini si avviano fra due pareti simili a queste, verso uno spiazzo aperto come quello che ci stava dinanzi e dove la strada sembrava esaurirsi.
Più tardi, durante le nostre frequenti scorribande, il ricordo mi convinse spesso ad abbandonare la via diretta, per schiarire i miei sensi con una nottata a Rumm, cavalcando giù per la vallata rischiarata dall'aurora, verso le pianure luminose, o percorrendola all'insù, nel tramonto, verso quello slargo luminoso che la mia timida .anticipazione non mi permetteva mai di raggiungere.
Cavalcammo per molte ore, mentre si ingrandivano le montagne e diventavano stupende nella loro geometrica disposizione, fin quando una fenditura nella superficie rocciosa, a mano destra, non ci permise di scorgere un nuovo prodigio.
La frattura era poco più che una fessura in una parete di quel genere, e conduceva a una specie di anfiteatro di forma ovale, piatto di fronte con lunghe pareti a sinistra e a destra.
Le pareti laterali si levavano a picco, come tutte le rocce di Rumm, ma sembravano più grandi, perché il pozzo era situato al centro del colle incombente, e la sua piccolezza faceva ingigantire tutte le alture circostanti.
Il sole era tramontato dietro la parete sinistra, lasciando in ombra l'anfiteatro, ma i suoi bagliori morenti inondavano di clamorosa luce rossa le ali ai due lati e all'ingresso, e il massiccio infuocato dell'altra parete, dal lato opposto della grande vallata.
II fondo dell'anfiteatro era ricoperto da una coltre di sabbia umida, sparsa di macchie scure di cespugli legnosi;
alla base delle pareti si vedevano blocchi più grandi di case, talvolta simili a fortezze precipitate dall'alto; di fronte a noi, un sentiero, dal tracciato pallido per il lungo uso, saliva zigzagando su per lo zoccolo, al punto da dove partiva la lastra più grande, e lassù tendeva all'improvviso verso sud, lungo un argine basso segnato da occasionali alberi dal fitto fogliame.
Da alcune fenditure nella roccia, celate dalle piante, uscivano strane grida: gli echi convertiti in musica delle voci degli Arabi che abbeveravano i cammelli alle sorgenti che sgorgavano lassù, a cinquecento metri d'altezza.
Più tardi, durante le nostre frequenti scorribande, il ricordo mi convinse spesso ad abbandonare la via diretta, per schiarire i miei sensi con una nottata a Rumm, cavalcando giù per la vallata rischiarata dall'aurora, verso le pianure luminose, o percorrendola all'insù, nel tramonto, verso quello slargo luminoso che la mia timida .anticipazione non mi permetteva mai di raggiungere.
Cavalcammo per molte ore, mentre si ingrandivano le montagne e diventavano stupende nella loro geometrica disposizione, fin quando una fenditura nella superficie rocciosa, a mano destra, non ci permise di scorgere un nuovo prodigio.
La frattura era poco più che una fessura in una parete di quel genere, e conduceva a una specie di anfiteatro di forma ovale, piatto di fronte con lunghe pareti a sinistra e a destra.
Le pareti laterali si levavano a picco, come tutte le rocce di Rumm, ma sembravano più grandi, perché il pozzo era situato al centro del colle incombente, e la sua piccolezza faceva ingigantire tutte le alture circostanti.
Il sole era tramontato dietro la parete sinistra, lasciando in ombra l'anfiteatro, ma i suoi bagliori morenti inondavano di clamorosa luce rossa le ali ai due lati e all'ingresso, e il massiccio infuocato dell'altra parete, dal lato opposto della grande vallata.
II fondo dell'anfiteatro era ricoperto da una coltre di sabbia umida, sparsa di macchie scure di cespugli legnosi;
alla base delle pareti si vedevano blocchi più grandi di case, talvolta simili a fortezze precipitate dall'alto; di fronte a noi, un sentiero, dal tracciato pallido per il lungo uso, saliva zigzagando su per lo zoccolo, al punto da dove partiva la lastra più grande, e lassù tendeva all'improvviso verso sud, lungo un argine basso segnato da occasionali alberi dal fitto fogliame.
Da alcune fenditure nella roccia, celate dalle piante, uscivano strane grida: gli echi convertiti in musica delle voci degli Arabi che abbeveravano i cammelli alle sorgenti che sgorgavano lassù, a cinquecento metri d'altezza.
