lunedì 31 dicembre 2012

MEGLIO UN'AMANTE GIOVANE, BELLA E FLESSUOSA

Partire é la più bella e coraggiosa di tutte le azioni. Una gioia egoistica forse, ma una gioia, per colui che sa dare valore alla libertà. Essere soli, senza bisogni, sconosciuti, stranieri e tuttavia sentirsi a casa ovunque, e partire alla conquista del mondo. 

                  Alla partenza con il mio jet personale.....poco credibile non è vero?
 Chi di voi, almeno una volta nella vita, non ha avuto un impeto di sdegno, se non di terrore, quando ha dovuto abbandonare un'oggetto che lo ha accompagnato per molti anni? Questo oggetto è stato rivestito di poteri taumaturgici, portafortuna. Chi di voi che va in montagna abbandonerebbe il suo zaino che lo ha accompagnato in molte ascensioni, in discese pericolose, in arrampicate su vertiginose pareti? Spesso portiamo con noi piccoli oggetti, veri e propri totem protettivi, la cui sola presenza ci permette di affrontare con cuore leggero ogni contrarietà. Ecco, anch'io ho dovuto sottostare a questa legge...
Sinai, cosa dire, sto sempre qui. Ormai è la mia casa, mi muovo come se stessi nella mia camera da letto. E’ però una stanza che mi ormai mi sta stretta, forse dovrei cambiare zona. Credo che sia una cosa estremamente necessaria perché questa sicurezza mi potrebbe essere dannosa, se non addirittura fatale. Man mano che passano gli anni, man mano che la mia forza e la mia resistenza  inesorabilmente diminuiscono, tanto più aumenta la mia sicurezza e la fallace considerazione sulla mia  capacità di affrontare qualunque situazione possa improvvisamente presentarsi. Ma quando poi sono lontano dal Sinai mi rendo conto che non è così.  Poi ora sono immortale, ho una nuova bicicletta. Il mio caro vecchio velocipede è andato in pensione.
                                La mia vecchia bici sulla cima di monte Calvo
La mia amata nacque nel 1976 e l'ostetrico fu il mio amico Franco Cheli, titolare di un negozio di bici a Barete. A quel tempo non esistevano le mountain bike, quindi ci facemmo costruire un telaio e applicammo dei cambi particolari, posizionammo le leve del cambio sui manubri ( le leve erano fatte per il tubo inclinato), la fornimmo di ruote particolarmente robuste e VIA per le montagne, boschi, deserti. Durante gli ultimi tempi  ha iniziato ad accusare vari acciacchi, vari malanni hanno afflitto la sue gambe e le sue braccia. Il suo cuore che ha battuto all’unisono con il mio per vari decenni ora ha deciso di cessare di pulsare. E’ stato duro ammettere che era ormai ora di pensionare una cara amica, anzi un’amante, che mai mi aveva tradito, anche se molto gli avevo chiesto.
         Con la mia amata carica di sci, zaino e scarponi in una escursione sci-bici-alpinistica
      
Prima di cercarne una più giovane, ho pensato molto di andare in pensione insieme a lei. Sai che bello pedalare  lungo il mare, al tramonto, in pianura, lentamente, assaporando insieme la brezza fresca portata dalle onde, dopo anni di fatiche sulle più alte montagne, sui deserti più ardenti, sulle gelide lande, tra la neve e la sabbia.
                 Dalle Alpi alle piramidi.....con la mia adorata....
Le mie gambe e le sue ruote sono nella medesima situazione, i miei muscoli non sono in uno stato migliore dei suoi raggi e dei suoi assi, la sua catena non è più resistente dei miei quadricipiti, quindi perché trovare un’amante più prestante? Sarei poi stato all'altezza di soddisfare le sue giovani brame?
Un giorno vado dal mio amico Franco, nel suo negozio di bici, anzi, nel suo ospedale, dove tante volte avevo portato la mia fedelissima per tentare di curare amorevolmente i   suoi malanni al ritorno dai miei viaggi.
                                      testo la mia nuova bici
Lì una mora bellissima, gambe robuste , braccia affusolate mi ammicca. La sua schiena è scura, abbronzata, flessuosa, come resistere? Torno a casa con la mia nuova amante e la nascondo in cantina, lontana dal garage dove parcheggia l’ormai canuta e malandata signora. Non voglio che la veda.
                                         L'ultimo viaggio con la mia vecchia bici
La domenica stessa smonto l'amata, la lavo, la ungo, gli do una nuova smaltata, come se stessi lustrandola per una nuova avventura insieme. Gli rifaccio un lifting accurato, sistemo la sua sella, cambio  e rinnovo tutti i suoi fili e la relego al mare senza dirgli nulla, nascondendo il tradimento che stavo perpetrandole.
Ormai è utile solo per passeggiare, il suo cuore non resisterebbe all’ultima salita…che tristezza. Ma io ho una giovane puledra che mi aspetta, non vedo l’ora di essere da lei, pur con il cuore triste nella certezza di aver tradito una fedele compagna. Solo dopo aver trasportata la malata lontano, e sicuro di non esser visto, oso salire sulla mia nuova compagna.
                           Con la mia giovane amante sulla cima di monte Ocre
La provo subito sui sassi di monte Calvo, poi sul Terminillo, scendo con lei a rotta di collo tra le valli di m. Ocre, dal Velino. Le sue giovani gambe sono la cosa più bella che abbia mai visto. Le sue molle sono come cuscini di piume, i massi diventano dossi nevosi,  dune sabbiose.
           Sulla cima di monte Calvo.....il tradimento è perpetrato
 I suoi ingranaggi mi fanno salire senza fatica……

ed ora sono davanti al deserto con lei….ma non posso dimenticare le alluvioni dell’hammada Rbat, il fiabesco Madsus, il terribile wadi El At, la montagna da cui si vede tutto, il Toubkal, le valli, le creste, le cime e le bufere dei nostri monti….insieme alla mia rossa, vecchia amica.


Parto con la certezza che anche quest’anno il deserto mi riserverà qualche  sorpresa. Attendo con ansia quel momento per affrontarlo, per imparare, per sentirmi vivo, libero….ma non potevo sapere cosa…..(le foto sono dei fotogrammi del filmato della prima uscita nel deserto con la nuova bici)
Tanto per far conoscere il deserto alla mia bici faccio un giro dentro il Crogiolo. Mah!!!….ora il Crogiolo è solo un giro per sciogliere i muscoli. Quanto tempo è passato ….questo intendevo.

 Devo comunque stare attento. Più di dieci anni sono passati dalla prima volta che mi confrontai con questa piana disumana e non sono più lo stesso. Il tempo passa. Solo per il deserto sembra  immutabile. Presto la costa scompare.

Mosche fastidiose volano davanti il mio viso e mi seguono imperterrite nonostante che tenti di seminarle accelerando il ritmo di pedalata.  


 Poi, appena inoltratomi nel Crogiolo, miracolosamente scompaiono. Già, succede sempre così. Nel Crogiolo, di giorno, neppure una mosca ha il coraggio di sfidare la sua sottile e rovente aria, tutto è fermo, morto. Quando il ronzio  immonda di nuovo il silenzio perfetto del deserto, semplicemente significa che il sole è al tramonto.


