mercoledì 1 novembre 2017

LE DUNE DI KONGOORYN ELS ( GOBI)


"Sono nato signore del cielo blu profondo,
negli spazi tra due stelle distanti,
negli anelli intorno alla luna rocciosa,dove poco succede.
E, laggiù, nel blu, dove i miei occhi possono vedere l'orizzonte, 
Sono nato signore del cielo blu profondo.

Sono nato signore tra le montagne innevate,

nel vorticosa brina, dove le nuvole intrecciate le vette,
nei fiocchi di neve scintillanti, dove si trasformano in ghiaccio.
E, dove gli yak scalano in inverno amaro,
Sono nato signore tra le montagne innevate.

Sono nato signore della steppa sconfinata,

dove i miraggi rivive a primavera,
nelle valli, dove l'inverno fa tremare i denti dei cammelli.
E, dove le orme dei dinosauri erano state conservate,
Sono nato signore della steppa sconfinata."




Il deserto del Gobi, in Mongolia, è un'immensa distesa a 1700 m. di quota, dove d'estate si raggiungono i 50 gradi e d'inverno i venti spazzano quelle lande a 150 km/h e le temperature precipitano a -55.
Il terreno è principalmente roccioso e le dune sabbiose si riducono a pochi luoghi, li dove il vento ha accumulato i grani.
Una delle zone più belle sono le dune di Khongooryn Els. Il vento ha depositato la sabbia in un serpentone lungo 250 km e largo dai 20 ai 40 km che serpeggia davanti alle meravigliose montagne di Gurvan Saikan.
Ho deciso di traversare le dune da una parte all'altra e tornare indietro. Saranno 40 km circa su sabbia,  ma le dune sono altissime e non conosco la loro tipologia. La conoscenza del tipo di dune è essenziale perchè nel deserto la linea retta che unisce due punti non è la più corta. L'itinerario dipende da diversi fattori ed ogni deserto ha una sua peculiarità e il tragitto che sembra più lungo in realtà è poi quello più veloce e meno faticoso. 
Insieme a Franca ed alla guida stiamo traversando il Gobi con un fuoristrada e sono giorni che viaggiamo in una pianura allucinante, un vero mare senza fine che pian piano, dalla taiga, alla steppa è diventato desertico. Qui l'anima si perde e Franca si sente oppressa da tanta immensa libertà.


 Qui nulla ferma lo sguardo e il primo posto abitato, che poi è un villaggio con poche case, è distante 500 km.  La nostra guida è una ragazza di 24 anni, parla perfettamente italiano, insieme ad altri idiomi. 


Conosce perfettamente il deserto e grazie a lei, spesso ci siamo tratti d'impaccio in zone difficili da percorrere, quando la pista era stata cancellata dalle meteore. Poi ha capito la mia indole e mi lascia andare  senza problemi.  Ora Franca, la guida e l'autista mi hanno accompagnato alla base della prima duna, la più alta e sono tornati alla tenda persa in quella immensità.


 Mi sono concentrato per fissare la sua posizione perchè è necessario che la ritrovi, al ritorno, visto che potrebbe essere anche notte. Non ci sono punti di riferimento, solo l'immensa pianura dove corrono le gazzelle, come fulmini, alzando piccole nubi di polvere. In lontananza svettano le Gurvan Saikan, meravigliose nella loro possanza. Sembrano sorgere dalle sabbie, ma in realtà, tra la striscia di sabbia e le prime propaggini, ci sono da percorre almeno 20 km. 


 Franca mi accompagna per qualche metro all'inizio della prima duna poi mi saluta e torna indietro. 
La prima duna si innalza repentina sulla piana infinita, è la più alta e li il vento continua imperterrito a costruire questo meraviglioso edificio.
E' sabbia chiara, impalpabile, sembra debole, incoerente, invece il vento invernale che soffia spesso a 150 km/h non la distrugge.  Voglio traversare questa striscia di sabbia, qui dove è larga circa 20 km, andare al di la e tornare indietro percorrendo un semicerchio che mi permetterà di trovarmi sulla direttiva della tenda. Non mi preoccupo, in qualche modo la ritroverò. Quello che invece mi preoccupa è il fatto che non conosco il Gobi, non ho esperienza di questo tipo di dune, non so se saprò riconoscere le dune madri , quelle stabili, che non sono altro che una bussola precisissima.


Esse sono costruite dai venti prevalenti e sono stabili, almeno per un tempo relativamente lungo e sono tutte nella stessa direzione. Tra le dune principali c'è una miriade di dune mutevoli, che i capricciosi venti del deserto si divertono ad edificare in un labirinto inestricabile in cui e facile perdersi. Questo è l'unica mia preoccupazione, perchè devo percorrere un itinerario semicircolare, quindi devo seguire una rotta precisa. 


Sarebbe estremamente facile andare al di la e poi tornare seguendo linee rette, ma  dovrò provare di nuovo a me stesso di avere ancora il mio gps mentale  in perfetta efficienza.


 Come sempre non porto alcuno strumento elettronico e neppure un antico ago calamitato e da giorni non c'è campo telefonico, ma questa cosa, invece di preoccuparmi, mi tranquillizza. 


