Puoi svegliarti anche molto presto all'alba, ma il tuo destino si è svegliato mezz'ora prima di te. (Proverbio Tuareg)
“C’era un ragazzo
Che come me
amava i Beatles ed i Rolling Stones
Amava il mondo…..”
Era Filippo. Cosa lega due esseri umani spesso è un mistero. Il fatto è che eravamo legati forse dallo stesso modo di intendere i rapporti con la natura, forse dalla stessa passione per i monti. Ma non ci eravamo incontrati da adulti. Io avevo più di 40 anni e lui neppure 10.
Ci eravamo incontrati e non mi aveva più lasciato.
Chissà, forse i miei racconti lo avevano affascinato, forse mi vedeva come un novello Rambo (!?). Lo avevo portato da piccolo a M Calvo e gli avevo raccontato la sua favola.
(Al colle del Bicchero, verso monte Velino)
Eravamo stati insieme nelle grotte, decine di volte a Grotta a Male, all’Ovito, a Luppa, a grotta Canosa, Beatrice Cenci….Spesso, quando il maltempo non permetteva di salire a Campo Imperatore, scendevamo nella grotta e ci infilavamo nei cunicoli più stretti e fangosi. Uscivamo sembrando più statue di creta che uomini. Fin da piccolo era venuto con me a sciare, ma man mano che cresceva diventava sempre più bravo. Sciavamo fuori delle piste, nei canaloni, tra le rocce. Quante volte Enrico mi rimproverava perché Filippo veniva con me tra le rupi mentre lui tentava di insegnargli la tecnica perfetta per sostenere l’esame da maestro di sci. “ Con te si imbastardisce!!!” Scherzava. Ma Filippo, dopo pochi minuti di lezione, appena Enrico si distraeva, fuggiva con me. Il tempo passava e mi rendevo conto che ormai era un maestro, ma con la mentalità di sciatore fuoripista ed era diventato molto più bravo di me. Nonostante tutto mi considerava sempre la sua guida e questa figura mi imponeva una grave responsabilità. Le settimane bianche non potevano esistere se non andavo anch’io. Quasi sempre andavamo con un pulman. Io e lui ci cambiavamo durante il viaggio e scendevamo dal pulman direttamente con gli sci….e non ci vedevano più. Tutte le pareti, tutti i pendii immacolati delle Alpi erano nostri, nessun canalone ci sfuggiva. Dovunque la neve si poggiasse, li erano le nostre piste.. Non c’era bosco che non percorrevamo. Sugli sci ormai mi surclassava, ma sulle rocce rimanevo sempre la sua vera guida. Un giorno indimenticabile lo portai sulle Fiamme di Pietra, tra le guglie e le vertiginose torri. Campanile Livia, punta dei Due, torrione Aquila…
Li la parete perfettamente verticale è interrotto da una esilissima cengia che si affaccia in un abisso senza fine, talmente esile che un piede appena ha la possibilità di poggiare la pianta. Mi avviai e mi sistemai su di essa in un equilibrio precario perche il corpo, causa la verticalità della parete, non può assumere l’equilibrio naturale, stando in piedi.
Tutto è solo questione psicologica. In sicurezza, con la corda, chiamai Filippo e gli dissi di raggiungermi. La corda però lo assicurava lateralmente e non dall’alto e questa cosa, chi va in montagna, sa che procura una certa apprensione in caso di caduta, anche se non di pericolo.
Ma lui mi raggiunse. Eravamo in piedi, fronte al vuoto, con le punte delle scarpe che sporgevano nell’abisso. Gli detti la mano e gli dissi di alzare un piede, rimanere in equilibrio su una sola gamba e di chiudere gli occhi. La sua mano strinse la mia come una morsa, serrandomi con forza. Gli dissi di non pensare a nulla, di eliminare la paura. Pian piano, dopo qualche minuto, la sua mano si rilassò, lasciò la mia, alzò le braccia e rimase così, fermo. Mi disse che volava tra le nubi…………….
Il deserto non mancò di vederlo con me, ma questo già lo sapete e ne sentirete ancora...
