La natura ci viene incontro a braccia aperte
E ci invita a godere della sua bellezza;
ma a noi incute spavento il suo silenzio
e accorriamo nelle città affollate
dove ci accalchiamo come pecore
in fuga da un lupo feroce…. ( Kalhil Gibran)
Il Deserto di Thar , noto anche come il Gran
Deserto Indiano, è una grande ed arida regione nella parte nord-occidentale
del subcontinente indiano. Con una superficie di oltre 200.000 chilometri
quadrati, è settimo deserto a livello mondiale per estensione. Si trova in gran
parte nello stato indiano del Rajasthan, e si estende nella parte meridionale
degli stati indiani del Punjab, Haryana e Gujarat settentrionale. In Pakistan
il deserto copre la regione orientale delle provincia del Sind e la parte
sud-occidentale del Punjab. Il Deserto Cholistan confina con il deserto Thar
sempre nella provincia pakistana del Punjab. ( da wikipedia)
Su tutto dominano le macchie multicolori delle donne che lavorano nei campi immerse in dimensioni atemporali, del tutto estranee al tempo occidentale.
I contadini misurano il loro tempo con orologi diversi le cui lancette si muovono obbedendo alle gambe dei buoi che tirano gli aratri, alle nuvole del monsone, alla luna che ogni mese assiste alla crescita del grano. Il contadino non ha tempo per rincorrere il nostro tempo che ci sfugge sempre più velocemente, ha ben altre cose da fare, lui. La meta è il grande deserto di Tar e la sua città più importante, Jaisalmer.
Una città, magica, “la città d’oro” quando fu fondata 1000 anni fa, fu costruita in blocchi di arenaria indistinguibile dalle sabbie del deserto da cui essa era nata. Nei secoli acquistò enorme importanza come centro delle vie carovaniere provenienti dalla Persia.
Poi il porto di Bombay distrusse le carovane e con esse diminuì l’importanza di Jaisalmer che cadde nell’oblio, ingoiata da quello stesso deserto che le aveva dato vita. Questa forse fu la sua futura fortuna perché rimase imbalsamata nel tempo come una mummia preziosa. Ed ora eccola li, davanti a me…
...come una nave gigantesca si erge dalla pianura desertica, nel caldo opprimente di un pomeriggio umido di monsone, innalza le sue 99 torri come i camini di un immenso Titanic, sfida il deserto. 99 torri, cosa ricorda a noi aquilani tale numero?
Entro nella porta del forte, salgo le sue strade polverose, mi immergo in una atmosfera magica, lontana mille anni luce dalla nostra vita, cammino tra le strette strade della città,
tra mucche che non lasciano spazio per passare, attente a mantenere ben stretto il territorio conquistato,
tra bambini vocianti, donne che lavano i panni e le suppellettili davanti le loro case, maiali che si bagnano nei rivoli ai fianchi delle stradine.
Un tripudio di colori, donne in saree colorati, mucche bianche, nere, tutto integrato nell’unico colore ocra della città. Ocra i muri, ocra le strade, ocra le gole degli abitanti intrise di polvere ,
ocra il cielo in cui svolazza la sabbia trasportata dei venti dei monsoni, ocra il sole incellofanato dal deserto che sovrasta ogni cosa, ogni anima, ogni pensiero. Tutto ingoia, tutto travolge, il deserto.
La sua immensa presenza si sente in ogni più remoto angolo della città. Nei campi il deserto è la vita e la morte, tutto è immerso in esso. Qui l’uomo tenta di conquistare un suo misero spazio, ma tutto è inutile, il suo urlo penetra tra le vie anguste a protezione della psiche, da dove lo sguardo non può uscire, ma il deserto è il padrone, il vento penetra, il caldo invade, la polvere scorrazza tra le calli. Nessuno può sfuggire all’alito del deserto.
Cammino, mi immergo in un tempo senza tempo, incontro qualche turista che si lamenta e che è impaziente di tornare in albergo. Sono dispiaciuto per loro che non godono di questo posto fiabesco, che non riescono a penetrare in questa favola che il tempo ha conservato per noi.
