martedì 3 luglio 2012

EL TIH, L'ALTOPIANO DELLA DESOLAZIONE


Aver casa e' bello
dolce il sonno sotto il proprio tetto,
figli, giardino e cane. Ma ahime',
appena ti sei riposato dall'ultimo viaggio,
gia' con nuove lusinghe il mondo lontano t'insegue.
Meglio e' patire nostalgia di casa
e sotto l'alto cielo essere,

col proprio struggimento soli.
Avere e riposare puo' soltanto
l'uomo dal cuore tranquillo,
mentre il viandante sopporta stenti e pene
con sempre delusa speranza
piu' facile e' l'ampliamento di un viaggio
piu' facile che trovar pace nella valle natia,
dove tra gioie e le cure ben note
solo il viaggio sa costruirsi la via.
Per me e' meglio cercare e mai trovare
che legarmi stretto a quanto mi e' vicino,
perche' in questa terra, anche nel bene,
saro' sempre un ospite e mai un cittadino.
Hermann Hesse



Traversare da solo "El Tih", con la byke,  non è soltanto pedalare nel deserto per almeno quattro giorni, ma è affrontare le paure del nostro incoscio più profondo ed  i folletti del deserto, è evitare i campi infestati dai Jinn, è sentire le voci che normalmente releghiamo nel pozzo più profondo della nostra anima.


El Tih, la desolazione. Questa è l’immane tavola sabbiosa larga 300 km da attraversare. Il solo nome mi attira  come una sfida. Forse se si fosse chiamata diversamente non sarebbe stata così attraente. Mi rendo conto che questo non va bene. Ancora non riesco a liberarmi dai condizionamenti della nostra cultura. Quando arriverò al  suo bordo orientale saprò se sarò pronto, solo allora il deserto mi dirà se potrò procedere.


Parto con la mia bici ben attrezzata, carico come al solito di acqua e questa volta porto sulle spalle uno zaino con la tendina e una bella scorta di carboidrati. Anche il corpo ha le sue esigenze. Viaggio con lena su un terreno che ormai non ha per me più alcun segreto. Mi sembra di camminare nella mia città, sotto i portici che mi conoscono da una vita. Il mio pensiero però è impegnato a risolvere il dubbio se qualcosa o qualcuno mi dirà se sono pronto. Se saprò comprendere le voci del vento e delle sabbie. Se quelle voci sono la materializzazione delle mie paure oppure la vera voce del deserto. Questo è il mio dubbio più irrisolvibile. Come farò a distinguere quelle voci? E’ inutile continuare a tormentarsi, solo il tempo potrà districare la matassa dei miei pensieri.

 Più cerco di distrarmi godendo del paesaggio, più la mia mente ritorna con ossessione a El Tih. Ora ho trasformato una piana infernale in una persona malefica che cerca di difendere il suo territorio. Ora credo di essere un cavaliere errante che sfida il drago, ora un soldato che vaga nella giungla in attesa che un nemico invisibile lo uccida con trappole invisibili. Sono anni che pedalo e cammino nel deserto, ma El Tih è un’altra cosa. Quando Lawrance d’Arabia, per annunciare agli inglesi la vittoria, decise di traversare  El Tih  con i cammelli insieme ai suoi due attendenti locali, i beduini gli dissero se era un pazzo. “Mosè lo ha fatto “ semplicemente rispose.
Il giorno sembra non passare mai, la distanza sembra accorciarsi, subito le prime propaggini di El Tih si avvicinano. Viaggio in una zona magnifica di deserto. Ho studiato bene il tragitto dai viaggi aerei di ritorno.

 La rotta aerea passa proprio su El Tih. La direzione è intuitiva e semplice, basta andare verso dove tramonta il sole, non ci si può sbagliare e prima o poi si incontra la costa del golfo di Suez. Però in cuor mio spero che succeda qualcosa. Possibile che quest’anno non foro mai? Possibile che alla bici non si rompa nulla? Possibile che non mi venga neppure un crampo? Mi basterebbe una minima contrarietà per battere in ritirata. Dove sono andati a finire gli onnipresenti dolori alle ginocchia? O la mia immortale lombosciatalgia? E il vento onnipresente? Tutto complotta contro di me. Neppure un vortice si alza tanto per annunciare che il vento potrebbe offuscare la vista. Stranamente non ho neanche tanta sete. La temperatura si mantiene su livelli accettabili. Il mio animo combatte dalla smania di andare e l'inconscio desiderio che qualcosa me lo impedisca. Arrivo in un punto qualunque , che importanza ha? Valico un basso intaglio con alla sinistra una parete verticale illuminata dal sole morente. Spingo per qualche minuto in salita la mia bici. Ancora qualche metro, sono sul valico senza un benchè minimo segno di fatica e……El Tih si stende ai miei piedi.