Un giorno lo trovai sotto casa. Attendeva il mio ritorno. Mi disse che aveva contattato un suo amico per andare ad arrampicare in una palestra di roccia a Farindola e voleva il mio parere e la mia approvazione. Voleva sapere se poteva essere pericoloso. Lo rassicurai. In palestra , a meno di non essere degli sconsiderati, la sicurezza è quasi assoluta. E poi gli promisi di andare con lui almeno le prime volte per rendermi conto della esperienza dei suoi amici.
Mi disse infine che Silvia, la sua fidanzata, voleva andare a Grotta a Male e quindi mi chiese di accompagnarli.
( L'ingresso della parte profonda : la "strettoia del triangolo"
Gli promisi che una sera saremmo andati a mangiare una pizza e poi li avrei portati nella grotta, tanto nella grotta è sempre buio, quindi non importa andarci dopo cena. Il caso volle ( guarda un po…) che lo stesso giorno incontrai Bruno Chiarelli che mi disse che sarebbe venuto anche lui ed avrebbe dato una attrezzatura adeguata a Silvia.
( La sala dei colossi)
Bruno è stato il presidente del club speleologico e del soccorso speleologico ed è stato anche colui che fece i primi ed unici studi scientifici del tempo su Grotta a Male, scoprendo anche nuove cavità. Mi disse che erano ormai anni che non andava più in quella grotta e che avrebbe avuto piacere di venire con noi. Lo dissi a Filippo che ne rimase entusiasta. Passò qualche giorno, poi………………………………
15 novembre 2000
“ Alle ore 14,20 stavo rientrando dalle commissioni, ero sulla porta quando mia figlia mi ha passato il telefono dicendomi che era la fidanzata di Filippo. Appena preso la cornetta ho udito un grido di dolore che mi scongiurava di andare subito perché Filippo era caduto nella grotta a Male. Diceva che lo aveva visto precipitare e poi più nulla. Ho avuto un senso di sbandamento, ma poi mi sono ripreso immediatamente. Ho telefonato a Bruno, un mio amico esperto speleologo, dicendogli di prepararsi subito e di avvertire il soccorso speleologico. Ho preparato velocemente tutta l’attrezzatura speleo e siamo partiti. Durante il viaggio abbiamo ipotizzato ciò che poteva essere successo, ma già durante l’avvicinamento ho avuto la netta sensazione che potesse essere successo qualcosa di grave. Perché altrimenti non rispondeva? Nella grotta a male difficilmente ci si può far tanti danni da non riuscire a rispondere, a meno che non sia capitato qualcosa al pozzo…..ma come potrebbe essere successo un incidente al pozzo? Filippo conosceva perfettamente la grotta . Ci siamo fermati alla fontana ed io sono corso avanti, senza attendere Bruno che non ne ha certamente bisogno. Già c’è una macchina dei vigili del fuoco con alcuni agenti che stanno scaricando del materiale. Alla passerella ho incontrato A.Rita che mi ha urlato: “Corri! Corri! Vai! Riportamelo! Riportamelo! Tu me lo puoi riportare!”. Alla fine delle scalette i Vigili già avevano organizzato delle corde per scendere nell’interno. Qualcuno ha detto: “Meno male, ecco De Angelis, gli altri già sono scesi!”. Mi sono precipitato nella grotta e ho percorso il cunicolo in due o tre minuti e sono sbucato nella sala dei colossi. In quel punto ho incontrato un vigile, Giansaverio e Silvia che, vedendomi, si è illuminata e mi ha gridato “Ora va tutto bene, ci sei tu! Salvalo! Salvalo! Vieni che ti faccio vedere dove è successo!”