 Pedalo agevolmente lungo il bordo sn di uno wadi appena accennato, su   piccole rocce nere che però non danno più fastidio alla mia schiena grazie alle forcelle ammortizzate.  Le zone più scure degli wadi sono le zone più facilmente pedalabili.

Li il terreno è più compatto, le brecce sono più grandi, ma cementate in una base sabbiosa dura come cemento.

Passo su zone di sabbia mobile alternata a zone più solide, a brecciolino bianco e a terra rossa come il fuoco che dardeggia sulla mia testa alle 14 del pomeriggio e con 49 gradi all’ombra.
              Un mosaico di una parte del "Crogiolo"
Non posso fare a meno di ricordare quando, spaurito ed inesperto ciclista, spinsi la bicicletta inservibile lungo questo infernale tragitto con 59 gradi all'ombra, e con i crampi che tormentavano la quasi totaltà dei miei muscoli impedendomi di procedere ( leggi, in questo stesso blog, nel mese di aprile:   "PRIMA TRAGICA USCITA IN BICICLETTA").  Ora nulla mi da più timore, so dove devo andare, dove arriverò, quanto devo faticare, quanto tempo mi necessita per traversare la maledetta vallata, quanto è il limite della ma resistenza a queste estreme condizioni climatiche.  All'orizzonte le montagne sembrano non avvicinarsi mai, pur se pedalo ormai da decine e decine di minuti.


Più mi avvicino, più loro sembrano allontanarsi. Un villaggio di case di cartone è stato eretto sotto le montagne al bordo del Crogiolo, ma lo sapevo. E’ una zona abitata in maniera semipermanente. Mi fermo al centro della valle. Sono arrivato alla pista. Ora non mi serve più la forcella ammortizzata.

Mi accingo a ruotare la leva che si trova sulla forcella e che serve per dare più o meno resistenza alle molle dell’ammortizzatore. Maledizione!!!! E’ scomparsa. Come avrà fatto a sganciarsi dalla sua sede?  Ecco per lei il primo regalo del Crogiolo.


 La giovincella ancora non sa cosa deve e dovrà affrontare.  km  e km di piccole rocce saldamente fissate sul duro terreno, le vibrazioni infinite delle ruote, hanno allentato la leva che con un ultimo sobbalzo, si è persa chissà dove. Non è un gran danno, comunque.


 Certo, non posso passare continuamente da una posizione di blocco dell’ammortizzatore a quella più leggera, ma tant’è!! E’ inutile rammaricarsi. Mi fermo e con la pinza riesco ad arrivare alla vite interna e la fermo in maniera che l’ammortizzatore sia in posizione di blocco. Ora la mia ammortizzata giovane compagna dovrà sapersi comportare come la mia adorata, vecchia bicicletta. Ora dovrà essere in grado di resistere a tutti gli urti senza utilizzare le sue molleggiate gambe. Speriamo che regga.....Speriamo che regga anche la mia schiena……….

Giro per un po,mi avvicno alle montagne dove si annida un villaggio semipermanente e poi mi dirigo a dx,

verso delle strutture in muratura che però sono quasi sempre abbandonate. Entro nello wadi El At, mi immergo nelle sue rosse sabbie.


Dei cammelli oziano sotto un sole impietosi e si confondono nel deserto, sembrano pietre rotolate dai monti.

Arrivo ad un bivio. Da lontano noto un cartello che non avevo mai visto. MI avvicino. Ci sono due frecce che indicano la direzione delle due strade e sotto le frecce c’è un’indicazione IN ITALIANO.

Sotto la freccia dx è scritto : PER DI QUA, sotto la freccia sn: PER DI LA.  Certo che è molto utile questa indicazione. Sicuro che ora non mi perderò più!!!!
Torno indietro con negli occhi il sole rosso vermiglio del tramonto. Anche quest'anno sono pronto per nuove avventure insieme alla mia  giovane amante. Sono felice….

domenica 23 dicembre 2012

24 DICEMBRE...IL MIO AMICO PIERGIORGIO


Domani è il 24 dicembre……….( Per saperne di più leggere : http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/03/lo-sperone-centrale.htmlhttp://viaggievisioni.blogspot.it/2012/03/il-1974-finisce-in-tragedia.htmlhttp://viaggievisioni.blogspot.it/2012/03/1975-il-rifiuto.html  in questo blog)…Il 24 dicembre 1974 Piergiorgio moriva cadendo dalla parete nord del Camicia nel tentativo della prima salita assoluta invernale.
…………………….. e io sapevo che non sarei più andato con lui a dormire con le amache, appesi sotto i balconi, per prepararci ai bivacchi notturni. Sapevo che nessuno mi avrebbe più costretto a portare l’acqua al rifugio e che forse non avrei più cercato un compagno per arrampicare. Anzi, sapevo che forse non avrei più arrampicato………
     (io, Roberto e Piergiorgio. di spalle, dopo la salita allo Sperone Centrale)
.....le cose andarono diversamente e dopo molti travagli psicologici, l’anno successivo, tornai sulle pareti.  A tanti anni di distanza non mi piace ricordare quei giorni.

Cerco di cancellare ancora la funzione religiosa e la gita commemorativa al Fondo della Salsa . Andammo tutti noi del Soccorso, gli amici della Finanza e dei vari CAI della regione, fino sotto la parete nord del Camicia, dove innalzammo una targa e dove un sacerdote ricordò Piergiorgio. Avrei voluto non esserci andato, ma c’ero..”
                                foto di Sara Chiaranzelli
Quel natale del 1974 sembrava ormai dimenticato, forzatamente perso nei meandri della memoria, distrutto dalle occupazioni quotidiane, dai problemi della vita, dalle altre disgrazie, dalla presenza dei figli. Ma accadde poi che nel 1989 decisi di portare al Fondo della Salsa, sotto la parete nord del Camicia, mia figlia e i suoi amichetti.