La città sembra una rappresentazione di vita medioevale come spesso viene ricordata nei nostri borghi, ma qui è tutto vero. Due bimbi lustrati a puntino sono pronti per la scuola.
Gli abitanti lavano, lavorano, tessono, puliscono, dipingono, cucinano come se non ci fosse nessuno. Invece ci sono spettatori, passanti, turisti, ma essi sono trasparenti, invisibili. Arrivo al tempio Jainista.
La sua sala delle preghiere è magnifica. Sculture in ogni più piccolo anglo, tutta la sala è una scultura.
Ma non mi interessa la descrizione, quella lasciamola alle guide di cui internet è piena. Io sono al tempio per il rito. Il sacerdote ha la bocca coperta per evitare di ingoiare qualche insetto e quindi ucciderlo.
La vita è sacra, per loro, in ogni forma. Hanno una scopetta che usano quando camminano per evitare di calpestare qualche insetto di cui il terreno è pieno. Mi faccio benedire dopo aver effettuato il rito, non si sa mai, meglio una benedizione in più che una in meno, anche se sono ben mondato dopo l’immersione nel lago sacro di Puskar. http://viaggievisioni.blogspot.it/2013/03/prima-del-grande-deserto-il-lago-sacro.html Saluto il sacerdote e mi avvio nella città bassa.
Un mercato multicolore si apre come un quadro, donne colorate,sedute a terra si confondono con i colori della frutta e degli ortaggi. Viaggio tra la realtà e la fantasia in mezzo ad uno scenario di case intessute come merletti, con donne affacciate a finestre che sembrano scenari di un set cinematografico.
Merletti cuciti nella roccia, una tecnica incredibile, finissima. Sembra impossibile che qualcuno possa aver scolpite tali facciate.
La roccia inerte, senza vita, dura, disumana, diventa un velo leggero, sembra volare nel vento eterno del deserto, un velo che ricopre le case, le alleggerisce, un tombolo immenso....
.... una favola in cui si può passeggiare, ammirare, meravigliandosi angolo dopo angolo, vicolo dopo vicolo. E sulle pareti, dipinti rappresentanti Ganesha, il dio con la testa di elefante, il pronubo di ogni cosa che inizia, la data dell’evento ed il benevolo dio che benedice coloro che vi abitano.
Un matrimonio, l’ingresso in una nuova casa, una nascita, un nuovo lavoro, tutto deve essere benedetto dal simpatico Ganesha
http://it.wikipedia.org/wiki/Ganesha . Fotografo, guardo tentando di immergermi nella cultura del luogo di cui ho studiato le abitudini, tento di muovermi nella città come un Rajiput, immedesimandomi in un indu. Ora è il mese dedicato a Ganesh e proprio oggi è il giorno più importante. Chissà, forse il dio potrebbe anche non esistere.
Forse la voglia di iniziare, la voglia di vivere felici, di andare avanti con ottimismo la dobbiamo trovare semplicemente dentro di noi, ma una cosa è certa. Qui quella forza proviene da Ganesha. E non chiediamoci sempre le cose, lasciamo che il dio elefante ci dia quella forza, diamogli la soddisfazione di avercela data lui, quella forza….cosa ci costa?
Forse un giorno nessuno gli darà più quel merito perché gli uomini non crederanno più a Ganesha, l’uomo tutto distrugge, la sua potenza deve superare ogni cosa. Allora anche Ganesha scomparirà, come già sono scomparse le fate, gli stregoni, le favole. E con cosa le abbiamo sostituite ?
Scendo, giro un vicolo ed eccola li, INA, una bimba bellissima, con il suo vaso di terracotta in testa, in mezzo ad altri bambini che tentano di accalappiare i turisti e rubare loro qualche scatto fotografico o di accompagnarli ai molteplici negozi di argenti.