. Non l’ho aspettata, scendono lenti e legati con le corde. “Io so dov’è! Io so dov’è!” Gli ho gridato e sono corso via, precipitandomi nella parte bassa della grotta, saltando tra i massi. Sapevo dov’era. Sono corso al terrazzino, ho acceso la lampada elettrica e ho puntato direttamente il fascio in un punto preciso, dove sapevo che si trovava…e lì l’ho visto, povero sacco inerme, sdraiato su un fianco, abbandonato, con il viso disteso, il cranio incassato tra i massi e chiaramente deformato dal colpo. Era in posizione semifetale, adagiato sul fianco sn. Non un filo di vita aleggiava su di lui. Il cuore mi si è fermato mentre il sudore improvvisamente mi si è gelato addosso. Ero solo, perché non arriva nessuno? Quanto ci mettono? Sono forse secondi, ma almeno arrivasse qualcuno per dividere questo strazio! Quante volte l’ho portato in questa grotta? Ed in altre grotte? E in parete? E in bici sulle cime delle nostre montagne? E a sciare sui pendii immacolati delle Alpi? E nel deserto? E….e… e ora è un sacco inerme. Una pietà indescrivibile si è impossessata di me. Ecco Bruno, arriva forse dopo qualche minuto solo, ma a me sembrano anni. Almeno fosse stato ferito, avrei avuto la forza di tirarlo fuori da solo, nessuno mi avrebbe potuto fermare, ma ora a che serve? Io non posso fare nulla….Io che tutti speravano chissà che cosa potessi fare…che strazio. Tutti si aspettavano da me chissà quali miracoli, ma io non sono dio. Forse potevo trovare in me la capacità di un semidio solo se avessi avuto la minima speranza di salvezza, ma ora sono peggio di un verme smidollato e già so quello che dovrò affrontare. Perché l’ho trovato io per primo? Bruno mi si avvicina, si affaccia nel baratro e mi abbraccia mentre le lacrime solcano i miei occhi. Arriva anche il vigile ed in lontananza si sente Giansaverio e Silvia che intanto stanno per arrivare. Il destino vuole che nell’ultimo tratto ci siano rocce scivolose. Consiglio ai due di fermarsi in quel punto, dato che hanno le scarpette da ginnastica, lontano circa 20 m . da me, dal bordo del terrazzino. “Come sta? Si muove? E’ vivo?” E’ Giansaverio. Il cuore mi si ferma e riparte con tumulto. Mi aspettavo questa domanda e la temevo. Cosa faccio? Fuggo? Dove mi nascondo? “ Non so! Non si vede nulla da qui. Filippo è qui sotto ma non si vede bene con le lampade” Mentisco a lui e vorrei anche a me. “Scendiamo!” Per scendere c’è fortunatamente bisogno delle corde e solo io e Bruno siamo in grado di farlo. Bruno mi dice che non si sente bene, non regge questa scena. Gli dico di tornare su, tanto non serve a nulla ed è meglio che esca ad organizzare i soccorsi. La corda, fermata 80 m . più in alto, non arriva in fondo al pozzo. Temporeggio per qualche minuto in attesa che succeda qualcosa, non so che cosa, ma non posso scendere nel pozzo. Non potrei più mentire. Poi mando il vigile verso l’uscita a sciogliere il nodo che trattiene la corda e dico a Giansaverio di accompagnarlo. Ci vorranno dei minuti e Giansaverio si è allontanato. Tiro un momentaneo sospiro di sollievo, ma so che è solo un istante, ma è quello che mi è sufficiente per ricacciare indietro il vomito nervoso che fa parte del mio carattere quando mi trovo in condizioni di estremo stress. La nausea mi attanaglia ed ora sono di nuovo solo, mentre Silvia si lamenta e mi scongiura di scendere. Ma cosa devo dirgli? Che non serve a nulla? Perché io solo devo sopportare tale menzogna? Forse non sai che se ci fosse stata una sola speranza io avrei tagliato la corda 20 m . più su anche con un sasso? Ecco la corda che viene, hanno sciolto il nodo. Gli dico di legarla di nuovo più in basso e perdo qualche secondo spingendoli a che l’ancoraggio sia fatto con sicurezza. Ora non ho più scuse. Ho la corda. Lego un anello, con calma, ad una stalagmite e chiedo al vigile di passarmi la sua imbracatura che io avevo dimenticato nella concitazione della partenza. La corda arriva al fondo e Giasaverio mi stimola ad essere più veloce. Ma come faccio? La nausea mi attanaglia ed un conato di vomito mi fa perdere momentaneamente il fiato. Gli occhi sono pieni di lagrime che peggiorano la mia