                     Il Fondo della Salsa ( foto di Sara Chiaranzelli)
Erano passati 15 e anni e avevo letto che nel frattempo avevano battuto un sentiero. Una chiassosa e indisciplinata comitiva di piccole pesti si incamminò verso la montagna. Avevo solo occhi per controllare i movimenti dei furetti che comparivano e scomparivano tra gli arbusti ai margini del sentiero. Urla, risate, scherzi reciproci non mi avevano fatto alzare gli occhi. Era piena estate, il sole alto, scaldava i corpi sudati. Eravamo partiti molto tardi, ormai era già passata l’ora del pranzo e tutti i loro famelici stomaci reclamavano con insistenza l’agognata “stozza”. Li zittii ed intimai loro di continuare il cammino, promettendo un’avventura tra i sassi del rigagnolo che si getta dal fondo della Salsa. Come Dio volle arrivammo sani e salvi sotto la parete. 25 anni fa c’era un accumulo di neve alto circa 20 m, come un palazzo, che troneggiava su di noi. Un fiume di acqua usciva da una buia grotta alla sua base. IL sole era ormai nascosto dalla parete. Con tutti i bimbi seduti al sicuro, alzai finalmente gli occhi al cielo e vidi….
                   La parete nord ( foto di Sara Chiaranzelli)
vidi una parete ghiacciata, piccole valanghe scivolavano verso di noi che come automi, frastornati, ci aggiravamo alla sua base alla ricerca di…….di che cosa? Di un mucchio di ossa…..di un amico. Le mani gelate dal freddo, ma un freddo che non era esterno, veniva da dentro, non poteva essere combattuto.
                                   (foto di Sara Chiaranzelli)
Quante volte con Piergiorgio, ad ogni nevicata in città, ero andato in giro perennemente con una palla di neve tra le mani per abituarci al freddo, quando tutti portavano pesanti guanti! Cosa era servito? Ora, nel tetro ambiente scolorito dal freddo, le mani gelavano, il sangue si fermava. Ora, seduto con i bimbi, guardavo tra le rocce, tentando di scorgere il punto dove era successo…..
                                        (foto di Sara Chiaranzelli)
.....guardavo il pezzo di cielo che aveva accolto il volo, ero silenzioso. I miei monelli erano seduti, forse il silenzio che era sceso tra di loro era dovuto alla fatica, forse era il posto che incuteva rispetto. Seduti gomito a gomito, tutti guardavano in alto. Tutti seguivano il mio sguardo.
                               (foto di Sara Chiaranzelli)
Allora mi destai, scesi dalla parete ghiacciata…. e raccontai….raccontai, seduto in mezzo a loro, una favola. La favola di un amico che saliva sulla parete per cercare un tesoro che lo avrebbe fatto ricco. Il tesoro però era protetto da una strega malvagia che precipitava giù chiunque tentasse di impadronirsene. Ma il mio amico era un’impavido e riuscì ad impossessarsene nonostante che la strega facesse del tutto per impedirglielo, scagliandogli addosso pietre e valanghe. Il tesoro consisteva in un regalo bellissimo: un paio di ali che avrebbero permesso di volare dovunque si volesse. L’ultimo tentativo della strega per impedire che gli fosse tolto i tesoro andò a buon fine ed i mio amico precipitò nel vuoto. Ma ormai aveva le ali e dopo pochi secondi sapeva ormai volare.

Aquila avanti la Nord del Camicia (foto di Stefano Ardito scattata il 26/12/14 giorno della commemorazione di Piergiorgio)

Si librò nell’aria e salì verso la parete, verso il sole….ancora vola lassù.. Tornai giù con il cuore e le mani più calde. Chissà, forse veramente ancora vola lassù........insieme ai nostri sogni.
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Lo struggente commento di Tiziana Ficerai:
“……ho letto altre terribili storie, non le ho mai vissute per fortuna,ma è come se il cuore di fermasse ogni volta... "non c'è parete che valga una vita", ma ci sono vite che non possono stare senza pareti...che rispondono solo ad un richiamo ineluttabile...”
E la bellissima considerazione di Sara Chiaranzelli
Un luogo è in grado di contenere tante di quelle cose che solo a pensarci si ha l'intuizione dell'universo. Quante cose si perdono, quante si dimenticano, a pensarci mi viene una gran tristezza..” 

Vedere anche il blog di Sara :
http://naturagrezza.blogspot.it/2012/01/il-fondo-della-salsa-il-sentiero.html
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domenica 2 dicembre 2012

LE OMBRE DEL DESERTO

Le ombre ci accompagnano nel nostro cammino.
Esse dimorano nella fantasia
e cavalcano i sogni insieme a noi.


Mi sto apprestando a descrivere una grande avventura. Forse la più grande avventura che abbia mai vissuto. Non aspettatevi però chissà cosa. Salire su un monte, traversare un deserto non è una cosa difficile. Scalare una parete o sciare su un vertiginoso canalone è solo questione di essere preparati a farlo ed essere così umili da fare solo ciò che si è pronti ad affrontare.  C’è  però un terreno difficilissimo da percorre, da scalare, da scendere. E’un terreno in cui l’allenamento non conta, perché muta di continuo, quasi avesse un’anima. Quello che possiamo aver imparato con l’esperienza diventa inutile perché dobbiamo affrontare ogni volta una diversa situazione, mai vissuta e mai più ripetibile. Questo terreno impervio non ha un nome altisonante, non si chiama “Everest” o “monte Bianco”, non ci sono pareti nord dell’Eiger. Tutto ha un solo nome: LA NOSTRA OMBRA.



E’ questo un luogo oscuro dove mai scorre la luce, dove ci si perde facilmente. E’ un luogo che quasi tutti rifuggono perché in quel luogo c’è tutto ciò che  nascondiamo a noi stessi e che potrebbe non piacerci.  E’ però un luogo che necessariamente dobbiamo affrontare e superare se vogliamo traversare i deserti. E’ necessario, semplicemente perché il deserto è esso stesso la nostra OMBRA. In quei luoghi allignano le nostre paure, i nostri desideri più nascosti, le nostre voglie più irripetibili, i nostri dubbi più profondi. A casa nostra releghiamo tutto ciò in un pozzo profondo e buio, li dove non c’è possibilità di scendere, ma principalmente un pozzo da cui niente e nulla può risalire.

 Ma nel deserto, durante la notte o nei giorni roventi su piane infinite, dove l’orizzonte si perde al di la dell’inconscio, nel deserto devi convivere con la tua OMBRA, che non ti abbandona mai, neppure quando il sole scompare. Anzi, il sole relega la tua ombra vicino a te, le dona contorni netti e puri, si muove all’unisono con te…poi il sole tramonta e scende la notte. L’ombra si perde nel buio, si dilata, ti abbandona e si confonde con tutto ciò che ti circonda. Si perde, ma non scompare. Ti penetra, ti violenta, ti parla con un linguaggio che non vorresti sentire, si manifesta a te con forme orripilanti, putride, nauseabonde…se vuoi arrivare indenne al mattino devi scendere a compromessi, devi accettare le sue condizioni.




Poi il sole sorge di nuovo e l’ombra si riattacca a te e ti parla. Ti ricorda che essa è sempre la stessa OMBRA della notte. Essa è davanti a te. Ti fermi a mangiare e quando riparti pensi di averla seminata,ma poi ti volti ed ella è sempre li, ti segue, ti sussurra frasi sconce, ti provoca.  Quello che mi appresto a raccontare non è una avventura reale, è inventata. Ma la finzione è solo nella descrizione temporale. Tutto quello che leggerete è vero, è stato da me vissuto, solamente che è avvenuto in più circostanze, in tanti anni di esperienze  nei deserti e che ho già descritto nei vari post del blog. Se avete letto il blog riconoscerete i vari racconti. Io li ho semplicemente riassemblati come se fosse un unico episodio.

Nei vari racconti mi ero limitato a descrivere l’ESTERNO, ora ho deciso di farvi sapere cosa c’era SOTTO. Questo è il “Bignami” delle mie sensazioni, la consecutività  temporale in cui tutto è avvenuto non corrisponde alla realtà ( perdonatemi), …tutto l’altro è una storia vera, i luoghi sono veri, sono vere le mie paure, le mie speranze, i miei sforzi, i miei crampi. Spero solo che i lettori possano comprendere ciò che scriverò, perché sono certo che non sarò in grado di descrivere la mia OMBRA con parole comprensibili, ma spero in cuor mio che qualche lettore ci si riconosca. E di questo gliene sarò grato, mi farebbe sentire meno solo. Se così non fosse, saltate il lungo capitolo e proseguite nel blog…..Ma perché, allora, descrivo tali sensazioni? Per una sola ragione. Per farvi sapere chi c’è veramente dietro all’impavido traversatore di deserti. Un poper farlo sapere a voi… e forse molto  per farlo sapere a me stesso….