Ina che attende in mezzo alla via assolata di Jaisalmer senza chiedere nulla, senza porgere la mano con il palmo in alto in attesa che ci piova sopra qualche miserevole rupia. Ina porge solo la sua infantile bellezza, il suo flessuoso ed elegante incedere, il suo sorriso.
Ina non cerca nulla, dona un alito di vento fresco a noi miseri turisti che invece rubiamo una foto, un pezzo di vita, un ricordo da esibire nelle cene tra amici come fosse un trofeo di caccia. Ci dona un momento di catarsi per mondarci della colpa che abbiamo verso chi è meno fortunato di noi, la colpa di poter comperare tutto con il nostro denaro.
Uno scatto ed Ina è con noi per sempre, la porteremo sempre con noi quella bimba con il suo vaso di terracotta, in mezzo ai maiali, nella polvere gialla di Jasalmer in un torrido pomeriggio di agosto.Quando la guarderemo, chiusi nelle nostre gabbie dorate, fresche, linde e pulite, quel vento ci riporterà ancora laggiù e spereremo di incontrarla ancora.
Ma chissà ora cosà sarà stato di Ina, forse ormai sarà nei campi a contendere i frutti all’arido deserto. Forse sarà madre, forse lavorerà, ma a me piace credere che nel tempo immutabile di Jaisalmer, li dove tutto sembra essersi fermato, dove il deserto è padrone del tempo, anche Ina sia rimasta la bimba bellissima con il suo vaso di terracotta in testa.
A Jaisalmer la nostra guida viene affiancata da una guida locale che porterà i più “ avventurosi” di noi a vedere il deserto. Io gli chiedo di poter usufruire del fuoristrada e poi di poter andare da solo.
La guida si impone che ciò non potrà essere possibile. Il deserto di Thar è un deserto pericoloso, ci sono tempeste, sabbie, dune insuperabili. La ci si può perdere facilmente e nessuno sarebbe in grado di ritrovare un disperso in tempi idonei a salvargli la vita, prima che il deserto abbia compiuto la sua opera di distruzione. Certamente sono considerazioni fantasiose, forse con il solo intento di spingere i facinorosi a servirsi delle guide locali. Mi sembra irremovibile, non ho più argomenti per smuoverlo dalle sue decisioni. Ma poi arriva Franca che con una sola parola convince la burbera guida. “ Non si preoccupi, tanto torna sempre…”. Credo di averci intuito un velato senso di rassegnazione…..!!!! Purtroppo nel tour organizzato, non ho giorni a disposizione per poter fare ciò che mi piacerebbe, devo ritagliarmi questa giornata per andare ad “annusare” il Grande Deserto, sarà poca cosa, un solo giorno di cammino, ma meglio che niente…. Ed eccomi qui, sul fuoristrada, insieme ai turisti, vestiti da “turisti”, con la solita sete da “turisti”, il solito caldo da “turisti”, la solita apprensione da “turisti”, il solito ostentato coraggio da “turisti”, la solita saccenza da “turisti”, con magliette e cappelli svolazzanti, foulard per la sabbia, calzoncini a mezza gamba, con le bottiglie di acqua in mano. Io come al solito parto con i soli calzoncini ed uno zaino con qualche copertura per le tempeste di sabbia che si intravvedono all’orizzonte, portate dal monsone estivo che imperversa sul deserto da giorni.
Passiamo per un magnifico lago ripieno dalle acque monsoniche e finalmente, a 60 km da Jaisalmer eccoci giunti, tutti scendono ed io mi accommiato dalla policroma comitiva. Siamo vicinissimi al confine pakistano e le postazioni militari sono pronte per ogni evenienza
La guida mi saluta come si potrebbe salutare un condannato a morte, facendosi udire a bella posta da tutti. Le sue ultime parole sono di come farò ad orientarmi. Nel deserto non si può chiedere la strada. “Ci penserà Shiva, Ganesh è con me….” E vado….. Devo fare un tragitto a semicerchio per poter essere recuperato a tarda serata. Purtroppo un tragitto non lineare è un po più complesso da seguire, ma non mi preoccupo affatto.