scarsa capacità di vedere nella penombra da quando sono tornato dal Wadi el At. Metto l’imbracatura e mi accingo ascendere con un mezzo barcaiolo, come ho fatto decine di volte nello stesso punto, per andare ad ammirare il laghetto. Meno male! Sento uno sferragliare ed arrivano vicino a me due componenti del soccorso, tra cui Mauro, un mio amico. “Lascia a noi, non scendere su una corda, facciamo noi un ancoraggio con gli spits”. Tiro un sospiro di sollievo, ma la nausea non recede ed un conato di vomito mi scuote. Il sudore freddo mi scorre sulla schiena e sulla fronte. Bella roba! Mi guardano in faccia e anche Mauro mi stringe a se. Gli hanno detto dei miei rapporti con Filippo e odo delle parole di conforto che non distinguo. La corda pende nel vuoto, il momento è giunto. Devo scendere, non potrò mentire più. Non voglio essere io a dirlo per primo a Giansaverio. Un tremito mi scuote, il vomito mi impedisce di respirare. Mauro mi dice che scenderà per primo, poi scenderò io. Arriva sotto e urla che non c’è nulla da fare. Mi giro e corro in salita verso Giansaverio. Costringo lui e Silvia a risalire con me, mentre i lamenti della ragazza mi trafiggono come coltelli. Giansaverio ha una calma glaciale, vorrei averla io. Un vigile si offre di accompagnarli mentre arriva tutto il soccorso speleologico. Non riesco a frenare un pianto dirotto e, sapendo che c'è un vigile con loro, corro in salita e mi infilo nel budello, La grotta è piena di soccorritori. I vigili hanno illuminato a giorno la cavità. Saliranno in tutta sicurezza. Io fuggo verso l’uscita ben sapendo che dovrò affrontare la prova più dura. Fuori mi aspetta A.Rita,. Io rappresento per lei la speranza, la vita, il futuro. Ed io devo essere quello che distruggerà tutto. Non riesco a trovare una via d’uscita. Il pianto mi scuote quando scavalco la balaustra piena di vigili che mi danno pacche amichevoli sulle spalle, a conforto. Mi aiutano, hanno sguardi di pietà, come sono cari! Hanno fatto tutto ciò che era possibile per loro. Ma ora devo uscire e sento già i lamenti di A.Rita. Le ultime scalette mi portano direttamente all’esterno. Bruno non ha detto nulla a nessuno. Io sono il primo a dare notizie. Anzi io non do notizie a nessuno, le trasmetto con il mio pianto irrefrenabile mentre corro in salita. Non vedo l’ora di uscire e di superare A.Rita. A casa aspettano notizie. Anche mia madre che entrava a casa nel momento stesso in cui io mi precipitavo per le scale. A.Rita mi si para davanti. Non reggo il suo sguardo e giro a sn correndo. Sento i suoi urli mentre molti agenti la trattengono e la sorreggono. Corro lontano per non sentire le sue grida….Fermo un uomo che incontro e gli chiedo un telefonino che non possiede. Pochi metri più avanti trovo Bruno, piango sulla sua spalla, ma anche lui ha gli occhi lucidi… e non lo conosceva. Gli sottraggo il telefono per informare i miei….
Qualche giorno prima della disgrazia Filippo scrisse una poesia... Il destino si era svegliato prima di lui, come sempre succede…….……….
L'ALPINISTA
Vivere e Morire
Morire e Vivere
E' cosi che pensava,
seduto sul picco della montagna
In un dato tempo.
Dato da chissà chi, chissà perché e chissà quando.
Certamente, pensava, nella sua vita c'era già
un po di morte.
E forse nella morte ci sarebbe stata un po di vita.
Ma in fondo non se ne curava troppo,
che differenza c'era, dopo tutto?
La montagna lo fissava con rispetto e amore,
perché sapeva che l'alpinista l'amava e rispettava.
Ma l'amore non è nella vita ne nella Morte.
L'AMORE E' E BASTA.
Nell 'amore si può morire come a volte
ci si può anche un po vivere.
E cosi che quando una valanga lo travolse,
l'alpinista si senti felice, trovando,
nella Morte, la vita della montagna.