Domani mi appresto ad esplorare una zona del Sinai a me totalmente sconosciuta. Partirò dalla costa del golfo di Aqaba mi dirigerò all’interno fino ad arrivare alla costa del golfo di Suez. Dovrò superare catene di monti con orride  e roventi piane interne. E’ ancora notte, guardo l’orologio ogni 5 minuti sperando che al successivo controllo sia passata almeno un’ora, ma sempre sono passati solo 5 minuti. Sono nervoso e non riesco a dormire. Non so perché, ma non nascondo la mia paura. Sono ansioso di partire, ma spero solo che succeda qualcosa che me lo impedisca.

 Quando arrampicavo, la notte precedente l’ascensione, sognavo quasi sempre di cadere. Qui non sogno, o almeno non ricordo i sogni. Forse il deserto ha rubato il mio coraggio insieme ai miei sogni. Poi, all’ennesimo controllo dell’orologio, visto che il tempo sembra bloccato alle ore 02.00, mi alzo e parto, nel buio più totale. Questa notte è veramente buia perché la luna ancora viaggia nel cielo con una sottile falce ed è quindi già tramontata essendo in fase di iniziale luna crescente. Generalmente le stelle sono sufficienti a dare una debole luce, ma oggi i miei occhi sono ciechi ai sottili fotoni che provengono dal fondo scuro del cielo.  Viaggio su una zona che conosco, ma non mi sento a mio agio. Dopo la morte di Filippo ho perso molte delle mie certezze. Forse in cuor mio penso che avrei dovuto impedirgli di scendere nella grotta senza di me, che se non gli avessi dato le lampade frontali, forse avrebbe rinunciato alla sua decisione. So perfettamente che non è così, ma l’inconscio non ha legge razionale e lavora nell’OMBRA.

Non posso fare a meno di fantasticare su queste cose e quando viaggio nel deserto riaffiorano sempre dal profondo del pozzo. Quando questi pensieri si affollano maggiormente per uscire tumultuosamente, perdo le motivazioni a pedalare, le forze scemano senza ragione e stento a trovare le energie per proseguire. Vorrei fermarmi, sdraiarmi sulla sabbia ed ammirare le stelle per farmi da loro consolare. Decido di farlo per pochi minuti, ma ogni stella mi è indifferente e non riconosco neppure le familiari costellazioni. Mi sono indifferenti, sono solo puntini luminosi senza importanza, senza nome. Un’ impeto di rabbia mi fa alzare.

Monto di nuovo in sella e proseguo, ma non ho una strada, non seguo un sentiero. Dove vado? Vado verso una meta inesistente. Il cammino non mi intimorisce, mi intimorisce non avere una  meta. Ho sempre pensato che quello che importa sia solo il cammino. Di questo ne sono convinto, ma ora mi manca la meta. La meta è una sicurezza per i pavidi ed io ora appartengo alla più pavida di questa categoria. Il problema è che più cerco di immaginarmi una meta, meno riesco a visualizzarla, perché non ho mai visto una carta del luogo. Poi inganno me stesso e faccio finta di sapere dove sto andando e parto rincuorato.

Piccoli rumori mi allarmano, non li riconosco. Non ho paura dei rumori della natura, ma il Sinai non è certo un luogo sicuro ( ricordate l’attentato di Charm el Sheick e di cui parlerò successivamente). Mi distraggo pensando a qualche mio gesto eroico per liberarmi da un immaginario, paventato rapimento. Penso che potrei tagliare i legacci ai miei polsi ed impadronirmi di esplosivo. Nella notte piazzarlo con cariche temporali in vari punti del campo dei rapitori e poi fuggire mentre tutto esplode. Credo che sto immedesimandomi nelle scene di un film che devo aver visto, ma di cui non ricordo il nome. Già che ci sto salvo anche due turisti anch’essi rapiti. Questi pensieri mi ridanno la voglia di pedalare, facendomi credere falsamente coraggioso, mentre dietro di me l’orizzonte si illumina fiocamente, poi sempre più decisamente. Ora la mia sicurezza sembra granitica, la luce fuga ogni dubbio, insieme alla notte scompaiono i pensieri più nascosti.

Il sole sorge con un guizzo, la luce acceca gli occhi ancora dilatati dal buio della notte. Ora devo solo seguire la mia ombra. Devo procedere verso ovest ed il sole sorge ad est, quindi la mia ombra si proietta precisamente verso ovest. Un striscia nera si perde nella piana infinita, sembra uno gnomone di una meridiana vivente. Poi l’ombra si accorcia e riconosco la sagoma di un uomo. Devo seguire quell’uomo. Non mi va, mi infastidisce seguire qualcuno, ma devo necessariamente farlo. Se non lo facessi devierei dalla mia direzione. Comincio ad odiare quell’uomo. Vedo le sue spalle curve sulla bicicletta, vedo le sottili ruote, vedo i pedali che si alzano alternativamente….sono io.  Sono io? Ma io non so dove andare, quindi perché dovrebbe saperlo colui che sto seguendo? Perché dovrebbe saperlo un’OMBRA? Ma perché dovrei seguire un’ombra che forse neppure è colei che credo?

 E se non fosse un essere pensante e mi portasse fuori rotta? Vedo i suoi movimenti che pian piano perdono la  sincronizzazione con i miei. Mi fermo e credo di vedere la mia ombra che prosegue e poi si ferma in attesa che io arrivi. E attendo, non so che cosa, sul bordo di una piana concava, mentre la temperatura sale vertiginosamente. So che a queste temperature sono a rischio di crampi. Più che una piana è una conca in cui la temperatura è infernale, e devo attraversarla. Man mano che procedo, mi rendo conto che l’aria rovente mi ustiona la gola.

Vorrei fuggire da qui, ma ora sto quasi al centro e la via di fuga ormai è simmetrica. Ai primi crampi penso che essi mi bloccheranno , che non potrò più procedere. Un impeto di rabbia si impadronisce di me. Possibile che questo luogo deve essere l’ultima cosa che vedrò?  Spero che i crampi non continuino, e per sperare in questo, faccio delle scommesse con me stesso.

“Se arrivo in quel luogo senza poggiare  i piedi a terra, allora i crampi non mi prenderanno!”  Poi, visto che perdo sempre tali scommesse, passo ai fioretti. Poi mi pento anche di quelli , perché so di non poter onorare le promesse fatte e tento altre strade per salvare dignitosamente la pelle. Neppure mi viene in mente di trovare le energie nei miei muscoli allenati, tento di trovarle nei folletti delle sabbie, nell’aiuto di non so quale essere soprannaturale che regola la vita e la morte nel deserto. L’OMBRA non ha questi problemi, mi fa rabbia, mi sembra che mi schernisca. Assume un’anima autonoma e si comporta come un essere insensibile al calore infernale. Più mi indebolisco, più essa mi guarda con ostilità, come in attesa della mia rinuncia, ma rinunciare qui significa non tornare indietro.