L’aria immobile ed il sole al tramonto fanno assumere al paesaggio un aspetto terrifico. Sotto di me basse ondulazioni tra cui si insinua la sabbia. Più in avanti la sabbia pian piano guadagna il territorio ed in lontananza dune e dune, montagne di dune. La foschia nasconde le dune più lontane e tutto sfuma con l’orizzonte, mescolandosi in un rosso abbagliante dove troneggia il sole al tramonto. Quella è la mia direzione. Decido che posso pedalare ancora per una o due ore. Proprio ora si pedala meglio, la temperatura è semplicemente magnifica, posso percorrere ancora molti Km, tantopiù che sto perfettamente bene.
Faccio un Km circa e mi fermo sulla cima di una bassa odulazione con terreno compatto.

Penso che fra mezz’ora al massimo dovrò fermarmi per preparare il campo e montare la tenda, mangiare e fare tutto ciò di cui il nostro corpo ha bisogno.
Un pensiero pauroso mi assale. Tutto mi sembra estraneo. Il deserto è cambiato. Ho la sensazione di non essere gradito e decido di tornare indietro ed accamparmi sul valico, tra le rocce e le montagne.

Arrivo ben presto e smonto i bagagli. Neppure sul valico mi sento a mio agio. La vista di El Thi mi procura una strana insicurezza a cui non so dare spiegazione. Scendo al di la del valico, nella valle circondata da rassicuranti montagne. La luna già sta salendo nel cielo perennemente terso ed illuminerà la notte.

Vado per montare la tenda e solo allora mi accorgo di non aver portato i paletti di fibra di vetro. La tenda è un igloo. Non mi interessa, non è una cosa importante, dormirò sul telo. Ceno con un poco di pane e sale. Ho lo stomaco chiuso ed una leggera nausea sale impercettibilmente verso l’esofago, mentre l’addome mi duole. Conosco bene queste sensazioni. E’ nervosismo e non so perché.
Mentre attendo la notte mi viene un’idea. Ho i bastoncini allungabili da sci alpinismo Gli do l’estensione adatta e li uso come due paletti, trasformando il mio igloo in una tenda canadese. La cosa mi riesce talmente bene che decido d’ora in poi di non portare più i paletti di fibra, così potrò risparmiare ulteriormente peso. La notte non arriva mai, sono le 22. Il tempo non si è fermato, semplicemente la luna piena ha preso il posto del sole illuminando le montagne ed il deserto con una luce spettrale ma intensissima.

 Nella tenda c’è troppo caldo, l’umidità fa innalzare la sensazione di calore, non riesco a dormire. A mezzanotte esco e mi sdraio a terra sulla kefja. Appena pochi minuti poi mi sveglio di nuovo. Nessun rumore mi tiene compagnia. Dove sono gli scorpioni ed i fennec? Perché la brezza notturna non vaga tra le rocce? Dove sono i Djinn? Un silenzio mortale è sceso sul deserto. E’ la prima volta. Il silenzio mi sveglia. L’unico rumore che si sente è il sangue che pulsa nelle mie orecchie. Sono nervoso, non riesco a dormire. Decido di fare una passeggiata sotto la luna. Mi avvio verso il vicino valico. Mi siedo su una roccia. La luna illumina la desolata distesa dandole un’aspetto ancor più terribile. “Mosè lo ha fatto” mi dico, ma io non ho la stessa protezione di Mosè da parte di Dio. Lui era destinato a fare quello che ha fatto. Era tutto scritto. Poi però penso anche  che Mosè, secondo la tradizione biblica ( Esodo), vagò proprio nel Badiat El Tih per 38 anni, fosse mai che si era perso anche lui, nonostante che  il suo "GPS" si chiamasse Javè?
Mi siedo sulla sabbia del valico appoggiato ad una roccia ancora tiepida con il viso rivolto verso El Thi e la luna alta su di me. Mille pensieri passano nella mia mente. Comunque nessuno rassicurante. Pian piano mi addormento in quella posizione. Mi sveglio con il vento che mi acceca. Turbini di polvere non mi fanno respirare. Non ho neppure la kefja per coprirmi la bocca e mi ricordo che i Djin attendono queste occasioni per penetrare attraverso i polmoni nella mente degli uomini. Inutilmente porto la mano per ripararmi dalla polvere. Il vento urla sulla piana e respiro sempre più a fatica. Mi accuccio a terra con la schiena rivolta al vento mentre la sabbia mi ricopre. L’affanno mi da la sensazione di soffocare ed l’urlo del vento mi riempie le orecchie. Infine l’ultimo sospiro, proprio prima di soffocare, mi fa svegliare. Era tutto un sogno. Un sogno, ma terribilmente vero. Ancora ho nelle orecchie il vento e nei polmoni la sabbia. L’affanno ancora accelera il mio cuore.