Edizione Abruzzo
Gran Sasso, perde la vita l’aquilano Filippo Cappa, 23 anni. Era con la fidanzata
Tragico volo nella grotta, muore giovane speleologo
Difficile ricostruire la dinamica dell'incidente. La ragazza è sotto choc
di GIANCARLO DE RISIO
L'AQUILA - Un salto di dieci metri nel buio orrido della grotta. Poi l'impatto sul fondo, terribile, tragico. senza ritorno. È morto così nel primo pomeriggio di ieri Filippo Cappa, 23 anni, primogenito del magistrato del Tribunale dell'Aquila, Giansaverio, durante un'escursione nella "Grotta a Male", un anfratto preistorico della Valle del Vasto, alle falde del Gran Sasso, a venti chilometri dall'Aquila. Una fine tragica, fatale, impensabile che ha gettato nel lutto una famiglia tra le più note dell'Aquila. Nel momento in cui è caduto, il giovane Cappa, studente del quarto anno di Giurisprudenza all'università di Perugia, era con la fidanzata, Maria Silvia Cicconi, 28 anni, aquilana, anche lei studentessa universitaria. È stata la ragazza a dare l'allarme qualche minuto dopo la caduta del fidanzato quando si è resa conto che qualcosa di terribile doveva essere avvenuto perché Filippo, dal fondo del baratro, non rispondeva più ai suoi richiami.
È stato allora che è tornata indietro, risalendo gli stretti passaggi dell'inghiottitoio fino all'imbocco della grotta. Una volta in superficie, ha chiamato col cellulare il dottor Paolo De Angelis, il medico di famiglia. De Angelis è corso subito alla "Grotta a Male" insieme con Bruno Chiarelli, del Gruppo Speleologico Aquilano. Nel frattempo erano giunti sul posto anche i Vigili del Fuoco, il Soccorso alpino, i carabinieri, le guardie forestali e lo stesso Soccorso speleologico. Secondo quanto si è appreso, Filippo e Maria Silvia, pur non essendo speleologi praticanti, conoscevano la "Grotta a Male". Ieri si erano dati appuntamento per un'altra escursione nell'anfratto come era accaduto altre volte.
Non è stato facile ricostruire la dinamica dell'incidente. La ragazza, unica testimone, si è chiusa in un silenzio assoluto. Inavvicinabili sia il padre del giovane, Giansaverio Cappa, Gip al Tribunale del capoluogo. sia la madre, signora Anna Rita Busilacchio corsi anche loro all'ingresso della grotta (il fratello ventenne, Lorenzo, si trova all'estero). Ma secondo quanto è trapelato Filippo si sarebbe avvicinato troppo all'orlo del burrone perdendo l'equilibrio. La fidanzata lo avrebbe visto aggrapparsi alle rocce, scivolare e poi cadere all'indietro.
I priMi a constatare che per Filippo non c'era ormai più nulla da fare, sono stati Chiarelli e De Angelis. Guardando verso il fondo del baratro hanno notato il corpo esanime. Filippo era lì, immobile, non dava più segni di vita. Chiarelli è risalito in superficie per avvertire le squadre di soccorso. Bisognava organizzare il recupero del corpo del povero ragazzo. L'operazione è andata avanti per ore. È stato necessario calarsi nel burrone con le corde. Una fase delicata e pericolosa. Il corpo del ragazzo è stato riportato in superficie che era già notte. Poi il trasporto fino all'obitorio. Filippo Cappa era un giovane molto dinamico. Volontario della "Croce Verde" dell'Aquila, studiava Legge per seguire le orme del padre. In passato aveva avuto incidenti con la moto e con gli sci. Gli piaceva giocare a tennis e fare sport subacqueo. Le grotte le conosceva poco, e forse questo gli è stato fatale.
