mercoledì 23 maggio 2012

I SETTE PILASTRI DELLA SAGGEZZA, LA MONTAGNA DI LAWRENCE





“Sulle sabbie del deserto come sulle acque degli oceani non è possibile soggiornare, mettere radici, abitare, vivere stabilmente. Nel deserto come nell'oceano bisogna continuamente muoversi, e così lasciare che il vento, il vero padrone di queste immensità, cancelli ogni traccia del nostro passaggio, renda di nuovo le distese d'acqua o di sabbia, vergini e inviolate.” (Alberto Moravia).
 
La parete ed i bastioni de "I sette pilastri della saggezza"

I “ 7 Pilastri Della Saggezza”  è una montagna che si trova in Giordania, nel Wadi Rumm, ma è anche il titolo del libro di Lawrence d’Arabia, che racconta la storia della rivolta araba combattuta dal 1916 al 1918.

Il wadi Rumm è il luogo da dove partirono le tribù arabe di Auda Abu Tai degli Oweitat condotte da T.E.Lawrence per attaccare Aqaba, roccaforte turca, dopo aver attraversato il deserto di Nefud. I cannoni di Aqaba erano diretti verso il mare perchè nessuno poteva traversare il Nefud. I predoni attaccarono dal deserto, Aqaba cadde, si aprì la strada verso Damasco e  Lawrence entrò nella leggenda.

Traversare da solo il Wadi Rumm non è solo camminare nella sabbia, è soprattutto immergersi nella favola dell’incanto del luogo, dove le montagne raccontano di battaglie, di scontri epici, di sangue versato, dove personaggi veri ed immaginari si confondono con la magia vermiglia delle sabbie del mattino in cui troneggia incontrastato il Sole. Oggi il deserto ha cancellato tutto, il vento ha nascosto le tracce di quegli uomini, la sabbia ha asciugato il sangue dei combattenti.

Oggi solo impera la sabbia, le montagne, il sole, quasi che nulla fosse accaduto, quasi che le battaglie non siano mai state combattute, quasi che gli uomini non siano mai esistiti, come sempre succede nel deserto. Oggi solo regna il silenzio, quasi che le urla di battaglia, gli scoppi delle granate, il calpestio dei cavalli, siano stati congelati nelle verticali pareti dei monti incombenti sulla valle. Tutto è stato ingoiato dal deserto che, dopo essere stato insozzato dagli uomini, è tornato puro e pulito.

 In una rovente giornata partii anch’io per traversare il Wadi Rumm.  Nel Wadi Rumm, nei precisi posti dove si svolge la guerra, fu girato il celebre film "Lawrence d'Arabia".

 Lascio alle parole di T.E. Lawrence la magnifica descrizione di quel luogo, avendo io percorso il medesimo tragitto.

“Il giorno nascente ci colse in marcia fra due grandi cime di roccia arenaria, diretti verso il confine di un lungo e dolce pendìo che sembrava quasi rovesciarsi giù dai monti torreggianti davanti a noi.

Tutto era coperto di tamerici: mi informarono che qui iniziava la vallata di Rumm. Guardammo verso sinistra, una lunga parete roc­ciosa che avanzava verso il centro della valle come una lunghissi­ma onda infinita.

A destra, la valle terminava invece con una se­quenza di rossi colli aspri e frastagliati.

 Risalimmo pian piano il pendìo, aprendoci la strada crepitando attraverso le fratte secche e aride. Con l'avanzare della strada, i cespugli si raggrupparono in mac­chie, le cui foglie diventarono di un color verde più carico, e più puro, a contrasto dei contigui spazi sabbiosi di un delicato colore rosa. Il declivio si fece più dolce, fin quando la valle si ridusse ad una pianura inclinata e limitata.


 I monti a destra divennero più alti e ardui, in buona risposta alla sinistra che si drizzava ormai in un unico massiccio bastione purpureo.
Le due pareti si accostarono e la valle rimase larga non più di tre chilometri; poi si alzarono sempre di più, fin quando i loro parapet­ti paralleli corsero sopra di noi, proseguendo per svariati chilometri come una lunga via dritta.

