mercoledì 21 novembre 2012

DAL DESERTO ALL'ATLANTE LUNGO LO OUED DRAA

                 Verso  l’Atlante : risalendo lo oued  Draa  (Marocco)

 

Possiamo viaggiare per il mondo intero in cerca della bellezza, ma se non la rechiamo in noi non la troveremo.
               La fertile valle dello oued  Draa, fiume torrentizio che si perde nelle sabbie del grande Erg
Sono ancora in Marocco, ma questa volta soggiorno dall’altra parte della catena dell’Atlante, quella che si affaccia sul Sahara. Già sono salito sul Toubkal e vorrei accedere alla montagna dal versante che non conosco. Non voglio servirmi delle auto per arrivare alla base dell’Atlante, ma preferisco esplorare la valle dello oued Draa che da tutta l’idea di volermi  portare fino al cuore della montagna.
                             I palmeti della bassa valle del Draa, prima del deserto
L’Atlante si intravvede tra la foschia del pomeriggio e sembra essere lontano e di difficile accesso, ma che importa? Come al solito non porto carte topografiche, ne gps, ne bussola e non ho preso alcuna informazione sull'itinerario. Questa cosa mi immerge nel personaggio dell'esploratore dell'800 ed è un ruolo che mi piace e mi si addice. Nel cuore della notte mi alzo per controllare il cielo. Tutto è pulito, l’aria e inusitatamente fresca. Mangio qualcosa ed esco immediatamente nell’aria frizzante che precede l’alba ancora lontana.

Procedo lungo la strada asfaltata superando alcuni villaggi abbarbicati tra le rocce e la terra dei monti tra cui si confondono.

 Devo arrivare almeno nelle vicinanze della valle che intendo percorrere, ma attorno a me tutto è deserto, la valle è deserto, i monti sono deserto, le colline sono deserto. Il sole sorge sfolgorante ed illumina un paesaggio nuovo.

Tutto sembra un affresco restaurato. Un abile pittore ha rinnovato i colori spenti e foschi di dune e montagne, di uoed e colline. I toni di rosso sono intensi e cupi ed in lontananza l’hammada appare tinta di un lieve colore verde.

Supero la gasbha di Tifoultout, magnifica nella sua imponenza sul colle a guardia della valle del Draa. Una piccola pista si arrampica alla mia sinistra. Un posto vale l’altro, tanto non ho alcuna carta topografica e quindi non so assolutamente dove vado e cosa mi attende.

 Inizio risalgo la valle pedalando con lena, ma con una certa circospezione a causa della pesantezza delle gambe, eredità delle pedalate dei giorni scorsi.
Ben presto abbandono la pista e mi arrampico su un sentiero che mi porta  in una piccola valle fiorita, abbellita da due palme.

La piana si trova a1300 m. di quota e la notte il termometro scende velocemente facendo condensare l’umidità, la quale permette all’erba più resistente di sollevare le flebili foglie dal riarso terreno.  Supero la valletta lasciando un orrendo solco sull’erba e tiro un sospiro di sollievo quando le ruote della bicicletta rotolano di nuovo sui sassi taglienti della montagna.

 Ritrovo una pista che seguo per qualche km incrociando un camion con a bordo una masnada di giovani che poi ho scoperto che si dirigevano su una collina pedemontana per cavar pietre. Mi allontano di nuovo dalla pista principale e con fatica sbocco su un’altopiano perfettamente piatto e composto da una base terrosa coperta da pietre nere e rosso scuro. Questo colore è lo “smalto del deserto”. Spesso ho trovato nei miei viaggi questo spettacolo. Le pietre ed i monti sembrano dipinti di un colore che riflette la luce restituendo tutti i toni del rosso, dal rubino al quasi nero.