Orrore nel burrone. Lo speleologo Bruno Chiarelli e il medico Paolo De Angelis raccontano il tragico ritrovamento del corpo di Filippo Cappa
«Una disattenzione al prezzo della vita»
L’inutile corsa degli amici in aiuto: «Alla luce delle torce l’abbiamo visto in fondo, già morto»
di GIANCARLO DE RISIO
L’AQUILA - «Era lì, in fondo al burrone. Lo abbiamo notato alla luce delle torce elettriche. Il corpo adagiato sulla schiena non dava segni di vita. Ci siamo guardati negli occhi io e De Angelis e abbiamo annuito: il ragazzo era morto. L’unica cosa che purtroppo restava da fare era il recupero del corpo». Bruno Chiarelli, uno degli uomini di punta del Gruppo Speleologico Aquilano, racconta con calma. L’emozione del primo momento è passata, ma non l’amarezza e il rammarico per quella giovane vita spezzata da una fatalità tragica e banale. «Forse- dice- deve essere scivolato; forse si è trattato di un momento di disattenzione che a Filippo Cappa è costato la vita».
«Quando De Angelis ed io ci siamo avviati verso la Valle del Vasto ho avuto la sensazione che qualcosa di grave doveva essere successo. La "Grotta a Male" non è difficile da percorrere. La parte iniziale, quella archelogica, è praticabile con una certa facilità al punto che è meta di visite guidate. Poi diventa pericolosa». Il punto in cui Filippo Cappa è precipitato nel vuoto si trova a circa 200 metri dall’ingresso. «Per raggiungerlo- spiega Chiarelli- bisogna seguire una serie di passaggi stretti ed incunearsi tra le pareti rocciose. Insomma ci vuole una certa abilitagrave;. Poi si sbocca in un ambiente molto più ampio denominato "Salone dei Colossi". Qui c’è una biforcazione: da un lato si raggiunge il fondo della grotta attraverso un camminamento che non è difficile seguire. Sull’altro lato c’è il baratro. Un salto di una decina di metri. Ed è lì che Filippo Cappa è precipitato». Un epilogo incredibile. Pare che il giovane, giunto in quel punto, abbia detto alla fidanzata di stare attenta perché avvertiva che il fondo della grotta era più sdrucciolevole che altrove.
La "Grotta a Male" si raggiunge attraverso una strada sterrata di 3 chilometri che, dopo Assergi, collega la statale della funivia del Gran Sasso alla Fonte della Pietà, località a cento metri dall’imbocco della grotta. L’anfratto ha una lunghezza di 200 metri , un dislivello di 84 e uno sviluppo totale di 400, tra camminamenti, passaggi e sentieri sotterranei. Nella preistoria è stata abitata nell’Età del Bronzo (dal V al II millennio a.c.) ed utilizzata anche come luogo di sepoltura. Attualmente è uno tra i "santuari" più importanti della preistoria italiana. L’ultimo a compiere una campagna di scavi nella grotta, è stato nel ’95 e nel ’96 il dottor Vincenzo d’Ercole, ispettore della Sovrintendenza archeologica. «Ci sono tanti cunicoli inesplorati - ha spiegato d’Ercole - e vari dislivelli, quindi molto pericolosa. La parte archeologica è limitata alla prima sala, mentre il resto è utilizzato da speleologi e fisici nucleari. È sicuramente la grotta più importante d’Abruzzo del versante del Gran Sasso ed era adibita alla fusione del bronzo; infatti è stata ritrovata una forma di fusione preziosissima. Il primo a scoprirla è stato il capitano De Marchi che nel 1573 fece la prima ascensione del Gran Sasso. Studi approfonditi sono stati compiuti negli anni Sessanta dal professor Renato Peroni, luminare dell’archeologia protostorica».
Ciao Paolo proprio ieri sono entrato per la prima volta a Grotta a Male, ero con Felice Flati e altri amici del soccorso speleo della Puglia e del Nord Italia,stavamo facendo un esercitazione...Sapevo la storia di Filippo anche se non lo conoscevo,l'avevo appresa dai giornali ...Mentre eravamo appesi Felice mi ha fatto vedere il punto in cui è caduto il tuo carissimo Filippo, e abbiamo parlato un pò di quel tragico incidente, stando li in quel punto non mi ha fatto una bella sensazione...Adesso curiosando sul web e cercando altre info sull'incidente ho letto questo blog, della tua amicizia con Filippo e del tuo primo avvistamento....RIP Filippo.
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