Ma ora è tempo di salire un pendio ripidissimo in cui la sabbia fugge da sotto i piedi e fluisce verso il basso in piccole slavine. Ho tentato di studiare un itinerario, ma all'atto pratico non si è dimostrato essere il migliore. 


Come ho detto, nel deserto il percorso più breve non è necessariamente quello che unisce due punti e devo scegliere le zone in cui la sabbia sembra più compatta. Sarebbe stato saggio salire lungo la cresta, ma essa corre imperterrita per km e km prima di abbassarsi sulla piana, meglio affrontare il nemico direttamente. Il caldo è notevole, forse saranno 45 gradi, ma sicuramente più sopportabile di altri momenti vissuti nel Sinai o nel Grande Erg sahariano.. Questa duna sarà alta circa 300 m e, partendo “a freddo” le ginocchia iniziano ben presto a reclamare. 


Faccio finta di non sentirle, nascondendogli ciò che dovremo fare, altrimenti corro il rischio che si rifiutino di proseguire. Comunque camminare sulla sabbia ammortizza il mio procedere e specialmente in discesa sono molto facilitato. Non oso neppure pensare quando, al ritorno, dovrò camminare nella piana dura e sassosa per almeno 20 km, se troverò subito la tenda, altrimenti...


 Mentre salgo, mi ritrovo in un punto ripidissimo in cui la sabbia è inspiegabilmente molto compatta, quasi un pavimento di mattoni surmontato da granuli di sabbia che lo trasformano in una sorta di pista da bob in cui è praticamente impossibile procedere. Mi sposto lateralmente e ritrovo la sabbia molle, più faticosa, ma più tranquillizzante. Ma ecco la cresta, sbuco sull’esile filo poco al di sotto del punto più alto. Percorro poche decine di metri e poi mi siedo a cavalcioni della cresta. 


Ora mi viene in mente una foto di Messner fatta quando traversò il Gobi.


 Sono sicuro di essere nello stesso posto. 


Alla mia sinistra si estende la spettrale piana che si perde all’orizzonte come un mare infinito. Alla mia destra il campo di dune. Cerco di capire la filosofia costruttiva del vento del Gobi, è essenziale per procedere in sicurezza.


 Non posso inoltrarmi tra questo labirinto di sabbia senza sapere dove sto andando. Da quella quota riesco a capire dove sono le dune principali e come d’incanto, l’itinerario diventa semplice, tutto diventa intuitivo, non è possibile sbagliarmi, le dune indicheranno il mio cammino.
Qui il sole traccia un arco nel cielo che non è come nel Sahara. La mia ombra non segue una linea est-ovest, ma è mutevole nelle ore, considerando che siamo ad una  latitudine più alta.
Per percorrere il mio tragitto semicircolare devo triangolare la direzione delle dune principali con la mia ombra che cambia continuamente posizione e devo memorizzare una linea curva. Sembra difficile, detto cosi, invece tutto mi appare semplice e chiaro.
Ora posso andare con sicurezza, non potrò mai perdermi, posso solo fare un piccolo errore. Man mano che mi inoltro nelle dune il calore aumenta, credo che stia aumentando leggermente anche l’umidità. Qui è una scoperta continua, non come il Sinai che per me non ha più alcun segreto.  
 Il sole sorge e tramonta numerose volte facendo capolino tra le dolci curve delle dune. Assisto ammirato a questo spettacolo. Credo di essere il Piccolo Principe che nel suo minuscolo pianeta poteva assistere anche a 40 tramonti al giorno, solamente spostando la sedia su cui era seduto. Dietro di me lascio una traccia sulla sabbia  che non è altro che una profanazione in questo ambiente perfetto ed immacolato.
  Credo che le mie stesse orme mi diano un briciolo di fastidio, ma i miei passaggi in cresta sono subito cancellati dal vento che provvederà a far tornare perfetto questo territorio stuprato da un essere che il deserto non prevede nei suoi piani.
 Non porto l’orologio, ma che senso ha sapere che ora è quando è il sole che decide l’ora della tua giornata? Non ho più neppure bisogno di guardare l’ora, mi basta vedere come cambia il colore della luce durante l’incedere della nostra stella. l’atmosfera per un più lungo percorso, perdono alcune lunghezze d’onda e mutano il loro colore. Nel deserto posso apprezzare questi cambiamenti in maniera infinitesima e posso stabilire anche frazioni di ora.

 Ed ora sto camminando tangenzialmente al bordo esterno delle dune li dove devo tornare indietro e il percorso mi porta di nuovo nell’interno, lungo la via del ritorno.  L’ultima sabbia si ferma improvvisa su un pendio che sale piatto verso le Gurvan Saikan che sembrano vicinissime, ma che io so quando il panorama possa ingannare.

Sto tornando, ma non è lo stessa via e quindi mi trovo ben presto a salire un muro di dune che pian piano si innalzano in un altopiano mentre il sole vira decisamente all’ocra, facendo cambiare colore anche alle dune.  Le orme producono unìombra che le intaglia sempre più nel terreno.

