mercoledì 13 novembre 2013

IL MONTE TATHALI DAGI, REGNO DELLA CHIMERA


Il paese delle chimere è, in questo mondo, l'unico degno d'essere abitato.         ( Jean Jacques Rousseau)
 

Un viaggio in Turchia rappresenta un viaggio nella storia, nella nostra storia. La nostra civiltà è nata laggiù, laggiù son nati i nostri miti, le nostre leggende, le nostre favole. In realtà ho visto un monte bellissimo, un vulcano che si innalza solitario sulla pianura sterminata. La classica forma di un vulcano, un 4000 che si erge fiero sulle lave pianeggianti da lui stesso eruttate. E’ la madre della terra leggendaria dell’Anatolia, dove gli uomini hanno scavato le rocce rifugiandosi in esse, dove sono sorti i fantastici camini delle Fate.
 
Per poter salire l’Ercyes Dagi c’è un giorno intero a mia disposizione, mentre gli altri faranno una escursione. Dovrò correre parecchio, ma ingurgidando due buone compresse di voltaren penso di poter zittire le ginocchia fintanto che mi avranno portato alla cima….poi si vedrà. All’arrivo vedo di lontano l’Ercyes. Tra me e lui si interpongono valli trasversali e stimo la distanza almeno a 30 km in linea d’aria e forse 60/70 su strada. Non è una grande distanza per un taxi, ma purtroppo, il pomeriggio, la nostra guida ci fa visitare una zona dove c’è un “assaggio” di ciò che vedranno l’indomani i miei turistici amici. Trovo mille scuse dentro di me….il taxista a cui mi rivolgo mi chiede una cifra enorme per poter essere a mia disposizione tutto il giorno ( qui non siamo in Marocco…). Devo partire a mezzanotte e sto distrutto dall’ultima tappa del viaggio. Come ben sapete io ho gravissimi problemi alla colonna e stare seduto in un pulman mi riacutizza la sintomatologia. Gli altri tentano di convincermi a rimanere con loro….ma sono tutte scuse.
 
 La realta è che sono rimasto affascinato dalle forme stregate delle rocce, dai cunicoli e dalle stanze scavate dall’uomo dentro di esse, dalle torri rocciose dove spuntano finestre e dove si affacciano donne dai capelli corvini.


 
Sembra una fiaba dei fratelli Grimm…e a me piacciono le favole. Sono un momento combattuto tra le favole e l’alpinismo….poi mi faccio vincere dal mistero e rinuncio all’Ercyes Dagi.
 
 Mi consolo pensando che tra qualche giorno arriverò alla Licia e li mi fermerò a Goynuk per una settimana. La Licia,  terra  delle leggende, dei monti altissimi e misteriosi, dove vissero mitici re, dove combatterono gli eroi della nostra storia, dove vivevano creature leggendarie


La prima catena di monti si erge direttamente dal mare e sale verticalmente per 2500m. Proprio sopra Goynuc,  c’è il monte Thatali Dagi, alto 2500 m che con un solo balzo arriva fino alle eterne nubi del giorno che ne nascondono la misteriosa cima, una parete che sembra un’onda di uno tsunami che un’antico dio del mare innalza quando sorge, ruggendo, dalle acque.
Il Tathali Dagi in una vista aerea invernale
Ma non è un monte qualunque. Esso ha una storia, un mito, una leggenda che ancora vive tra gli uomini. Uno dei miti più duri a morire. Gli dei sono stati spazzati via dal dio di tutti i viventi, gli eroi sono stati ingoiati dalla nostra civiltà che fagocita e digerisce ogni cosa, ma il mito della Chimera ancora resiste.

Qui viveva la Chimera, l’immondo animale che assaliva i naviganti. Su quel monte scorrazzava la Chimera. Il suo mito resiste perché la Chimera rappresenta i nostri sogni, le nostre aspirazioni, rappresenta la nostra stessa natura, la nostra indole.  Il Tathali Dagi è un monte bellissimo….quella è la mia prossima meta.