Non erano pareti rocciose ininterrotte, ma composte da diversi strati con blocchi simili ad edifici giganti. Spaccature profonde, lar­ghe cinquanta metri, dividevano i blocchi, le cui superfici erano state levigate e scavate dalla pioggia con alte absidi e scanalature, e presentavano fenditure e cesellature come in un lavoro di arabesco.

 Caverne rotonde, lungo le pareti a strapiombo, occhieggiavano alte come finestre; altre, alla base, si aprivano come porte. Striature scure si allungavano giù verso le rocce in ombra, come macchie dovute ad una lunga usura.

I picchi erano striati verticalmente nelle loro rocce granulari, il cui ordine primo poggiava su stratificazioni di blocchi infranti, alti duecento metri, di colore più intenso e di pietra più dura. Questo zoccolo non si presentava disposto a pie­ghe, come la roccia arenaria, ma frammentato in strati di pietre sciolte orizzontali, come la base di un muro.

I blocchi culminavano in cumuli di guglie rosse, ma meno vivaci del resto dei monti, anzi alquanto grigie e non molto alte, che servi­vano a dare l'ultimo tocco di parvenza bizantina a questo luogo affascinante, una strada di pellegrini più lunga di quanto non si riesca a immaginare.

 La nostra carovana si rese conto della propria piccolezza, e divenne silenziosa, timorosa e vergognosa di ostentare la propria pochezza alla presenza della maestosità delle montagne.
Solo le visioni di paesaggi in un sogno fanciullesco si affacciano talvolta così immense e silenti. Ripercorremmo il viatico della me­moria per ritrovare quel prototipo di strada dove tutti gli uomini si avviano fra due pareti simili a queste, verso uno spiazzo aperto come quello che ci stava dinanzi e dove la strada sembrava esaurirsi.

Più tardi, durante le nostre frequenti scorribande, il ricordo mi convinse spesso ad abbandonare la via diretta, per schiarire i miei sensi con una nottata a Rumm, cavalcando giù per la vallata rischia­rata dall'aurora, verso le pianure luminose, o percorrendola all'insù, nel tramonto, verso quello slargo luminoso che la mia timida .anticipazione non mi permetteva mai di raggiungere.

Cavalcammo per molte ore, mentre si ingrandivano le montagne e diventavano stupende nella loro geometrica disposizione, fin quan­do una fenditura nella superficie rocciosa, a mano destra, non ci permise di scorgere un nuovo prodigio.

La frattura era poco più che una fessura in una parete di quel genere, e conduceva a una specie di anfiteatro di forma ovale, piatto di fron­te con lunghe pareti a sinistra e a destra.


Le pareti laterali si levava­no a picco, come tutte le rocce di Rumm, ma sembravano più gran­di, perché il pozzo era situato al centro del colle incombente, e la sua piccolezza faceva ingigantire tutte le alture circostanti.

Il sole era tramontato dietro la parete sinistra, lasciando in ombra l'anfiteatro, ma i suoi bagliori morenti inondavano di clamorosa luce rossa le ali ai due lati e all'ingresso, e il massiccio infuocato dell'altra parete, dal lato opposto della grande vallata.

II fondo dell'anfiteatro era ricoperto da una coltre di sabbia umida, sparsa di macchie scure di cespugli legnosi;

 alla base delle pareti si vedeva­no blocchi più grandi di case, talvolta simili a fortezze precipitate dall'alto; di fronte a noi, un sentiero, dal tracciato pallido per il lungo uso, saliva zigzagando su per lo zoccolo, al punto da dove partiva la lastra più grande, e lassù tendeva all'improvviso verso sud, lungo un argine basso segnato da occasionali alberi dal fitto fogliame.

Da alcune fenditure nella roccia, celate dalle piante, uscivano strane grida: gli echi convertiti in musica delle voci degli Arabi che abbeveravano i cammelli alle sorgenti che sgorgavano lassù, a cinquecento metri d'altezza.

Le piogge, cadendo sulla cima grìgia del monte, parevano aver lentamente impregnato tutta la roccia porosa. Accompagnai con il pensiero il lento filtrare delle gocce, tratto dopo tratto, giù per quei monti di pietra arenaria, fin quando andavano a picchiare contro gli impenetrabili strati orizzontali dello zoccolo, e pressati dall'alto, proseguivano la loro corsa sulla superficie, prorompendo in getti, alla congiunzione.