Un impeto di furore mi pervade,  odio questo disegno sul terreno che mi ricorda di avere un corpo opaco. Ma il disegno ondeggia sul terreno sconnesso, corre come avesse muscoli propri, senza fatica, senza affanno, senza crampi…ed è sempre davanti a me. Quando le vertigini offuscano i miei occhi, comincio ad imprecare contro l’OMBRA che mi ha portato in questo luogo. Perché poi in questo luogo?  Io intuivo che questo luogo era l’inferno dei vivi. Lo sapevo perché gli insetti mi avevano abbandonato avvicinandomi ad esso. Allora perché avevo seguito la mia sconsiderata guida? Questo è un quesito che inizia a rodermi il cervello. Lo sapevo? Non lo sapevo? E se lo sapevo perché lo avevo fatto? Le vertigini mi fanno sbandare e per un momento perdo la mia oscura guida. Un momento di terrore passa sulla mia mente quando ho dubbi di non poter più seguire l’unica certezza che mi rimane…la mia OMBRA.  Penso che essa non potrà mai tradirmi, ma è solo una speranza, non una sicurezza.

Poi ritrovo l’equilibrio e continuo il mio cammino con i crampi che sempre più frequentemente bloccano i miei muscoli e la mia mente. “Io  sono immortale”… “ a me non succederà mai nulla”…me lo sono detto molte volte e questa mia considerazione è stata più volte provata dai fatti..” Io sono immortale..” Ma è una certezza irrazionale, uno scudo innalzato contro le paure che premono dal profondo. Ora si accalcano per uscire. Un Caos primordiale di sensazioni  inquietanti diventa trasparente alla mia mente che si affaccia come ad una finestra su uno scenario terrifico. Chissà cosa c’è al di la…ci saranno tutti i miei amici….e se non ci fossero? Se non stessero li in attesa che arrivi anch’io? Cosa farei nel ….NULLA?  Mi atterrisce il buio del NULLA . Mi atterrisce la probabilità di perdere la mia identità. “tutto torna nella natura”. Io credo di essere la…”natura”. Credo, credo, credo. Tento di convincermi che credo, ma devo confrontarmi con la mia OMBRA nera che mi attira nella piana rovente come se mi avesse imprigionato con delle catene.

Devo seguirla. Non posso lasciarla andare da sola. Cosa farei senza la mia ombra? Sarei un essere migliore? Senza la mia ombra forse sarei seduto sotto il mortale Sole che non ha nessuna pietà per gli esseri umani in attesa di qualcosa che non potrà mai arrivare. Ma io non cedo.. IO, IO !! Ora sono certo che non è l’Io razionale che è in grado di contrastare la sete, le vertigini, i crampi, la sete, la stanchezza. E’ l’Io oscuro  che è più resistente, ma è un Io lontano da me. Lo sento estraneo, cattivo, malefico, bestemmia, impreca contro tutte le divinità conosciute, ma è forte, i suoi muscoli sono giovani, si tendono come un filo d’acciaio, senza difficoltà. Ma quello che è invincibile è la sua oscura anima. Devo decidermi se continuare a stare arroccato nel mio rifugio razionale che mi accorgo essere debole, costruito con macigni solidi, ma senza una malta che li leghi tra di loro, oppure affrontare una volta per tutte il mio intimo nemico, che però mi assicurerebbe la salvezza, almeno quella fisica. Ma cosa diventerei? Sarei ancora Io? Oppure diventerei una Chimera che non saprà distinguersi dagli animali che la compongono?



Ogni tanto rientro nella realtà, le condizioni climatiche non danno tregua e mi ricordano dove sto e cosa devo fare…pedalare…pedalare….pedalare.  Sarebbe bello seguire un amico reale, anzi, non “seguire”, ma “procedere” con un amico reale che non sta davanti o dietro, ma lateralmente a te. Anche uno sconosciuto, per quanto sconosciuto,  non sarà mai come quello che continuo a seguire. Ho rabbia, vorrei riuscire a seminarlo, ma più accelero, più egli è davanti a me…fino al momento che finalmente attendevo. Alzo gli occhi e vedo solo un nudo e sterile terreno.

 Il sole è stato nascosto da una sottile nube di polvere che pian piano ha coperto tutto il cielo. La mia OMBRA, la mia guida, l’ago della mia bussola è scomparso e con esso anche la mia finta sicurezza. II mio castello, ora che non c’è più il nemico, si rivela essere ancora più fragile. Almeno l’OMBRA mi dava la possibilità di imprecare contro di essa e tutte le mie energie erano indirizzate a combattere questo oscuro essere che tentava continuamente di convincermi a diventare come Lui, forse peggiore, ma sicuramente più forte.

Sicuramente in grado di fare ciò che non avrei potuto fare io. Forse la storia del dott. Faust non è solo una invenzione, forse è nata nelle piane e tra i monti del Sinai, in estate, a 58 gradi,quando la nostra fragile mente è messa a dura prova e diventa una massa plasmabile a piacimento. Tutte le certezze della nostra civiltà scompaiono e tutto mi sembra lontano, inutile, tutto mi sembra una sovrastruttura a cui si può fare tranquillamente a meno, anzi se ci penso, mi infastidisce. Ma ora devo uscire da questa trappola ardente  e non ho neppure l’OMBRA. La mancanza di questo fantasma mi atterrisce, così come la mancanza di un nemico atterrisce il generale il quale abituato a combatterlo….la mia OMBRA…ma è lei la mia OMBRA o sono io che sono la sua OMBRA? Sembra un gioco di parole, ma risolvere tale dubbio cambia completamente il punto di vista e cambia totalmente la mia esistenza. Dove vado? Senza la mia ombra sono perso.

 Ho una piccola bussola ad ago, praticamente un giocattolo, credo che sia una sorpresa di un uovo di pasqua, che avevo gettato nello zaino e li era rimasto. L’ago mi darà una direzione, ma non un compagno. Con chi parlerò? Chi accuserò dei miei pavidi comportamenti? Un ago di metallo malamente calamitato? Non vedere più l’OMBRA mi da una labile sicurezza sulle mie capacità e sulla mia forza psicologica. Non vedendo il nemico, credo di averlo sconfitto, ma egli si è semplicemente nascosto. Si è stemperato nella piana, si è spalmato nel deserto, si è identificato nelle rocce, nell’aria rovente e li si aggira nascosto nel vento che scorre sulla piana ed attende solo il momento di colpire di nuovo. Attende la notte…e la notte si avvicina. Una tetra foschia staziona sulla piana. Non posso tornare indietro, così come feci nel Badyat el tih, sconfitto solo dall’altro me che mi convinse che non dovevo sfidare il deserto ( vedi el tih). Ora un dubbio mi assale. Chi fu che decise la ritirata? Fui io oppure la mia OMBRA?.Questo è un dubbio amletico perché, non risolvendolo, mi costringe ad accettare il fatto che sono manovrato da due esseri contrapposti che spesso confondo e che non so più quale sia reale e quale immaginario. Ma quando si manifesta l’uno e quando l’altro? Io sono certo di essere quello bello, alto, moro, allenato, invitto, coraggioso, forte, senza macchia e senza paura, un cavaliere medioevale che è sempre disponibile a salvare dal cattivo la pulzella di turno.