Le piogge, cadendo sulla cima grìgia del monte, parevano aver lentamente impregnato tutta la roccia porosa. Accompagnai con il pensiero il lento filtrare delle gocce, tratto dopo tratto, giù per quei monti di pietra arenaria, fin quando andavano a picchiare contro gli impenetrabili strati orizzontali dello zoccolo, e pressati dall'alto, proseguivano la loro corsa sulla superficie, prorompendo in getti, alla congiunzione.
Il buio ci avvolse rapidamente in quel luogo alto e chiuso, e l'aria pregna d'acqua ci parve fredda a contatto con la nostra pelle bruciata dal sole.”
Per Lawrence il cammino è concluso, ma la traversata per me continua, devo arrivare all'accampamento tendato.
Il sole si appresta al riposo, i piedi ustionati dal caldo, mentre la mente e le membra si ristorano nell'aria tersa ed accesa come un lampione.
Le ombre si allungano e, mentre corrono nel deserto seguendo gli ordini del sole, tutto balla davanti ai miei occhi. La base di una colonna gigantesca si erge nel deserto come un relitto di una cattedrale immaginaria dove le pareti sorreggono la cupola del cielo.
Il buio ci avvolse rapidamente in quel luogo alto e chiuso, e l'aria pregna d'acqua ci parve fredda a contatto con la nostra pelle bruciata dal sole.”
Per Lawrence il cammino è concluso, ma la traversata per me continua, devo arrivare all'accampamento tendato.
Il sole si appresta al riposo, i piedi ustionati dal caldo, mentre la mente e le membra si ristorano nell'aria tersa ed accesa come un lampione.
Le ombre si allungano e, mentre corrono nel deserto seguendo gli ordini del sole, tutto balla davanti ai miei occhi. La base di una colonna gigantesca si erge nel deserto come un relitto di una cattedrale immaginaria dove le pareti sorreggono la cupola del cielo.
Cammino verso il sole, quella è la mia direzione, almeno credo. Spero di sbagliarmi, di perdermi tra queste valli, di immergermi dentro il sole morente, tra le luci e le ombre incipienti, dentro i ricordi della mia infanzia.
Una torre sorregge il sole malato che si appresta al riposo. Una stretta valle, un po più di un'intaglio tra le rocce è la mia via,
ma prima di immergermi nel buio incipiente volgo un'ultimo sguardo al sole.
Nella valle la luce scompare quasi per magia ed io mi aggiro in un labirinto di torri e di rocce, ma la mia direzione è obbligata.
Nella valle la luce scompare quasi per magia ed io mi aggiro in un labirinto di torri e di rocce, ma la mia direzione è obbligata.
Un brivido mi corre nella schiena. Uno zefiro tiepido scorre verso la luce, ma per reazione del giorno torrido, sembra gelido.
Al di la della stretta valle lo sguardo non vede altro che altre montagne, sembra senza uscita, ma devo andare avanti se voglio sapere se esiste un passo.
Una carovana di beduini viaggia nella direzione opposta alla mia. Forse proviene da dove io dovrò andare, quindi sono sulla via giusta, non credo che qui ci siano molte mete. Ma ora non mi rimane altro che seguire le tracce.
In lontananza si intravvede la valle e al di la delle montagne c'è il campo. Ormai le stelle accendono il cielo, la fioca luce delle stelle che nei nostri cieli non ha alcun valore, qui dove il buio è totale, assume un suo preciso significato.
Ogni puntino luminoso accende una porzione di deserto, l'aria tersa non oppone alcun ostacolo al cammino dei fotoni. Ma la luna malata, appena una falce morente, fa da padrona. Sembra un faro acceso in una costa marina durante una notte tempestosa. Cammino nel buio della notte....ma dov'è il buio? Comunque è ora di fermarmi. Una sabbia tiepida accoglie il riposo. Mi sdraio con gli occhi al cielo.
(la lunga esposizione della foto non ha permesso una buona nitidezza)
Una timida falce di luna ammicca tra le creste e le cime, forse attende che il sole scompaia definitivamente nella terra per illuminare la notte.