Il buio ci avvolse rapidamente in quel luogo alto e chiuso, e l'aria pregna d'acqua ci parve fredda a contatto con la nostra pelle bruciata dal sole.”

Per Lawrence il cammino è concluso, ma la traversata per me continua, devo arrivare all'accampamento tendato.

Il sole si appresta al riposo, i piedi ustionati dal caldo, mentre la mente e le membra si ristorano nell'aria tersa ed accesa come un lampione.

Le ombre si allungano e, mentre  corrono nel deserto seguendo gli ordini del sole, tutto balla davanti ai miei occhi. La base di una colonna gigantesca si erge nel deserto come un relitto di una cattedrale immaginaria dove le pareti sorreggono la cupola del cielo.

Cammino verso il sole, quella è la mia direzione, almeno credo. Spero di sbagliarmi, di perdermi tra queste valli, di immergermi dentro il sole morente, tra le luci e le ombre incipienti, dentro i ricordi della mia infanzia.

Una torre sorregge il sole malato che si appresta al riposo. Una stretta valle, un po più di un'intaglio tra le rocce è la mia via,

ma prima di immergermi nel buio incipiente volgo un'ultimo sguardo al sole.


Nella valle la luce scompare quasi per magia ed io mi aggiro in un labirinto di torri e di rocce, ma la mia direzione è obbligata.

Un brivido mi corre nella schiena. Uno zefiro tiepido scorre verso la luce, ma per reazione del giorno torrido, sembra gelido.

Al di la della stretta valle lo sguardo non vede altro che altre montagne, sembra senza uscita, ma devo andare avanti se voglio sapere se esiste un passo.

Una carovana di beduini viaggia nella direzione opposta alla mia. Forse proviene da dove io dovrò andare, quindi sono sulla via giusta, non credo che qui ci siano molte mete. Ma ora non mi rimane altro che seguire le tracce.

Una timida falce di luna ammicca tra le creste e le cime, forse attende che il sole scompaia definitivamente nella terra per illuminare la notte.


 Le tracce mi portano fuori dalla valle senza indugiare in intagli laterali che sembrano più percorribili. Riesco a fare una foto nel buio pressochè completo grazie alla lunga esposizione della acchina fotografica.

 In lontananza si intravvede la valle e al di la delle montagne c'è il campo. Ormai le stelle accendono il cielo, la fioca luce delle stelle che nei nostri cieli non ha alcun valore, qui dove il buio è totale, assume un suo preciso significato.

Ogni puntino luminoso accende una porzione di deserto, l'aria tersa non oppone alcun ostacolo al cammino dei fotoni. Ma la luna malata, appena una falce morente, fa da padrona. Sembra un faro acceso in una costa marina durante una notte tempestosa. Cammino nel buio della notte....ma dov'è il buio? Comunque è ora di fermarmi. Una sabbia tiepida accoglie il riposo. Mi sdraio con gli occhi al cielo.
       (la lunga esposizione della foto non ha permesso una buona nitidezza)
Non mi serve nulla per dormire, solo una coperta da stendere al suolo. E' già molto tempo che non porto più la tenda. Sono lontani i tempi in cui avevo bisogno di un rifugio, di qualcosa che dividesse il dentro (buono) , dall'esterno (cattivo), che mi isolasse e che mi permettesse di dormire tranquillo. Ora il deserto veglia il mio sonno ed  una volta affrescata culla il mio riposo. Lo scorpione a queste latitudini si erge fiero nel cielo, la sua configurazione è inconfondibile .


 Gli arabi lo chiamarono "Acrab", Scorpione. Durante tutta l'estate è il padrone assoluto della notte. Le sue chele gigantesche si ergono minacciose a mordere il tallone di Orione che lo fugge, scomparendo all'orizzonte.
Mi sveglio durante la notte ad ascoltare il vento che saltella tra le rocce, ad ascoltare l’urlo del deserto che è sordo alle orecchie, ma che rimbomba nella mia anima.