Sono certo di essere quello che non indietreggia di fronte a qualunque nemico, anzi….molti nemici, molto onore. Sono sicuro che potrei affrontare ogni avversità che la natura  possa mettere sul mio cammino, anzi, la desidero per combatterla e superarla senza paura. Questo sono Io…oppure la mia immaginazione mi identifica con colui che desidererei essere? Fino a quando non ho messo piede in queste lande sconfinate sapevo di essere questo uomo, poi, piano piano, il tarlo si è insinuato nella mia mente, fino al momento in cui l’OMBRA ha assunto una reale parvenza.  Ma intanto ho superato la metà della piana e mi avvio verso le montagne. Il calore non cede ed io devo trovare un rifugio contro questo maglio che batte contro l’unico essere vivente che percorre ora il deserto. Mi lamentavo della mancanza dell’OMBRA ed eccola di nuovo qui, davanti a me, mi sfida con cattiveria a proseguire. Ora non ho scuse per fuggire, per tornare indietro. Lei va avanti ed io non posso non accettare la sfida, devo dimostrare a me, ma soprattutto a Lei che so fare quello che essa non si aspetta. L’OMBRA attende solo di vedermi strisciare e fuggire, come ho già fatto. Attende solo di cantare vittoria un’altra volta. Non posso permetterle di gioire. Striscio, si, ma dietro di essa, non dalla parte opposta. Il terreno affonda, le ruote paiono incollate, devo scendere. Poi l’OMBRA scompare, il sole ancora alto, ma dove diavolo è finita? Dove è il mio nemico che finora mi ha sfidato a proseguire? Forse questa volta ha avuto paura lei di me, della mia determinazione e si è allontanata. Meglio così, almeno ho finito di combattere contro questo  sfuggente avversario. Grazie che Lei è forte, il Sole la rinforza, le da contorni, la disegna  sempre più in maniera nitida.

A me, misera carne, il sole toglie energie e volontà. MI fermo, volgo lo sguardo indietro ed eccola li, l’OMBRA, questa volta è dietro di me, dalla parte opposta. La mia determinazione l’ha relegata a seguirmi, non a precedermi. Ora sono io che conduco, sono io che vado avanti. Ora posso farle vedere come si procede contro il caldo e la sabbia. Ma forse ancora una volta inganno me stesso, comunque intanto ho ingannato Lei. Il sole si abbassa, i suoi raggi divengono sempre più rosso cupo. Il caldo diminuisce, il vento non ustiona più il viso e l’anima. Per me è facile recuperare le energie. Ma lei, insensibile alle cose terrene, non lo sa. E non sa che la mia carne è dipendente dal calore, dalla luce, dal vento. Ma intanto ora vado avanti io. E lei è costretta a seguirmi.

Man mano si spegne, i suoi contorni sbiadiscono, forse la mia forza l’ha debilitata. Forse è rimasta indietro e si è persa nel deserto. Questo spero. Spero si sia persa e mi abbia abbandonato, così da non sentire più i rimproveri che mi urla nelle orecchie e la sfida che mi lancia continuamente ed a cui sono costretto a rispondere per non sembrare un pavido cittadino. Spero di non sentire più gli scherni, la sua insensibilità all’ambiente esterno che a lei da forza e che invece distrugge me. Poi spero di non sentire più i sermoni, i rinfacci  degli errori commessi, delle cattiverie perpetrate ai deboli. Sono tutte strategie dell’OMBRA per poter vincere la corsa. Ma ora il sole è scomparso ed io sono uscito dalla conca infinita e sono arrivato alla base della catena montuosa che domani dovrò superare. Monto la tenda e mi appresto a riposare.

Le ombre lontane si allungano, i monti aguzzi proiettano sul terreno pianeggiante ombre veloci che corrono verso la costa alla velocità di un cammello al galoppo. La  notte cala improvvisamente nel deserto. Il crepuscolo viene ingoiato dal buio. La mia ombra si nasconde con quella delle creste, dei torrioni, delle guglie, poi tutto si confonde, viene inglobato dalla notte.

 Mi preparo un giaciglio vicino la tenda, all’esterno, modellando la sabbia per accogliere il mio corpo stanco e provato con le battaglie della mia mente. Tappo ogni pertugio dello zaino e della bicicletta perché non diventi il rifugio di qualche scorpione, stendo la kefia a terra e mi adagio finalmente su di essa.

 Il buio mi avvolge, alzo gli occhi al cielo. Una infinità di stelle confondono la mia saccenza astronomica non permettendomi di riconoscere tutte le galassie, le nebulose, gli ammassi che popolano il cielo estivo. Mi giro e rigiro, ma non riesco a prendere sonno e, anzi, appena Morfeo tenta di rapirmi, una miriade si sogni mi riportano alla realtà. Vedo nel sogno (o nella realtà?) tutti i miei fantasmi ballare come in un sabba infernale. Le ombre ancora popolano la scena, l’ esile falce di luna è sufficiente a dare vita alle ombre, ai fantasmi, ai Golem della nostra anima.

Non mi rimane altro che rifugiarmi nella tenda, dentro di essa sarò al sicuro, nessuno potrò farmi del male. Mentre decido sul da farsi, i miei ricordi tornano alle scene de “il pianeta proibito”. Nel pianeta abitato dal prof. Moebius e da sua figlia Alta, dei mostri notturni, eterei e mortali, attaccano la base. Il prof e i suoi ospiti dell’astronave si difendono con saracinesche di spesso acciaio che scendono rapidamente chiudendo ogni finestra ed ogni porta.


 Ma questi stratagemmi servono a poco perché i mostri sono potentissimi ed invincibili. Essi sono i mostri dell’id, mostri generati dal più profondo del loro inconscio. Come può quindi un esile telo svolazzante nel vento proteggermi da ciò che è dentro di me? Comunque mi conviene tentare, mi conviene rifugiarmi tra inutili, sottilissimi teli di plastica che hanno il solo scopo di non far uscire il calore che il terreno emana, surriscaldando l’interno della tenda. Ma qui dentro le ombre non mi seguono, sono confinate nella piana sterminata e si rincorrono tra le cime e le valli.

Come la mano del Signore scendeva dal cielo nel film “I 10 comandamenti” ed avanzava tra le case come una nebbia mortale , così io mi rinchiudo nella tenda per far passare l’angelo della morte…” Chiudi Giosuè…e fai passare la morte…”  Esortava Mosè.  La mia fertile mente certo non mi aiuta. La fuori ci sono tutte le mie paure più recondite, tutti i miei desideri più inconfessabili, tutti i miei tabù più radicati, tutte le mie ombre. Si…tutte le mie ombre, ora si sono moltiplicate a DISMISURA.

 La notte non le ha distrutte, ha moltiplicato la sua essenza, la sua forza, le ha unite in un’unica, sterminata, invincibile OMBRA…ed io non ho il coraggio di affrontarla. Mi sdraio nel misero pertugio assumendo una posizione fetale, consona al mio stato d’animo, alla mia predisposizione a rinunciare a qualunque tenzone con l’esterno del mondo e con l‘interno del mio inconscio. Ecco cosa attendeva la mia ombra, durante il giorno. Essa sapeva che di notte ....TUTTO E’ OMBRA. Quello che di giorno è un piccolo disegno scuro sul terreno, di notte prende possesso del mondo e della tua mente. Tutto è nero, nonostante che le stelle tentino di illuminare il deserto. Quasi quasi smonto la tenda e mi incammino, così mi allontano da questo posto. I nomadi mi hanno ammonito di non bivaccare nei Kambaltou, luoghi di proprietà degli spiriti. Forse io sono capitato in uno di questi. Ma ciò è un breve pensiero per scusare le mie paure. Già da molto tempo so dove devo bivaccare per non infastidire i Djiin e i folletti del deserto e ormai lo faccio automaticamente.