Incontro un nutrito gregge di pecore, mentre i saree colorati sono stesi ad asciugare agganciati ad arbusti di spine per non essere portati via dal vento.
Ancora qualche pianta, qualche arbusto sparuto e poi …..più nulla ….nulla ….solo sabbia …sabbia … dune …dune, dietro di me solo le mie tracce..
Mi incammino nel territorio di Shiva, il dio della vita, della rigenerazione, con il suo “lingam” sempre eretto, simbolo di potere creativo. Cammino immerso nel vento del deserto, ma anche nel vento selvaggio di Shiva, del cambiamento, della vita stessa.
Ancora si vede all’orizzonte il mio punto di partenza, ma poi le dune lo ingoiano e mi ritrovo circondato completamente dalla sabbia. Io sono abituato alle barcane, dove la forma delle dune segue la direzione del vento, dove le dune stesse sono come un ago di una bussola, dove si può interpolare la posizione del sole e quella delle dune ricavandone con precisione il tuo cammino.
Sono un momento spaesato, mi fermo a riflettere, forse aveva ragione la guida. Lui probabilmente sapeva che queste dune hanno creste che seguono e disegnano il vento che qui, però, è variabile. I monsoni hanno direzioni opposte e la sabbia si comporta come una penna in mano ad uno sprovveduto scolaro che non sa disegnare.
Forse i nomadi sanno decodificare questo problema, ma per me è nuovo. Decido che non posso orientarmi con le dune, dovrò farlo con il sole. Ma non potendo seguire un percorso rettilineo, devo deviare verso sinistra di un determinato angolo rispetto all’ombra che comunque devia anch’essa in direzione opposta man mano che procede il giorno.
E’ un bel problema. Se sono fortunato potrei fare un errore di almeno 4 o 5 km al punto d’arrivo e non è detto che da quel punto si veda la mia meta. Purtroppo non so se l’errore è a destra o a sn….. Per di più il sole è offuscato dalla sabbia sollevata dal monsone e devo stare attento ad essere accorto a memorizzare la sua posizione nel caso dovesse essere completamente coperto. Chiaramente non ho la bussola con me. Ma è inutile preoccuparsi, meglio andare avanti perché non avrebbe senso tornare indietro visto che il fuoristrada ormai li non c’è più e a nessuno verrebbe in mente di recuperarmi in quel punto.
Una foschia densa di pulviscolo sommerge tutto il deserto. Il vento del monsone alza piccole tempeste che tuttavia per ora non oscurano il sole, anzi come un filtro, esso può essere perfettamente osservato senza occhiali. Come la nebbia che in un campo di sci trasforma tutto in un biancore livido, qui il cielo giallo si confonde con la sabbia, tutto è giallo, tutto è sabbia….oppure tutto è cielo. Si può decidere se si sta camminando nel deserto o volando tra le nubi. Il sole prosegue il suo tragitto nel cielo ed io aggiusto continuamente il mio procedere, per ore.
Mi fermo per farmi l’unica foto con il vento che trasporta a livello del terreno i grani più pesanti e che solleva in alto il più leggero pulviscolo. E’ inutile continuare a descrivere il tragitto in un mondo tutto uguale, in una monotonia magica, in un palcoscenico minerale dove ogni granello di sabbia nasconde un mondo universale. In un ambiente dove inaspettatamente piccoli e radi fili d’erba si ergono al disopra delle sabbie quasi per un miracolo della natura, quasi una testimonianza della forza invincibile della vita.
Qualcosa si intravvede laggiù all’orizzonte, una fascia scura che man mano che procedo sembra allargarsi. Chissà dove sarò finito…. Chissà. Questo è quello che mi piace di più. Essere totalmente dipendente solo da me stesso, aver percorso il "MIO" tragitto, aver scelto la "MIA" via, senza costrizioni, senza sentieri, senza strade.
Questa incertezza mi mette a mio agio, mi fa sentire padrone del mio destino, quando il nostro destino, a casa nostra, dipende sempre da qualcun altro che spesso, anzi quasi sempre, non possiamo controllare.