Come sempre non ho la benchè minima idea di dove devo andare, non mi sono informato sui sentieri, non porto gps, bussole, cartine e quant’altro da sempre rifuggo. Le montagne, dalla costa, sono impercorribili. Pareti verticali di roccia rotta e bosco impenetrabile, freddi ruscelli hanno scavato profondi canyon.

Proprio un canyon sbocca a Goynuc….da li parte la mia esplorazione. Il primo giorno mi inoltro nella gola fino al punto di non procedere oltre a via dell’acqua ghiacciata.

Faccio un breve giro e poi decido di tornare il giorno successivo fornito di tuta da sub… ma questa è un’altra storia che racconterò successivamente.

Mi rendo conto che l’approccio al monte è più conveniente avvenga in una valle adiacente e li mi dirigo il giorno successivo sperando in una via d’accesso non tropo complicata. Un bosco fitto mi si para davanti…quello è il bosco della Chimera.   

La Chimera "...Era il mostro di origine divina, lion la testa, il petto capra, e drago la coda; e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco: e nondimeno, col favor degli Dei, l'eroe la spense..." (Iliade, VI, 223-226). L’eroe in oggetto era Bellerofonte, ma la storia è affascinante. Tutto inizia quando Bellerofonte uccise Bellero ( da qui il nome Bellerofonte) per cui dovette lasciare Corinto precipitosamente pur essendo egli il figlio di Glauco, il re. Bellerofonte si rifugiò come supplice, presso Preto, re di Tirinto, che lo purificò; ma Antea, moglie di Preto , si innamorò di lui a prima vista. Quando Bellerofonte rifiutò le sue profferte, essa lo accusò di aver tentato di sedurla e Preto, che credette alle parole della moglie, si infiammò d'ira. Non potendo far nulla contro di lui a via delle leggi che vietavano ogni violenza verso un supplice, lo inviò al padre di Antea, Iobate re di lidia con una lettera di presentazione in cui si chiedeva al re di uccidere il latore della lettera. Ma Iobate, restio ad uccidere un ospite, chiese a Bellerofonte di rendergli un prezioso servigio uccidendo la Chimera, un mostro dall'alito infuocato, che devastava la Licia. Sicuro che questa impresa fosse senza speranza lo inviò nel bosco in cui si nascondeva l’orribile mostro….

In questo bosco mi inoltro come Bellerofonte, senza alcuna indicazione, tra pareti vertiginose che si gettano in orridi bui, con alberi che intrecciano i loro rami come sbarre di una prigione le cui pareti si restringono man mano che avanzo. Salgo lontano dalle ultime strade, in un sentiero immaginario che sembra portarmi verso la parete rocciosa libera dal bosco e che si innalza con un balzo immane verso il cielo.

Supero ruscelli, mi inoltro ancora nel bosco che ora non mi permette più di orientarmi avendo perso ogni riferimento visivo.

Per un momento ho il dubbio di essermi perso, poi riprendo la sicurezza del mio istinto e trovo un ruscello secco libero dagli alberi, che mi fa avanzare ancora verso l’alto.

 Ora tutto finisce in una parete e devo trovare un percorso che non esiste, anzi, che esiste solo nella mia fantasia.

 Rumori sinistri, tra gli alberi, risvegliano il pensiero dell’orribile mostro che mi insegue, che osserva i miei movimenti in attesa che il bosco mi imprigioni per sferrare l’ultimo agguato.


 Devo tornare indietro e trovare un’altra strada mentre il caldo e l’umidità mi riempiono di sudore che mi cola sugli occhi e mi brucia la vista. Non sono molto in alto, forse neppure a 700 m ed il caldo della costa risale i versanti del monte caricandosi di umidità e poi condensano sulla cima, nascondendo la vetta, ogni giorno, da millenni e millenni.