 Ormai sono alla cima della catena di dune ma non si vede la piana, solo dune e dune. Ma devo solo scendere e scendere è dolce, per le mie ginocchia. Il rosso mi invade, posso ammirare il Sole anche senza occhiali.
La polvere fa da filtro e tutto si colora di ocra intenso. Mi volto e vedo la montagna di dune che ho disceso, davanti a me ancora dune, ma ormai credo che la sabbia stia per finire. Poi supero una bassa ondulazione e una meraviglia incredibile si apre davanti i miei occhi.unavalle tra le dune è un rato verde, l'erba sembra una moquette perfetta, il verde è intenso.

Una valle tra le dune è un prato verde, l’erba sembra una moquette perfetta, il verde è intenso. La valle non è piatta, ma è composta da centinaia di cupole di circa un metro di diametro e 30 cm di altezza, evidentemente create da polle d’acqua sotterranea.
Sono estasiato di fronte a tale visione. Anche l’inferno del Gobi non può nulla contro la vita che si nasconde li dove sembrerebbe non poter esistere. L’aria ocra dipinge ancor più il verde incredibile donandogli ancor più evidenza e vitalità.
Ma le sorprese non  dovevano finire qui. Mi allontano con dispiacere da questo luogo magico e mi avvio verso nord, verso la piana.  Ormai sono certo che devo superare l’ultima duna e così è.
Ma al piede dell’ultima duna scorre un fiume che ha scavato il suo alveo nel fango incoerente e non è facile scendere per traversarlo. E' il Kongooryn Gool.
Ma la meraviglia è che questo fiume sorge da sotto una duna, filtra tra le sabbie e intraprende il suo cammino per perdersi poi nuovamente nel deserto, ingoiato dalle dune.
La bassa acqua è calda ed è meraviglioso bagnarsi per attraversarlo, tanto che seguo il suo percorso per varie centinaia di metri e poi, approfittando di un bordo percorribile, salgo e mi avvio verso la piana che ormai intravvedo lontana.
Percorro alcuni km tra bassi arbusti e alcuni cammelli e finalmente ecco la piana. Non una ondulazione, nessun punto di riferimento.
Lo sguardo non si ferma in nessun punto che possa dare una indicazione e io devo cercare una tenda invisibile in questo oceano. Alla mia dx alcune gher e alcuni cammelli sembrano posti li per essere fotografati, con le dune e le Gurvan Saikan che chiudono il quadro.
Ma il sole volge al tramonto ed io devo trovare la tenda. Non mi preoccupo del buio perché so che almeno potrò essere guidato dal chiarore delle lampade. Comunque qui non fa notte prima delle 23,30 quindi ho ancora alcune ore di luce.
Devo procedere spedito sperando di avvistare il bianco telo. Vedo della polvere in lontananza spostarsi veloce e quando questi piccoli tornado si avvicinano mi accorgo che sono velocissime gazzelle che come fulmini corrono nella piana.
Passa circa un’ora, poi due e comincio a dubitare della direzione seguita mentre il sole ormai sfiora il perfetto orizzonte. Le dune ormai sembrano una piccola linea gialla che divide la scura piana dalle nere montagne che si innalzano dietro di esse.
Nella piana sassosa il caldo aumenta, il vento cala e una cappa mortale mi fa sudare profusamente. Ma laggiù mi sembra di intravvedere qualcosa e mi dirigo verso quella confusa visione. Ormai sono sicuro che sia una tenda,ma non posso essere sicuro che sia la mia meta, potrebbe essere un piccolo gruppo di tende dei nomadi.
Comunque decido che il punto mentale che mi ero creato alla partenza coincide con quella possibilità e mi avvio deciso.  Man mano che avanzo la confusa visione si trasforma in una tenda, poi due, poi tre. Sicuramente sono sulla giusta via.
Nell’aria perfettamente pulita del Gobi stimo la distanza in alcuni km e quindi credo che al massimo in ¾ d’ora dovrei arrivare, ma le cose non stanno esattamente così. Passa un’ora e poi due, poi tre, il buio incalza e le tende sembrano allontanarsi man mano che avanzo. Poi finalmente si fermano e avvicinandomi, scorgo due figure che mi vengono incontro. 

E’ Franca e la guida che sono felici di vedermi.
Mi dicono che l’autista era preoccupato per la mia sorte e con il fuoristrada era venuto a cercarmi, ma è come cercare un ago in un pagliaio e logicamente non mi aveva trovato. Sono le 23. 30, le stelle danno il cambio al giorno rovente. Franca mi ha messo da parte la cena.
Non ho neppure tanta sete. Dopo cena ci sediamo all’aperto, sotto le stelle del Gobi, il vento caldo porta notizie di sabbie, di eserciti antichi, di Gengis Khan, padrone di queste terre e di mezzo mondo allora conosciuto.
L’immenso vuoto che ci circonda culla il mio sonno, dormo con qualche crampo che mi sveglia di soprassalto, ma subito mi riaddormento e sogno le dolci dune del grande Gobi.
Da googleheart ecco il percorso, sono circa 45 km...ma sulle dune. Si vede perfettamente il prato verde.