 La stessa roccia assume tutte queste gradazioni di colore, man mano che il sole cambia la sua inclinazione. Tutto ciò è dovuto alla presenza del manganese e del ferro che le piogge spargono in superficie. Il sole implacabile presto le prosciuga e quindi, a contatto con l’aria, questi elementi si ossidano formano una patina dura e resistente. Le rocce sembrano siano state lucidate come una solerte colf farebbe con la nostra argenteria annerita dall’ossido. Tutto riflette. Non solo le rocce ed i monti sono rosso scuro, ma anche l’aria sembra assumere questo mesto colore. Ogni roccia riflette la luce scomponendola in una miriade di riflessi che danno al paesaggio l’aspetto di una ballerina ornata di paillettes. Pedalo in questo universo cangiante immerso in un’atmosfera irreale.

 Sento di essere un privilegiato e ringrazio la sorte che mi ha dato l’opportunità di assistere, in questi luoghi, allo spettacolo della tempesta nell’hammada Rbat ed ancor più a quello di oggi.  L’altopiano si trova a circa 1600 m. di altezza. Piccole tracce si intersecano tradendo la presenza di greggi che tuttavia non riesco ad avvistare. In effetti  deve essere una zona di transito stante l’assoluta mancanza di qualunque traccia di erba. Il paesaggio è assolutamente sterile, forse anche più dell’hammada.

 Man mano che la valle sale e  mi avvicino alle montagne il calore aumenta vertiginosamente ed è anche più evidente a causa dell’enorme sbalzo di temperatura rispetto a questa mattina. Arrivo trafelato alla base delle montagne ed una parete alta circa 300 m mi sbarra il cammino. Trovo un’esile traccia e la seguo, verso la mia destra, fino ad una zona argillosa e rocciosa di colore ocra intenso. A destra si alzano i monti ed i brecciai. In salita è impensabile procedere con la bicicletta, si dovrebbe metterla in spalla e davanti a me c’è una scarpata alta circa 30 m, a picco su una valle che si inoltra tra gole e dirupi.

A prima vista sembra impossibile scendere la bicicletta, ma ho imparato in anni di alpinismo che il diavolo non è così brutto come lo si dipinge. Lascio la bici sull’orlo del baratro e scendo su esili, ma solidissime cenge. Scendere arrampicando si rivela essere una cosa semplicissima, ma con la bici in spalla tutto assuma un’aspetto diverso. Mi trovo in una zona desertica, tra le montagne, a circa 30 km da Tifuoltout. Un banale incidente mi bloccherebbe in questa zona. Con me non porto telefono e nessuno sa dove sono andato. E il deserto è sterminato.

Decido che è impossibile la discesa, ma poi, mentre mi accingo a risalire, noto un’intaglio tra due rocce a picco che mi permette, come una rampa, di aggirare la zona più esposta.  Anche se la cosa non è poi così semplice come sembra, tuttavia è l’unica possibilità di discesa e decido di tentare. Con qualche difficoltà e qualche numero acrobatico, stando ben attento a lasciar andare la bicicletta in caso di pericolo, scendo finalmente alla base.  Dall'alto scorre un misero rigagnolo che alimenta due vasche scavate nella roccia.

E’ una zona fiabesca. Il sole ora scatena tutta la sua forza, non dimentichiamo che siamo nel Sahara, non alla via dei Laghetti. Quello che sarebbe un’insignificante paesaggio al M. Prena, qui assume un’aspetto diverso, quasi un regalo della montagna. Un folto gruppo di uccelli si abbevera alla misera piscina.  Mi sdraio sulle rocce levigate, vicino all’acqua ed immergo i piedi nel prezioso liquido non prima di aver bevuto con avidità direttamente dalla pozza scavata nella roccia. Sotto le rocce della parete si è raccolta una piccola pozza, chiara e fresca. Un piccolo rigagnolo esce e va poi a formare le due piccole piscine più in basso.

 Passa un tempo indefinibile (ma cosa significa “tempo”?), poi mi rendo conto che il sole corre e mi accingo a lasciare questo posto riposante ben sapendo che a qualche metro da qui il deserto si riappropria delle terra e delle menti dell’uomo, distruggendo tutto ciò che tenti di sottrarsi alla sua inesorabile morsa. Riempio le bottiglie d’acqua che si erano vuotate e con questa nuova preziosa scorta parto in direzione dell’Atlante.