Ormai il sole sta solo attendendo qualche ora prima di riposarsi dentro il deserto, quando io scendo l’ultima duna prima della pianura. Il deserto non lascia la sua presa, ma ho superato le dune.
Poi all’improvviso, un cumulo di sassi giallo, un tetto di paglia. E’ un misero villaggio, mura dirute, un muretto a secco separa il villaggio dal deserto, poche capre scorrazzano mangiando chissà che cosa. Tutto è morto, nessun suono, nessun segno di vita aleggia sulle capanne.
Mi avvicino, un uomo lavora alla costruzione di un tetto, si accorgono di me, la donna sembra rifugiarsi e nascondersi sotto il muro. Ho letto che qui è il territorio delle tribu Bishnoi. Sono questi un popolo molto fiero delle loro tradizioni. Sono “ ecologisti” per eccellenza. Hanno regole severissime di rispetto della natura. Si fecero massacrare per salvare gli alberi, non scavano nella terra se non dopo aver tolto tutti i lombrichi e gli insetti. Si dice che la peggior cosa che possa capitare ad un cacciatore, in India, non sia quella di incontrare, disarmato,una tigre, ma di imbattersi in un Bishnoi.
Sono molto conservatori e non permettono ad alcuno di entrare nei loro villaggi per mantenere intatta la loro identità. MI inoltro nel villaggio e come al solito, come cani da guardia, eccomi avvistato da una colonia vociante di bimbi.
Accorre un uomo dall’aspetto austero, dalle vesti bianche e turbante arancione. Intanto il villaggio si è radunato ben lontano da me, mentre il notabile mi si avvicina a grandi passi per nulla rassicuranti. Come farò ad intendermi? Ma le vie del signore sono infinite ed io ho da parte mia il grande dono di non sapere l’inglese, quindi praticamente devo sapermela cavare a gesti e disegni. Dell’arabo conosco moltissime frasi fatte che posso adattare ad ogni occasione, ma qui siamo in India e ci sono 22 lingue ufficiali e 800 dialetti riconosciuti e pochi, nella vera India, conoscono il maledetto ed odiato inglese.
Ma ora eccomi di fronte al capo villaggio che mi intima di fermarmi e mi impedisce l’ingresso. Dopo pochi minuti capisco che l’impedimento è perché io sono vestito di sole “ mutande”. Protesto adducendo che in India ci sono i Jainisti che si dividono in due categorie, quelli vesti di “ bianco” e quelli vestiti di “aria”, cioè vanno in giro totalmente nudi, non possedendo alcun bene terreno. Girano nudi anche in città. Perché mai io dovrei essere sconveniente? Mi risponde dicendo che la loro nudità glielo impone la loro religione, ma lui non capisce quale religione imponga di andare in giro in mutande….. non so cosa rispondergli, ma poi mi dico che in effetti io non potrei mai entrare in chiesa vestito così.
Mi accingo a mettermi una canottiera e gli dico che in questo modo sono degno di entrare nei nostri templi.
A mente fredda comprendo ora che il capovillaggio semplicemente non aveva avuto modo di “ inquadrarmi”, di mettermi in una casella in cui lui potesse capire se avessi potuto essere di danno alla comunità. Il peggior peccato, in India, non è quello di non esser indu, ma quello di non “appartenere”.
Ora lui aveva capito e come per miracolo, tutti mi circondano, si mettono in posa da grandi attori.
Accorrono donne con bambini in braccio,
bimbi con bimbi in braccio,
torme di bimbi,
sorrisi, colori.....
Poi è tempo di accomiatarmi, devo andare, il capo villaggio mi saluta e mi assicura che la strada ormai è lontana qualche km.
Tutti mi salutano, mentre mi allontano vedo i bimbi ridere, giocare.
Dall’altra parte del villaggio incontro una pozza d’acqua e molte donne sono intente a trasportare l’acqua con i caratteristici contenitori di metallo.
Non vorrei andare via, ma la notte incalza, ecco la strada e come per miracolo, ecco la jeep con la guida che appare stupita di vedermi vivo.