Mi piace alzare gli occhi e vedere il mio fedele custode con la coda avvolta tra e galassie e le nebulose, che incede maestoso, fuggendo il chiarore  dell’Aurora che restituì la vista al cacciatore Orione. Mentre lo Scorpione si rintana all’orizzonte e la sua coda ancora si agita nel cielo, un pallido chiarore si appropria timidamente dell’est. E’ l’avanguardia del  Chems (il Sole) che preannuncia  il suo regale arrivo. Inutilmente le stelle tentano di resistere illuminando per un’ultimo istante l’ovest tenebroso, poi vengono ingoiate in un baleno.

Già prima che l’orizzonte si apra come un palcoscenico presentando un bagliore infinito, tutta la magia notturna  scompare e con essa i sogni, le favole, i folletti, le  paure, i fantasmi della mia infanzia, ed i rimpianti della maturità. E' ora di alzarsi, di camminare. Ritto con le spalle alle tenebre attendo......Un flash, un urlo visibile che ferisce come un coltello ed il Sole è sorto, seppellendo il freddo della notte. Porta con se la vita....e la morte.

Un'altro giorno è nato, inesorabile, sordo alle miserie ed alle debolezze umane. Il Sole è li, appeso alla volta, accecante, i suoi raggi implacabili penetrano nella terra e nelle menti, distruggendo ogni volontà. Egli è li,  in attesa di recitare il giornaliero dramma con gli uomini, ricordando loro quanto essi siano deboli e fragili, semmai qualcuno, durante la notte, possa averlo dimenticato. Io conosco la mia debolezza, quindi parto con questo fardello di pesante carne e mi incammino verso la civiltà, verso la gabbia che mi reclama, come sempre e da cui ogni volta tento di fuggire.

Eccola la civiltà, qui è rappresentata dalla ferrovia che percorre questo deserto disumano ma affascinante. Al di la l'ultima piana da percorrere con il Sole che impietositosi dell'umana debolezza, si è nascosto tra nubi alte.

Ma ormai le sbarre della gabbia si richiudono dietro di me, imprigionandomi....ecco l'accampamento ancora addormentato, ecco le macchine che mi porteranno via.............................











mercoledì 16 maggio 2012

COSTRUTTORI DI DESERTI ED IL TABERNAS

"Ho sempre pensato: quando sarò libero senza vincoli viaggerò. Ma non ho ricette per viaggiare. Inciampo spesso, dappertutto. Mi piace perdermi, faccio molte deviazioni. Spesso decido la destinazione strada facendo, oppure la cambio del tutto. Non si può fare esperienza di troppe cose viaggiando; penso che sia meglio concentrarsi su poco, o anche su nulla, non fare attenzione ai monumenti, ai musei, ma solo tenere gli occhi aperti ed ascoltare. E non è così facile."

Sapete che in Europa esiste un deserto? Ebbene si! E come potevo pensare di non andare a vedere di cosa si trattava ? Come potevo pensare di non attraversarlo? Di non annusare il suo profumo? Di non udire il suo vento?
Non è neppure tanto lontano, è appena 30 km all’interno di Almeria in Spagna, sulla costa del Sol. Nessuno potrebbe credere che vicino a noi ci sia un deserto, eppure c’è.

 Milioni d’anni fa li dove ora c’è un deserto, c’era il mare. Il suo fondo sabbioso affiorò in superficie quando il mare si ritirò.

 Sulle sabbie si depositarono altre rocce sminuzzate dai millenni e dalle meteore. Era già pronto il deserto….ma la natura resisteva innestando la vita, rappresentata dalle piante. Era un equilibrio precario, il deserto incalzava, ma non vinceva. Poi arrivò l’uomo…Si alleò con il clima e crearono un esercito invincibile..

Il 15esimo secolo fu la  svolta. Gli spagnoli avevano vinto sugli arabi. Il suo governo ebbe l’arroganza di dominare il mondo con la sua flotta. Ma le navi si dovevano costruire, e serviva il legno. Quale mai foresta più bella ed a portata di mare poteva essere, se non quella della zona pedemontana della grande sierra? 

(Sulla zona alta della Sierra ancora resiste la foresta)

Si costruirono le navi, dominarono il mondo, ma spogliarono la sierra. Il terreno inconsistente cedette alle piogge che ormai potevano scorrere indisturbate.

 Contemporaneamente il clima si continentalizzò. Rari ma violenti nubifragi scavarono un inferno di ferite che si approfondirono sempre più dopo ogni pioggia.