Nel bosco e nelle nubi si nasconde la Chimera, osserva le vittime e poi si getta su di esse, dilaniandole.  Il bosco è il rifugio notturno, ma il giorno sale e scende dalla cima…..li devo salire domani…


La mia bici questa volta non mi aiuta, piuttosto impedisce il mio cammino incastrandosi inestricabilmente tra i cespugli ed i rami. Inoltre devo trainarla sulle paretine che si ergono a sbarrare il mio cammino e che compaiono improvvisamente tra il fogliame.

 Forse esiste qualche strada o qualche sentiero che sale verso la vetta. Sono sicuro che esista più nell’interno, dove ci sono alcuni villaggi appollaiati su rocce aggettanti sugli intagli oscuri dei torrenti. Qui non si vede una sola piccola traccia di una debolezza nelle fortificazioni dell’unica vetta principale. Non so se sto seguendo un tragitto logico, ma da tempo non mi interessa seguire un tragitto logico, seguo come sempre l’illogicità del mio istinto.

Penetro sempre più profondamente nella casa della Chimera che ha scelto bene il suo imprendibile rifugio. In questo bosco Bellerofonte deve aver intuito che l’impresa chiesta da Iobate era un’impresa destinata al fallimento e  aveva il suo unico scopo nella vendetta del re …. Certamente qui dovette accettare il suo fallimento così come io comincio ad accettare il mio.

 Il sole si accinge al tramonto quando io mi rendo conto che da questo versante il monte è inattaccabile, come la Chimera che scorrazza nel buio della foresta.  Il cielo non è visibile e la luce soffusa dalle foglie mi fa credere che il tramonto sia più vicino di quello che realmente è.  Ogni tanto il bosco mi regala una piccola oasi libera dagli alberi e li mi riposo.

 La luce invade gli occhi abituati alla penombra procurandomi scintille e chiarori che persistono per molto tempo. Specialmente quando mi getto di nuovo nel bosco, le mutevoli luci retiniche fluttuano nel mio campo visivo, come una Chimera che corre tra le luci e le ombre del folto e pauroso bosco.

 Ora mi trovo di nuovo sotto una parete sorta improvvisamente davanti all’ultimo cespuglio, ma è una parete rotta da gradoni invasi dalle erbe. Si può tentare di salire verso un orlo roccioso che nasconde un cammino misterioso. Al di la c’è il mistero di un percorso sconosciuto, ma è l’unica via che sembra avere una minima possibilità di successo verso il cielo.
La Chimera non ha ali, è relegata sulla Terra, come me. Se vuole sapere cosa succede nel mondo, se vuole aggredire i passanti, i naviganti, i nemici che la vogliono morta senza ragione deve salire sulle altezze del monte, li dove il panorama si allarga a dismisura.

Sono sul percorso della Chimera, gli alberi sotto il canale sembrano allargarsi a via del continuo andirivieni della orribile Creatura. Quando il sole ormai sfiora le montagne alle mie spalle sono al di la del bosco, sono fuori. Lo sguardo si perde nel blu del cielo, sotto una cresta che si innalza fino alle nubi che nascondono ancora una volta il cammino, ma sono nubi eteree, corrono con il vento, sfiorano le rocce nascondendole e scoprendole.

 Sotto di me il buio, sopra la mia testa la luce. Ora dove sarà Chimera ? Qui può scatenare la sua orrenda forza, può sviluppare tutta la sua velocità, può eruttare le fiamme distruttive dalla sua profonda gola. Il territorio è libero, nessun albero impedisce le sue scorribande.

Ora so cosa deve aver pensato Bellerofonte. Per raggiungere il Mostro avrei bisogno di un mezzo volante, per attaccarlo e per sfuggire la sua ira. Chimera era una creatura mostruosa nata da Tifone, uno dei Titani e da Echidna, anch’essa creatura orribile metà donna e metà serpente.
Ma ora si trattava di combattere e senza un mezzo non c’era speranza di vittoria. Meglio chiedere consiglio all’indovino Polidio. Certo !!! Bastava cavalcare Pegaso, il cavallo alato….ma come domarlo? Per questo l’unica speranza rimaneva Minerva. Durante la notte passata nel Tempio, Minerva gli apparve in sogno e lasciò all’eroe una briglia dorata per poter domare Pegaso.