Le tracce mi portano fuori dalla valle senza indugiare in intagli laterali che sembrano più percorribili. Riesco a fare una foto nel buio pressochè completo grazie alla lunga esposizione della acchina fotografica.
Ogni puntino luminoso accende una porzione di deserto, l'aria tersa non oppone alcun ostacolo al cammino dei fotoni. Ma la luna malata, appena una falce morente, fa da padrona. Sembra un faro acceso in una costa marina durante una notte tempestosa. Cammino nel buio della notte....ma dov'è il buio? Comunque è ora di fermarmi. Una sabbia tiepida accoglie il riposo. Mi sdraio con gli occhi al cielo.
(la lunga esposizione della foto non ha permesso una buona nitidezza)
Non mi serve nulla per dormire, solo una coperta da stendere al suolo. E' già molto tempo che non porto più la tenda. Sono lontani i tempi in cui avevo bisogno di un rifugio, di qualcosa che dividesse il dentro (buono) , dall'esterno (cattivo), che mi isolasse e che mi permettesse di dormire tranquillo. Ora il deserto veglia il mio sonno ed una volta affrescata culla il mio riposo. Lo scorpione a queste latitudini si erge fiero nel cielo, la sua configurazione è inconfondibile .
Gli arabi lo chiamarono "Acrab", Scorpione. Durante tutta l'estate è il padrone assoluto della notte. Le sue chele gigantesche si ergono minacciose a mordere il tallone di Orione che lo fugge, scomparendo all'orizzonte.
Mi sveglio durante la notte ad ascoltare il vento che saltella tra le rocce, ad ascoltare l’urlo del deserto che è sordo alle orecchie, ma che rimbomba nella mia anima.
Mi piace alzare gli occhi e vedere il mio fedele custode con la coda avvolta tra e galassie e le nebulose, che incede maestoso, fuggendo il chiarore dell’Aurora che restituì la vista al cacciatore Orione. Mentre lo Scorpione si rintana all’orizzonte e la sua coda ancora si agita nel cielo, un pallido chiarore si appropria timidamente dell’est. E’ l’avanguardia del Chems (il Sole) che preannuncia il suo regale arrivo. Inutilmente le stelle tentano di resistere illuminando per un’ultimo istante l’ovest tenebroso, poi vengono ingoiate in un baleno.
Già prima che l’orizzonte si apra come un palcoscenico presentando un bagliore infinito, tutta la magia notturna scompare e con essa i sogni, le favole, i folletti, le paure, i fantasmi della mia infanzia, ed i rimpianti della maturità. E' ora di alzarsi, di camminare. Ritto con le spalle alle tenebre attendo......Un flash, un urlo visibile che ferisce come un coltello ed il Sole è sorto, seppellendo il freddo della notte. Porta con se la vita....e la morte.
Un'altro giorno è nato, inesorabile, sordo alle miserie ed alle debolezze umane. Il Sole è li, appeso alla volta, accecante, i suoi raggi implacabili penetrano nella terra e nelle menti, distruggendo ogni volontà. Egli è li, in attesa di recitare il giornaliero dramma con gli uomini, ricordando loro quanto essi siano deboli e fragili, semmai qualcuno, durante la notte, possa averlo dimenticato. Io conosco la mia debolezza, quindi parto con questo fardello di pesante carne e mi incammino verso la civiltà, verso la gabbia che mi reclama, come sempre e da cui ogni volta tento di fuggire.
Eccola la civiltà, qui è rappresentata dalla ferrovia che percorre questo deserto disumano ma affascinante. Al di la l'ultima piana da percorrere con il Sole che impietositosi dell'umana debolezza, si è nascosto tra nubi alte.
Ma ormai le sbarre della gabbia si richiudono dietro di me, imprigionandomi....ecco l'accampamento ancora addormentato, ecco le macchine che mi porteranno via.............................
Gli arabi lo chiamarono "Acrab", Scorpione. Durante tutta l'estate è il padrone assoluto della notte. Le sue chele gigantesche si ergono minacciose a mordere il tallone di Orione che lo fugge, scomparendo all'orizzonte.
Mi sveglio durante la notte ad ascoltare il vento che saltella tra le rocce, ad ascoltare l’urlo del deserto che è sordo alle orecchie, ma che rimbomba nella mia anima.