Mi volto indietro quasi per fissare nella mia mente un’ultimo fotogramma. Il sole tramonta dietro le nubi del monsone che gonfia all’orizzonte foriero di nuove, vitali e vivificanti piogge.
. Queste sono le leggi Bishnoi. ( Bish = 20, Noi 0 9). Leggetele attentamente la n. 18 e la n.22, ma
guardate anche la 18, la 4…e tutte le altre… alcune sembrano come le nostre….MA LORO LE RISPETTANO
RIGIDAMENTE.
1) Tees Din Sutak: osserva 30 giorni di sutak –
impurità rituale – dopo il parto e che madre e figlio siano in quel
tempo esclusi dalle attività casalinghe.
2) Panch Rituvanti Niyaro: durante il ciclo mestruale la
donna sia esclusa dalle attività casalinghe per 5 giorni.
3) Sairo Karo Sinan: fai un bagno ogni mattina
4) Sheel, Santosh, Suchy Piyaro: mantieni il buonumore,
sii contento e conserva la purezza e la pulizia
5) Dwi-Kal Sandhya Karo: prega due volte al giorno (
mattina e sera)
6) Sanjk Aarti Gun Gao: canta inni di lode al Signore la
sera
7) Hom Hit, Chit, Preet Su Hoy: fai offerte al sacro
fuoco con sentimento di benessere, amore e devozione
8) Pani, Indhan, Dudh Ne Lije Chhan: usa acqua e latte
filtrati e bolliti per renderli liberi da impurità e insetti
9) Bani Ne lije Chhan: pensa prima di parlare
10) Ekshma Hirde Dharo: perdona di cuore
11) Daya Hirde Dharo: sii compassionevole, gentile,
comprensivo di cuore
12) Chori Barjiyo: è proibito rubare o utilizzare beni
altrui senza permesso
13) Ninda Barjiyo: è bandita la critica malevola
14) Jhuth Barjyio: è proibita la menzogna
15) Bad Na Karno Koy: non indulgere in inutili
controversie/dispute
16) Amawas Vart Rakhno: digiuna negli Amawas (
l’ultimo giorno di luna calante di ogni mese)
17) Bhajan Vishnu Batayo Joy: adora e recita il nome di
Vishnu con devozione
18) Jeev Dala Palany: sii compassionevole verso tutti gli
esseri viventi
19) Runkh Lila Nahi Ghave: non tagliare alberi verdi
20) Ajar Jare Jeevat Mare: vinci il tuo Ego
21) Kare Rasoi Hath Su: mangia cibo casalingo, non
mangiare cibo cucinato o conservato in maniera impura.
22) Amar Rakhave That: offri rifugio agli animali
abbandonati, affinchè questi possano terminare con dignità le loro vite e non
venire uccisi
23) Bail Badhiya Na Karave: non castrare i tori
24) Amal Su Dur Hi Bhage: non commerciare in oppio
25) Tamakhu Su Dur Hi Bhage: non fumare nè usare il
tabacco e i suoi derivati
26) Bhang Su Dur Hi Bhage: non consumare o trafficare
in narcotici
27) Madh Su Dur Hi Bhage: non consumare o trafficare
in alcolici
28) Mans Su Dur Hi Bhage: non mangiare carne o cibo che
non sia vegetariano
29) Leel Na Lave Ang: non utilizzare il colore
blu-violetto, estratto dalla pianta dell’Indigo ancora verde.
Jaisalmer e incredibilmente assomigliante ad una L'Aquila in versione orientale,e non solo per il numero 99.I vicoli,i palazzi importanti,ma anche le espressioni dei visi delle persone...Ho trovato dei punti di incredibile concidenza!Ina è deliziosa!!!Chissà cosa starà facendo adesso e quanto è cresciuta!Un altro affascinante racconto che mi ha fatto sognare un pò...Grazie Pà a presto.Carlo
RispondiEliminaP.S. non farci aspettare tanto la prossima volta!!!