Quando Bellerofonte si risvegliò, con suo stupore si accorse che stringeva in mano proprio una briglia dorata con la quale poté facilmente ammansire Pegaso.

Il più era fatto, ora Bellerofonte poteva inseguire la Chimera sul terreno scoperto delle altezze, tra le rocce verticali delle sue pareti, tra le nubi fuggevoli. Bellerofonte aveva il suo alato mezzo, ma io sono imprigionato a terra come i miei mostri, devo salire faticosamente mentre essi sono liberi si vagare indisturbati. 

 Ma il giorno volge al termine, prima che il sole si nasconda definitivamente, devo tornare indietro e devo fissare nel mio GPS cerebrale il cammino nel bosco. Domani devo salire velocemente fino al gradino dove parte la cresta e devo farlo senza indugio, non vorrei che la Chimera mi assalga durante il cammino.
“Le nostre chimere sono quel che più ci rassomiglia.” ( Victor Hugo) 
 

Parto che il sole ancora non illumina le grigie pareti dei monti della Lica, ben presto arrivo nel bosco ed accendo il mio organico GPS.

 Ritrovo il ruscello, ritrovo l’albero abbattuto da un fulmine, credo di star seguendo il mio cammino con un errore quasi nullo.

Ricordo ogni sasso che ho calpestato il giorno precedente, salgo sul gradino, mi affaccio sopra la parete….ecco lassù la cresta, ormai il tragitto è evidente, non  posso sbagliare. Fisso il mio cammino, ora neppure la nebbia o il buio possono farmi smarrire la strada, ormai ho la mia mappa mentale ben scritta e già provata numerose volte negli anni.

Mi fermo un momento, il cielo ancora è terso, ma ben presto le nubi saliranno dal mare e nasconderanno la vetta, come sempre. Devo affrettarmi, il dislivello è enorme e la cresta infinita.  In salita non ho problemi per le ginocchia, ma la discesa….per ora è meglio non pensarci, sono 2300 m di dislivello da scendere.

 Ma per ora l’unico pericolo è la Chimera, chissà quando deciderà di attaccarmi, chissà se vedrò Bellerofonte sul suo cavallo alato. Salgo velocemente sulla cresta molto inclinata. Più che una cresta è un vero e proprio gobbone che, come una schiena di un immenso cavallo, sale verso le nubi e si perde tra di esse.

 Dal mare credo che la cresta sia una sola, quindi non dovrei avere problemi nel caso che fossi coperto dalla nebbia. Ben presto il bosco si allontana. Verso il basso appare la scura macchia, il rifugio della Chimera. Ora la cerco tra le rocce, tra i canaloni che si perdono negli abissi, alla mia sinistra.

Mi siedo con le gambe penzoloni nel vuoto e scruto l’orizzonte, scruto il mio cammino, scruto le valli alla mia destra che, più dolci si stemperano

 nell’interno della Licia e poi risalgono improvvise da altezze modeste, fino alla vetta dell’immenso mammellone con il suo capezzolo, il Bey Daglary (m.3100), di fronte a me…
 
La cresta diventa acuta e precipita nel vuoto. Arrampico facili rocce mentre le nubi si rincorrono sopra di me, ma non nascondono il mio cammino.


Man mano che salgo il panorama si allarga, si estende sul mare, ma non trovo tracce della Chimera.  Probabilmente non sono una preda appetibile. Chissà poi perché la Chimera aggrediva i naviganti.

 Non rubava i loro beni e certamente non le mancava il cibo. Non capisco. Forse rappresenta semplicemente la forza della natura, ecco perché l’uomo la combatte, come sempre. La natura, un nemico da sconfiggere, da piegare al volere dell’uomo senza neppure immaginare le conseguenze.