Mi immergo completamente nell’acqua sperando che un po umidità rimanga  sulla mia pelle durante il tragitto, ma appena qualche metro più in la già il mio corpo è asciutto ed il calore si impadronisce di me. Sembra ancora più implacabile dato che ho un confronto diretto con qualche minuto prima, quando ancora ero immerso nella fontana. Scendo la piccola valle rocciosa percorrendone il fondo piatto e roccioso, segno dello scorrere  millenario dell’acqua.

 Tutto sfocia in uno oued dal fondo breccioso . Seguo per mezz’ora il suo corso fino ad una zona più umana. Alcune palme si presentano all’improvviso. Sorgono in una zona fertile e verde. Un piccolo gioiello tra queste sterili montagne. Lo oued permette, in una zona più argillosa, anche la persistenza di una pozza d’acqua. Mi muovo in un letto di un fiume secco da decenni, ma evidentemente mi trovo, in questo momento, in una zona in cui l’acqua può affiorare in superficie.

Odo un rumore, mi avvicino, e noto tra le foglie un guizzo. E’ una rana dagli splendidi colori. Chissà per quanti anni era rimasta in ibernazione sepolta nel fango disseccato aspettando proprio questo momento. E ci sono anch’io in questo momento.  Lo oued un po più avanti scende con salti rocciosi verso una zona frastagliata e caotica, incassata tra monti franosi. Non posso neppure pensare di proseguire.

Faccio qualche tentativo con la bici in spalla, ma il terreno è inconsistente e dove si trovano le rocce, esse sono comunque infisse in terreno fragile e, caricate del  mio peso, rotolano trascinando con se altre pietre. Per risalire sarebbe veramente difficile e probabilmente troppo faticoso. Il monte è incombente su di me, dovrei uscire dallo oued, ma ormai le sue franose pareti non me lo permettono, sono praticamente in trappola. Mi consola il fatto che comunque i versanti della montagna non sono facilmente percorribili. Mi sono inoltrato in una zona infernale, senza alcuna traccia di vita umana o animale, senza alcuna traccia di sentiero che permetta il mio progredire. Non mi rimane altro che battere in ritirata.

Ritorno quindi sui miei passi e, arrivato in corrispondenza della pozza, decido di tentare di arrivare alla cima della montagna che avevo ignorato avendo una meta più “onorevole”. Una sola via sembra percorribile, la cresta nord-ovest. Devo però tornare indietro, sull’altopiano e quindi proseguire a sinistra, fino ad incrociare la cresta che si abbassa sulla piana. Incontro alcuni sentieri pedalabili e presto mi trovo alla base della cresta. 




 Una cengia in salita, come fatta ad arte, mi permette di guadagnare rapidamente quota pedalando.  Poi però le rocce si innalzano ripide e devo abbandonare la bicicletta. Proseguo sulla cresta che pian piano aumenta la sua inclinazione, salendo tra enormi massi frastagliati e rotti dai millenni di sbalzi di temperatura.
L’altimetro segna 2000 m quando arrivo ad un enorme gobbone roccioso che prosegue verso sinistra scoprendo continuamente, man mano che salgo, nuovi orizzonti. Proseguo tra rocce nere e rosse incastonate in una terra ocra e gialla. Da lontano la bicicletta si nota appena, solo un riflesso metallico tradisce la sua presenza.

Cammino tra il cielo e il deserto per quasi un’ora, salendo non verso la cima, ma verso una fiaba. A destra la parete precipita sull’altopiano, a sinistra degrada dolcemente verso il Sahara. Infine la cima, appena una torre più alta della cresta. Mi fermo ansante e congestionato, 2570 m. Non è molto, ma è proprio a queste quote che si fatica di più. Più in alto il termometro scende velocemente, ma qui ancora la temperatura non risente dell’altitudine. Anzi, il calore che sale dal Sahara, nel pomeriggio, si concentra proprio a questa altezza, mortificando la baldanza dell’alpinista.