 L’uomo aveva costruito il deserto e lo faceva meglio della natura. Il concetto di deserto qui è rappresentato nel suo significato più profondo.  Deserto, dal latino “Deserere”, lasciare, abbandonare….abbandonato, lasciato dalla vita.  Mi incammino, ma non posso scegliere la mia via. Le sterminate distese dove si perde lo sguardo, le dune con i dolci declivi, sono lontane.

Qui sono costretto a seguire le ferite che si approfondiscono nel ventre della terra ed ai lati vi sono muri di terra insuperabili.

Non è roccia in cui si può arrampicare, è terra fragile che muta ad ogni pioggia. Nel deserto creato dall’uomo le piogge non sono dispensatrici di vita, ma paradossalmente creano altro deserto.

Dilavano un fondo che cede alla violenza dei temporali. Qualche timido segnale di vita scompare con le frane procurate dall’acqua, rifugiandosi ai lati dei  tumultuosi quanto precari torrenti. Poi il sole distrugge ciò che avrebbe potuto allignare.

 Mi sento oppresso, impotente. Non è possibile scendere e salire sul caos infernale. Dentro gli stretti  ed obbligati canali non un sol filo d’aria ristora la nostra anima.

 Il mare non è lontano e l’umidità procura la sensazione che il caldo sia ancor più tremendo, ma siamo lontani dai 58 gradi del Sinai.

Sul bordo di un’intaglio impercorribile vorrei fuggire, ma anche la fuga mi è preclusa. Nulla d’umano aleggia su questo territorio ferito e malato. Sudo, sudo, sudo. Il sudore è quasi sconosciuto nei veri deserti, ma questo non è un vero deserto, o forse questo è il vero deserto.
                                          (Le impercorribili colline del deserto di Tabernas)
Il paesaggio è affascinante, le luci e le ombre si rincorrono tra le guglie effimere e le pareti scavate nella mutevole terra. Al prossimo temporale tutto sarà diverso,tutto sconvolto.

C’è dell’erba, ci sono piante, ma sono sulle cime dei piccoli pianori irraggiungibili sorretti ai lati da orridi e fragili muri incoerenti. Non vedo l’ora di andar via, mi sento estraneo a questo ambiente, tutto mi respinge eppure tutto affascina. 

 Cammino nell’ennesimo rivolo ( le “ramblas”), quando davanti a me compare un paesaggio desertico con tanto di cactus. Ma guarda un po sembra il Messico!!!

Addirittura una casa in legno con tanto di pozzo con pale a vento….mah!

Ma certo che sembra il Messico….E’ il Messico!!! E’ il set cinematografico di Sergio Leone. Nel mio intimo deve ancora aleggiare lo spirito del più puro ed ingenuo dei turisti, che tento di nascondere credendomi un vero viaggiatore, perché trovo l’ingresso, pago tanto di biglietto e mi avvio all’avventura del Far West.

Chi ha visto i film di Sergio Leone riconoscerà  le scene. Dapprima titubante, poi sempre più convinto, lascio  la parte più avventurosa di me e mi inoltro tra la folla “turistica”, confuso tra il vociare di bimbi e di adulti.

Ora mi incammino nella via principale attendendo che arrivi il mio odiato nemico, per un duello all'ultimo sangue. Poi mi dirigo  nel saloon, li avrò notizie di Ringo che aveva promesso di vendicarsi di me, lo sceriffo della città, che lo avevo arrestato, in passato.

Mi accolgono le scatenate ballerine di can can. Esco nella polvere del caldo pomeriggio,  e vedo arrivare  un carro con tanto di ceffi poco raccomandabili, forse cercano me.

 Vado nel mio ufficio e preparo la cella.

 Ma i ceffi cercano un loro compagno che li ha traditi. Una collutazione, una zuffa.

 Il traditore viene legato, trascinato nella polvere.....

e poi impiccato.

Chissà dove è andato a nascondersi l'avventuroso traversatore solitario dei deserti...

Oggi l'impavido e solitario ciclista delle sabbie è nascosto nei più profondi recessi della mia anima e.....è inutile nasconderlo, tra scazzottate, impiccagioni, balletti, sparatorie, cavalcate, mi sono divertito un mondo!!!!
                                         HASTA LA VISTA, MUCHACHOS !!!!!