Ma poi perché la Chimera dovrebbe essere un mostruoso insieme di animale feroci? Il leone rappreenta il coraggio,la forza. La capra è colei che ha nutrito Zeus bambino, rappresenta la natura prodiga ed il serpente è la conoscenza, così come insegna esculapio, il cui simbolo erano due serpenti attorcigliati.

 Questi pensieri mi accompagnano mentre salgo e mi e mi immergo dentro nubi veloci che coprono e scoprono la vista. Il sole fa capolino e gioca a nascondino con le rocce e le nubi. Ombre effimere e fugaci ingannano la vista ed i sensi. Ora avvisto un’aquila che vola nel vento, ora mi sembra di vedere la Chimera che corre tra le rocce.

Poi un’apertra più sicura mi permette di avvistare un gregge di capre, proprio li dove un muro semicircolare di rocce mi permette di ipotizzare un rifugio  di pastori che formano con i loro ombrelli un tetto improvvisato.

 Ma non c’è traccia di esseri umani, le capre scorrazzano libere tra le rocce e si confondono con esse. Poi un’esile figura sembra muversi su due gambe. Mi incammino verso di essa e pian piano che mi avvicino ho la certezza che sia il pastore.

 Chiedo se ha mai visto la Chimera. No…mi risponde, ormai la Chimera non c’è più. Possibile che non  lo sappia? Bellerofonte l’ha uccisa. Ha posto sulla punta della sua lancia un blocco di piombo, è salito su Pegaso, il suo cavallo alato e si è scagliato su di essa.

 La Chimera si è difesa strenuamente eruttando fuoco e fiamme dalle sue fauci. Il piombo si è fuso ed è colato nella sua gola, uccidendola.

 Morente, si è diretta verso il bosco, dall’altra parte del monte, mentre il piombo fuso distruggeva lentamente le sue viscere. Una valle amena che si getta in un golfo turchese ha accolto la sua ultima ora.

Incalzata da Bellerofonte in sella a Pegaso si è accasciata a terra mentre la sua bocca e la sua gola si scioglieva nel fuoco del piombo rovente. La sua bocca si è divisa e mentre faceva i suoi ultimi passi, ha lasciato sul terreno il fuoco delle sue fauci.

 Quel fuoco ancora arde in quella valle. Fiamme eterne illuminano la notte. Ora non incontrerò più la Chimera, salgo ormai senza scopo verso una vetta che per me non ha più alcun interesse.

Passo una sella e dopo un tempo imprecisato mi ritrovo su una vetta che inizialmente credevo trattarsi della cima, ma al di la si vede un punto più alto, separato da un bella sella. Mi trovo sul Tercan Tepe.

Ora le nubi si allontanano, anzi, restano al di sotto di me e, mentre tentano di salire, si dissolvono al sole delle vette.


 Ormai viaggio su una cresta che sembra l’ala di un aereo, una cresta che divide due mondi, uno vertiginoso che precipita fino ai boschi ed un altro ameno che scende degradando verso i prati della Licia.

Un’ultimo sforzo e salgo negli ultimi metri, sono sulla cima. Dalla vetta il mare appare più turchese di quanto gli antichi lo abbiano appellato.

La costa è sotto di me, laggiù, sembra irraggiungibile e tra me e la costa c’è una parete senza fine che con balzi verticali supera i 2000 metri degli ultimi alberi.

 Penso alla Chimera, al perché dobbiamo decidere sempre noi come le forze della Terra debbano comportarsi e, se non ci aggradano, dobbiamo distruggerle. Ma non ho tempo, devo scendere ed arrivare, a sera nella valle dove giace la Chimera, li dove ancora arde il suo fuoco.
“Quale chimera è, dunque, l'uomo? Quale novità, quale mostro, quale caos, quale soggetto di contraddizione, quale prodigio... Chi sbroglierà questo garbuglio ? ” (Blaise Pascal)
 La luna splende bassa sul mare e i suoi riflessi accendono il cielo. Davanti a me il mare Turchese, dietro di me la nera montagna. La valle sale verso il buio, ma piccole luci tremolanti sono sparse, lontano, sembrano candele in un villaggio berbero sperduto tra i monti dell’Atlante. Salgo seguendo un sentiero ben tracciato in un bosco rado di alberi d’alto fusto, in compagnia di alcuni turisti, poi rimango solo. Ben presto le luci prendono vigore e compaiono altre fiammelle, altre luci illuminano un pendio aperto.