I Djinn non vagano nel deserto, ma scorrazzano nel mio animo. Laggiù assumono le forme più varie e bizzarre e da laggiù mi chiamano, vogliono che vada con loro… i miei amici che non ci sono più sono tutti laggiù, loro sanno cose che io ignoro e che intravedo nell’oscurità del deserto e della mia anima. Mi fa rabbia non sapere, invidio i miei amici che conoscono cose proibite a noi viventi. Il deserto non ti da nulla, non è prodigo. Chi viene quaggiù credendo di prendere, se ne può andare subito via, pena grandi delusioni. Il deserto non  da nulla, prende solo….quaggiù si trova solo quello che si porta dentro i reconditi meati dell’animo. Solo quaggiù potevano nascere i profeti. Tutti hanno dovuto subire la forche caudine del deserto, hanno dovuto chinare la testa alla sua esuberante presenza. Loro hanno trovato la chiave del loro pensiero. Iddio si è a loro manifestato e tornando hanno portato un nuovo Verbo…..ma chissà se veramente il Verbo  si è impossessato della loro mente, inculcato dal Signore dei potenti, oppure forse già avevano tutto nel loro inconscio e quaggiù si è solo manifestato. Dal loro pozzo hanno semplicemente estratto ciò che portavano. Io, essere semplice, non porto un Verbo, porto solo insicurezze e fantasmi….e questi si manifestano, con loro devo combattere. Ma sono troppo forti, il mio IO inconscio è troppo forte perché la mia mente razionale possa pensare di vincerlo. Forse non conviene combattere, forse conviene scendere a un compromesso che soddisfi entrambi, forse, prima di soccombere, conviene addivenire ad una pace onorevole. Forse…forse…troppi forse. Ma dove sta il punto d’incontro? Attorno a me tutto è deserto, buio, silenzioso….si !.. Silenzioso….ma perché oggi è tutto silenzioso? Dove è andata a finire la voce del deserto? Dove stanno le note che il vento crea correndo tra le pianure sterminate o tra le rocce calcinate dal sole? Dove sono le canzoni che le rocce scrivono quando , contraendosi all’ombra che avanza, vibrano come un organo? Perché la sabbia non emana il suono dei granuli che scorrono trasportati dal vento? Perché nessuno sciacallo ulula alla luna? Perché nessuno scarabeo urta il suo carapace sul duro terreno?

 Ecco…tutto è silenzio. Il silenzio atterrisce, ammutolisce chiunque voglia contrastarlo, noi non siamo abituati al silenzio. Il silenzio è un nemico invincibile, la sua arma è la nostra debolezza, Tutti aspirano al silenzio….ma nessuno conosce il silenzio del deserto…..pochi sanno quanto sia terrificante l’URLO  del silenzio.

 Il silenzio sa quanto noi siamo deboli e durante la notte lancia i suoi attacchi. Mi rassicuro perché qualcosa nelle mie orecchie eccita i nervi uditivi…è lo scorrere del mio sangue, odo pulsazioni ritmiche ed una sorta di soffio soffocato, ma è già qualcosa. Nel silenzio dell’esterno della tenda si agitano tutti i  miei sentimenti più nascosti. Ora emergono tutti e ballano attorno a me in un sabba demoniaco. Tento di scacciarli, ma so che solo  il sole può distruggerli e ricacciarli nel buio del mio Io. Devo semplicemente sopravvivere ancora qualche ora, poi ci penserà il sole….il sole. Ma il sole darà di nuovo vita alla mia ombra! Come uscire da questo labirinto inestricabile? Non potrò combattere con la mia ombra quando dovrò superare le montagne, li mi serviranno tutte le mie energie da convogliare nelle mie gambe e nel mio cuore, non posso disperderle tra il miei neuroni cerebrali.
 L’ombra si staglierà contro la parete e mi irriderà mentre salgo con la bici in spalla sfidando la calura infernale che sale dalle rocce arroventate da un sole che non ha pietà per la debolezza umana. Ma il sole ancora è molto lontano, si riposa, LUI, sotto l’orizzonte, mentre io perdo ulteriori energie a combattere…..ma contro chi? Quale nemico io creo nel mio inconscio? Magari potessi dormire….”dormir,dormire, forse anche sognare. Ma quali mai sogni possono sorprenderci…” Hamlet già ha affrontato il problema…ma nessuno poi ha detto se lo ha veramente risolto. Ma Hamlet aveva tempo per risolvere i suoi dilemmi, io ho solo qualche ora prima di dover affrontare di nuovo il deserto e le montagne. A questo punto devo comunque andare avanti, perché tornare indietro è impossibile, non avrei acqua a sufficienza per traversare di nuovo la piana, mentre dovrei impiegare solo qualche ora per superare i monti e poi giù, in discesa, velocemente, fino alla costa, e all’acqua……ma quando sorge il sole?
Forse è meglio ignorare tutti i personaggi che ballano davanti ai miei occhi, tutte le personificazioni vere o immaginarie che popolano la notte.

Qualcuna ha un volto, altre si muovono come in una nuvola evanescente, si mescolano tra di loro, riappaiono, si confondono con la notte. Esco con la lampada frontale al massimo, illumino il buio e tutto torna naturale, tutto scompare, la luce distrugge i fantasmi, il silenzio torna ad essere solo mancanza di rumore. Poi mi siedo a terra sulla kefja, appoggiato con la schiena ad una roccia e spengo la lampada, sfidando i miei nemici. La luna ormai tramontata non illumina più il deserto, il buio si riappropria del mondo e della mia anima, i djinn entrano in scena ed io li affronto spavaldo, questa volta. Non fuggo, li guardo dentro li occhi, li fisso, li sfido.

 Non ho più possibilità di fuggire e quando un animale viene stretto all’angolo, diventa una belva. Ecco, ora sono una belva, assetata di sangue, con i denti acuminati. Il pavido, il succube, deve reagire, attaccare, ora o mai più. Mi alzo, giro le spalle al nemico in segno di sfida, come un matador che irride il toro volgendogli le terga. Il toro non attacca perché è confuso di tanta baldanza. Forse è questa la strategia giusta, è l’attacco, non la ritirata strategica, che significa sempre una sconfitta. Rientro nella tenda non retrocedendo, ma volgendo le spalle all’ignoto, quello che mi fa più paura. Mi sdraio e mi addormento, sogno…sogno di essere un uccello e volare tra le nubi, il vento accarezza le mie ali, mi tiene in aria, salgo sempre più in alto, tra le torri rocciose, tra le rupi ed i precipizi e poi ancora più in alto, dove le nubi cedono il posto al sole ed ancora più su. Il sole è scomparso ed il cielo è diventato nero e si curva sempre più su di me.