 Il panorama è senza limiti. Di lontano c’è l’hammada Rbat, inesorabile nella sua perfezione. Nella zona opposta, il Sahara si presenta in tutta la sua crudezza. In una piana immersa nelle brume roventi, si innalzano monti eterei, a perdita d’occhio. In quella direzione si trova Timbouctou, 52 giorni di cammello, senza nulla, senza villaggi, senza piante, solo montagne e sabbia

   Da Zagora parte la pista che porta a Timbouctou in 52 giorni di cammello
Nulla con cui consolare gli occhi ed il cuore. 52 giorni di cammello. Io ne ho percorsi 4 (di cammello) con la bicicletta, poi sono tornato indietro. Non è possibile di più. Solo le carovane possono sfidare per così tanto tempo il deserto, e solo aiutate dai cammelli. Un uomo solo è destinato a soccombere presto. La sua mente si perde tra la sabbia e le rocce. Siamo troppo fragili, non possiamo portare tanta acqua che basti fino al prossimo pozzo. Molti hanno traversato il deserto a piedi, da soli. Ma attenzione, c’è un trucchetto.
                        Uno scorcio di una delle piste per Timbouctou
La sera arrivano ad un posto di ristoro, appositamente predisposto dagli organizzatori. Questo è barare. Oppure sono accompagnati da un cammello che porta l’acqua per lui. Io penso che non sia importante quanti km si percorrano nel deserto, ma come si vada tra le sabbie e le rocce. Questo è vero anche sulle Alpi. Noi dobbiamo confrontarci solo con  le nostre paure e le nostre debolezze. Non dobbiamo confrontarci con le altre persone, non avrebbe senso. Immaginiamoci l’inutilità di confrontarci con il deserto, sarebbe sempre una sconfitta. Credo che  un uomo non si giudica dalla sua capacità di arrampicare…..ma dalla voglia e dalla capacità di affrontare le sue paure, qualunque sia il risultato e qualunque sia il livello delle sue paure. Di lontano, tra la foschia, troneggia il Toubkal, altissimo, come un re a guardia del Sahara. La sera incalza, non che mi preoccupi, ma preferisco scendere per tempo, nel caso dovessi avere difficoltà a rintracciare la bicicletta. Ho imparato da tempo che nel deserto non si può mai essere sicuri di nulla. Scendo velocemente, stando ben attento dove poggio le mani, per evitare qualche scorpione o qualche cobra e ben presto sono sulla mia fedele bicicletta. In discesa corro velocemente  fino ad un buco nel terreno.

Mi fermo e lo esploro. È un pozzo profondo circa 3 m. Scendo nell’interno e immaginate la mia meraviglia quando  mi rendo conto che in realtà si tratta di una frana che ha messo allo scoperto una grotta che corre parallela al terreno. Nella grotta scorre un ruscello d’acqua fresca e trasparente. Riempio le bottiglie e bevo lentamente a via della temperatura veramente bassa dell’acqua. Riprendo la pista.

Mi volto e dietro di me si ergono le ultime propaggini dell'Atlante che accoglie nelle sue antiche rughe villaggi confusi con la terra rossa e fertile, bagnata dalle acque miracolosamente riaffiorate dalle rocce. Acque che portano la vita nei miseri villaggi che vivono delle colture che strappano all'avara terra del deserto montuoso. 
Ora posso accelerare. 25 km/h e ben presto sono alla pianura. Evito la strada asfaltata e pedalo nella piana di Ourzazade.
           
Al mio fianco le ultime propaggini dell’hammada Rbat, dipinta come un quadro, il sole è tramontato dietro il Toubkal. Rientro a Ouarzazade dalla porta sud..

Domani per me  la fiaba sarà finita, senza la mia sporca presenza, il deserto tornerà ad essere….. PERFETTO ( vedi: hammada Rbat).

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