E finalmente …ecco…una prima fiammella compare improvvisa davanti a me. Dalla roccia esce la luce, dalle profondità della terra emerge la vita, quella vita che la fiamma sembra avere. Trema, si alza, diminuisce, ondeggia. Ma non mi fermo, proseguo verso un punto più in alto. Ecco ora un campo illuminato.
Da ogni punto, da ogni fessura esce il fuoco. La bocca della Chimera ancora vomita le sue Fiamme. Sono almeno 3000 anni che qui la bocca della Chimera fa sentire il suo ruggito, a ricordo della sua forza che non potrà mai spegnersi, al contrario delle flebili fiammelle della vita umana..
Qui Bellerofonte ha creduto di poter uccidere il suo mostruoso nemico, ma la Chimera sempre abergherà nel suo e nel nostro animo. La Chimera dei nostri sogni, dei nostri desideri vivrà in eterno.

Eterna come le sue fiamme sarà la Chimera della nostra stessa natura dove alberga un coacervo di animali mostruosi che devono necessariamente convivere. Il mito della Chimera è un mito antichissimo, è sopravvissuto nei millenni forse semplicemente perché non è un mito.

La Chimera ancora vive. Al contrario dell’eroe Bellerofonte che fu punito dal Fato, morendo povero e cieco. La Chimera invece ancora emana le fiamme della vita perché non potrà mai morire, perché la Chimera siamo noi stessi ed è un nemico con cui dobbiamo necessariamente  scendere a patti e con cui dobbiamo imparare a convivere.

 Una mia amica mi ha scritto ; “......quando parli di Chimera mi torna in mente un bel romanzo storico... appunto “La Chimera” di Vassalli.....mi pare.....che ho letto diverso tempo fa......sai io sono una un pò sempre contro le banalità e le ovvietà...nel lavoro e nella vita...e forse è per questo che mi considerano un pò diversa......e spesso mi condannano per questo...per il fatto che farei meglio a vivere una vita più "normale"..... Allora tempo fa un mio collega mi ha regalato questo libro perché mi vedeva un pò come la protagonista.....una bimba abbandonata alle porte di un convento...siamo nel '500.....un'esposta.....cresciuta dalle suore e poi data in adozione ad una famiglia molto modesta che viveva in un paesino altrettanto modesto....civiltà contadina...vicino Modena...Mantova...non mi ricordo.....insomma la bimba cresce ed era bellissima...già per questo odiata dalle donne del paese...e poi fuori da ogni regola dettata dalla società del tempo, una società contadina...e bigotta....e contro la chiesa.....era il periodo delle persecuzioni ....insomma in definitiva ce la fanno ad accusarla di stregoneria..... la cosa più semplice per farla fuori e finirà come tutte le streghe...al rogo!!!!!! Insomma un mostro...per la gente "normale"...quindi da eliminare......bel libro nonostante il tragico finale!!!!! Tante Chimere rincorro....alcune diventano quasi reali....(poche)....la montagna...hai ragione....la montagna con il suo silenzio le suggerisce.....le avvicina alla realtà.....ma il rapporto dovrebbe essere più intimo, la confusione rende sordi ci si abitua ai rapporti sfuggenti e spesso ipocriti con il reale e ci sfuggono le emozioni vere..che ci camminano accanto...e ci bisbigliano .....”

Ecco, rincorrere le Chimere, farne diventare qualcuna reale. Questo significa .. vivere... avere un rapporto intimo con la realtà della Chimera…essa ci cammina accanto…ci bisbiglia…