Ora mi sembra di volare in un imbuto che va restringendosi sempre di più e il cunicolo scuro diventa una spirale che precipita in un nero pozzo. Mi volto un momento prima della curva e vedo uno spiraglio luminoso che presto scompare e volo in un fluido denso che rallenta il mio volo per quanto io tenti di procedere battendo con forza le mie aliL’imbuto a spirale si stringe su di me, ora mi blocca, le pareti mi soffocano, le mie ali sono adese al mio corpo che tenta di liberarsi dalla stretta rocciosa. Vedo un lumicino, una luce lontana e striscio verso di essa, ma il torace si stringe e non respiro, sono bloccato in un cunicolo infinito. Il buio mi terrorizza, l’immobilità mi terrorizza, la respirazione rallenta sempre più perché il torace è costretto e non può espandersi. Vedo una fioca luce, appena un punto luminoso che però mi da la speranza e mi dirigo faticosamente verso di esso. Si ingrandisce lentamente man mano che avanzo, ora è diventato un oblò da cui spero di uscire. Mi affaccio e riesco a sbirciare.

Al di la c’è la luce. Tutto è limpido, colorato, i monti si stagliano contro un cielo azzurro, i prati fanno a gara per contenere tutti i colori dei fiori, la brezza accarezza i ghiacciai, tutto è popolato dai miei amici più cari, quelli reali e quelli ormai eterei, tutti sono felici…..ma è tutto lontano, irraggiungibile. L’oblò è troppo stretto per permettermi di passare. Devo tentare comunque . Infilo il capo nel pertugio, poi le spalle ed il torace, forzo e poi mi rendo conto che sono incastrato. Sono le ali che mi impediscono  di passare. Un impeto d’ira mi pervade….così vicino alla libertà, alla felicità. Per colpa delle ali…Perdo tutte le speranze e mi abbandono, ma improvvisamente un’idea balena nel mio cervello. Come ho fatto a non pensarci prima? Basta sganciare le ali, rinunciare a volare, e vai ! ……

Mi sveglio con il cuore in tumulto, sono passati solo pochi minuti, quello che credevo fosse durato ore, è stato un istante, un solo momento nella notte. Ma ora so come passare nel mio oblò, ho una soluzione al problema. Rincuorato aggiusto lo zaino sotto la testa e finalmente mi addormento,  ma ormai sono le 4. Cado in un sonno profondo e mi sveglia il sole che già illumina le cime più alte. Sono distrutto, un sonno mortale ancora aleggia sulle mie membra, ma devo partire, non posso permettermi di poltrire. A fianco della mia tenda una netta linea d’ombra divide il giorno dalla notte.

 Quando finalmente il Sole illumina il mio giaciglio, la mia ombra compare come una marionetta in un palcoscenico. Ma tutto è cambiato, essa si muove diversamente. Mi stupisco che possa muoversi a mio comando, essa ha perso la sua volontà, segue pedissequamente il mio corpo, sembra non avere più un’anima. Il silenzio è scomparso, il vento zufola tra le rupi, qualche roccia precipita dalle pareti con un rumore sinistro, ma rassicurante. Urlo contro la montagna ed essa risponde con un’eco che rimbalza più volte e che pian piano si spegne allontanandosi nella pianura. Tutto mi sembra cambiato, il panorama mi è familiare, le montagne che devo affrontare hanno canaloni simili a quelli che solcano le mie montagne, le pareti hanno colori che stemperano le mie ansie.

 Mi ergo con le spalle al sole e contemplo la mia ombra che obbedisce ai miei comandi, agito le braccia, alzo le gambe, faccio smorfie  e mi beo della visione dell’ombra che mi imita alla perfezione e per di più senza un minimo ritardo temporale., Sono felice…..ma non sarà un sogno? Spero di non svegliarmi. Se non dovrò confrontarmi con il mio ombroso nemico posso salire il canalone velocemente. Il caldo non mi fermerà, quello è il nemico meno pericoloso. Smonto la tenda e bevo una buona quantità d’acqua. Non faccio colazione perché per percorsi di due o tre giorni non porto cibo. La fame è solo un fatto psicologico. Il nostro corpo civilizzato ha tante energie accumulate che due giorni senza cibo possono appena intaccare le riserve. Pedalo per pochi minuti e mi trovo a salire con la bici in spalla nel canalone ancora fresco.

Sono le 6.30 ed il sole ancora è stanco, sonnecchia ancora anche lui, ha difficoltà ad accendere i forni. Dopo un’ora ancora salgo, ma più salgo, più ritrovo le mie energie. La mia ombra tace, mi segue come un cagnolino ammaestrato, il sole accende le rocce, le infuoca, l’aria torrida sembra rifuggire i polmoni, ma queste sono piccole difficoltà che sono abituato ad affrontare e superare.

 I polmoni sembrano rifiutarsi di respirare l'aria rovente che ustiona la gola. L'affanno della salita brucia nel torace. Devo rallentare e respirare più lentamente, magari respirando con il naso per raffreddare il fluido rovente che non può chiamarsi "aria". In quei momenti mi fermo e controllo la mia ombra che sia sempre li e che sia semplicemente la proiezione della mia immagine.
Il valico si staglia sopra di me mentre pareti verticali mi scortano dove la mia ombra si proietta inutilmente.

 La sua prosopopea, i suoi rimproveri, le sue saccenti affermazioni sono lontane, relegate tra le rocce del bivacco, le sabbie hanno seppellito la sua voce . Ora tace, forse per sempre. Sono sul valico e il panorama si allarga a dismisura.

 Laggiù, sembra irraggiungibile, c’è il golfo di Suez. Tra lui e me si interpone  un canalone ed una piana inumana, ma sono in discesa e so che la piana è percorribile dalle ruote. Scendo quasi saltellando tra le rocce con la bicicletta che, nei punti scabrosi, rotolo senza pudore giù dalle rupi. Eccomi sulla piana, corro sul terreno rovente, mi allontano dalle montagne,pedalo verso il mare.

 Mi volto. Lassù, tra la foschia c’è il mio cammino. La polvere alzata dal vento cancella le mie tracce e con esse cancella la mia ombra dispettosa, le mie paure, il mio sogno, i miei fantasmi. Sono tutti lassù, ma forse il deserto li distruggerà, li congelerà nelle pareti e li farà crollare nei canaloni.

Forse qualcuno sopravviverà e prepotentemente tenterà di riprendere il suo posto. E’ un pericolo, lo so. Prima o poi dovrò ancora andare lassù, in quel posto ed accamparmi di nuovo sotto il gebel e  sfidare quello che è rimasto. Forse non lo troverò, forse è morto, ma dovrò correre questo pericolo. Per ora godo la vista del mare che si avvicina. Davanti a me si staglia un’ombra, la mia ombra, che finalmente è tornata ad essere solo…..UN’OMBRA…….per ora.

Chissà, forse scavando sotto la nostra ombra, potremmo trovarci un uomo migliore, magari con un cuore di bimbo. In ogni caso conviene sempre tentare......

Ps: Una spiegazione tecnica dell'ombra. Nel deserto, in giugno-agosto, il sole sorge esattamente ad est e tramonta esattamente ad ovest. Alle ore 12 è perpendicolare al terreno e quindi non procura ombra. Quindi, al mattino, per procedere verso ovest, basta seguire l'ombra che il tuo corpo proietta sul terreno. A mezzogiorno scompare, ma subito dopo compare dalla parte opposta e si proietta dietro di te. Basta guardare indietro e seguire sempre la direzione che l'ombra ti suggerisce.