Mi piace alzare gli occhi e vedere il mio fedele custode con la coda avvolta tra e galassie e le nebulose, che incede maestoso, fuggendo il chiarore dell’Aurora che restituì la vista al cacciatore Orione. Mentre lo Scorpione si rintana all’orizzonte e la sua coda ancora si agita nel cielo, un pallido chiarore si appropria timidamente dell’est. E’ l’avanguardia del Chems (il Sole) che preannuncia il suo regale arrivo. Inutilmente le stelle tentano di resistere illuminando per un’ultimo istante l’ovest tenebroso, poi vengono ingoiate in un baleno.
Già prima che l’orizzonte si apra come un palcoscenico presentando un bagliore infinito, tutta la magia notturna scompare e con essa i sogni, le favole, i folletti, le paure, i fantasmi della mia infanzia, ed i rimpianti della maturità. E' ora di alzarsi, di camminare. Ritto con le spalle alle tenebre attendo......Un flash, un urlo visibile che ferisce come un coltello ed il Sole è sorto, seppellendo il freddo della notte. Porta con se la vita....e la morte.
Un'altro giorno è nato, inesorabile, sordo alle miserie ed alle debolezze umane. Il Sole è li, appeso alla volta, accecante, i suoi raggi implacabili penetrano nella terra e nelle menti, distruggendo ogni volontà. Egli è li, in attesa di recitare il giornaliero dramma con gli uomini, ricordando loro quanto essi siano deboli e fragili, semmai qualcuno, durante la notte, possa averlo dimenticato. Io conosco la mia debolezza, quindi parto con questo fardello di pesante carne e mi incammino verso la civiltà, verso la gabbia che mi reclama, come sempre e da cui ogni volta tento di fuggire.
Eccola la civiltà, qui è rappresentata dalla ferrovia che percorre questo deserto disumano ma affascinante. Al di la l'ultima piana da percorrere con il Sole che impietositosi dell'umana debolezza, si è nascosto tra nubi alte.
Ho cercato, te lo giuro, di vivere il ...silenzio, ma non ci sono riuscito.
RispondiEliminaDa ogni foto e da ogni punto del tuo racconto si ascoltava la colonna sonora del film.
Grazie!
Ciao leo
RispondiEliminami hai dato un'idea, vedo se c'è la possibilità di inserire la colonna sonora.
Ciao
grazie
che meraviglia infinita!!!
RispondiEliminagrazie sara
RispondiEliminaQuesti luoghi veramente esercitano un fascino immenso, tanto che anche persone come Lawrence, che non era certamente "Paolo"... ne rimase catturato e pur di non allontanarsene, mise a repenataglio la sua vita mille e mille volte
ciao
Quando sono venuto da te la settimana scorsa e mi raccontasti di questi posti,non feci altro che pensare a quei tuoi viaggi.Continuai il mio lavoro con la testa nel deserto!!!e quando uscii dall'ambulatorio di un tuo collega di via Strinella mi accorsi che avevo parcheggiato l'auto davanti un negozio chiuso che si chiamava "La rosa del deserto"...Significherà qualcosa???Sarà un richiamo anche per me???A presto paolo...Che bella cosa averti incontrato!!Carlo.
RispondiEliminaCiao carlo
RispondiEliminati ringrazio per queste tue parole che mi fanno oltremodo piacere. I deserti, i ghiacciai, le montagne sono sempre li, in attesa che qualcuno le scopra. Bada bene...le scopra,...non "le conquisti". Noi non conquistiamo mai nulla. Non si può conquistare il vento del deserto, le tempeste di neve, il canto delle balene, gli orizzonti infiniti, le notti stellate, i tramonti infuocati. le gelide e livide albe. Non potremmo mai imprigionarli, semmai sono loro ad aver conquistato noi. Noi possiamo solo avvicinarsi a loro. Quindi parti, vai, sono sempre li ed attendono pazientemente che qualcuno parli con loro,non solo che si tenti solo e sempre di conquistarle. Ciao
Grazie Paolo :-)
RispondiEliminaBellissime foto e bellissime le tue parole.grazie
RispondiEliminaPaolo ho letto il tuo racconto; è affascinante. Bravissimo, che esperienza fantastica hai fatto. Lawrence d'Arabia è il mio personaggio storico preferito..avremo modo di confrontarci nei prossimi giorni al mare.
RispondiElimina