Ma tutto intorno a me è silenzio, ancor più angosciante della tempesta immaginaria. Non guardo l’orologio, ma credo siano passati solo pochi minuti. L’ombra della parete ha solo fatto pochi passi sul terreno. Non credo di poter più tentare di addormentarmi in quel posto. Devo tornare nella tenda. E se i Djiin si fossero impossessati di me nella notte? Se mi sono addormentato  in un kambaltou , di proprietà dei Djiin? Entro nella tenda credendo di avere una misera protezione da quel telo impalpabile. Come può un esile telo proteggere da quello che è dentro di noi? Ricordo quando feci un altro sogno prima di partire per l’hammada Rbat. Quel sogno si dimostrò poi una premonizione. Lo sarà anche questo? Un dormiveglia continuo mi fa arrivare fino alle rassicuranti luci dell’alba. Faccio tutte le operazioni necessarie per essere pronto prima del sorgere del sole e mi avvio verso il valico. Scendo nell’ondulato terreno seguendo le tracce di ieri sera, cercando di distrarmi ed estranearmi dall’ambiente circostante, ma la cosa dapprima mi riesce difficile, poi diventa impossibile. Non posso continuare a queste condizioni. Forse il deserto mi ha parlato in sogno consigliandomi di rinunciare.

 Ancora non sono pronto per El Thi. Questo luogo ancora mi è precluso. Forse non lo sarà in futuro. Devo ancora capire tante cose dentro di me e del deserto. Non posso andare ad El Thi con la paura nell’animo. Non posso andare perché la paura potrebbe innescare una sfida per sconfiggerla, una sfida tutta occidentale che qui nessuno potrebbe capire, tanto meno lo sfidato, il DESERTO.
Una foschia densa si para tra me e l’orizzonte precludendomi la vista dell’itinerario. E’ normale. La scarsa umidità della notte, con il calore del primo sole si innalza e si espande e diviene, con l’espansione, ancora più densa. Tra qualche decina di minuti tutto diverrà trasparente, fino a quando il sole distruggerà le ombre attenuando la profondità del paesaggio. Guardo verso ovest, ma lo sguardo si ferma al di la delle prime dune. Tutto è estraneo a me stesso. Questo ambiente mi respinge, un’occhio nemico mi guarda. Ho bisogno dell’Amsa. Alzo la mano aperta verso il mio immaginario itinerario. L’amuleto non sortisce effetto. Ancora una personificazione impalpabile e invisibile delle sabbie e del vento mi parla  della mia incapacità a comprendere …… comprendere cosa? Ma che necessità c’è di comprendere? Forse sulla Alpi, i rocciatori si chiedono queste cose? Eppure vanno, salgono, arrampicano, sciano. Perché io ho bisogno di “comprendere?”.

Perché io ho bisogno di sentirmi una cosa unica con l’ambiente in cui mi muovo? Qualche anno fa non ero così. Tutto è cominciato quando ho iniziato a muovermi in queste lande abbandonate. O forse avevo in embrione queste necessità che sono poi divenute essenziali quando ho dovuto combattere contro le mie debolezze. O forse è perché qui la natura è talmente preponderante rispetto alla fragilità umana che abbiamo bisogno di sentirci succubi del vento e del sole. Abbiamo bisogno di dimostrare loro che siamo loro schiavi, con la speranza che ci permettano di  vagare nel deserto.

 Ho la necessità di dimostrare che non sono loro nemico, che sono solo un grano di sabbia spostato dal vento secondo il suo volere. Penso che devo andare avanti, che devo vincere la paura, che devo domare il deserto, che devo far vedere al caldo che il suo artiglio non mi piegherà. Ma subito mi pento di questi pensieri. Faccio finta di non averli mai neppure immaginati, sperando che il deserto non si sia accorto che erano affiorati nella mia mente. Però li ho pensati e fors’anche li ho addirittura pronunciati a voce alta, senza accorgermene. E’ un bel guaio!
Ho poca scelta. Se li ho pronunciati non posso più andare avanti. Avanti…per dove? 250 Km di nulla, sono troppi per me.

Tre, quattro giorni per arrivare al di la. Se il terreno è morbido forse potrebbero non bastare. Non sono ancora pronto a tanto. Sono sicuro di farcela, altrimenti non tenterei. Ma ora posso farcela solo sfidando il deserto e me stesso, quindi è ora di tornare indietro. Nessuna sfida qui può essere accettata. Non è una scusa per tornare indietro, è un’obbligo ed una necessità. E’ un gesto di riguardo verso il deserto che diventa sempre più un uomo che cammina con me, che mi indica la strada e mi dice come comportarmi. Mi tranquillizza durante la notte, mi protegge dai vortici, mi tiene compagnia durante il giorno. Mi fermo sulla cima di una piccola duna. Non c’è più foschia. L’orizzonte si spalanca fino alla fine del mondo…..ed oltre. Un senso di smarrimento penetra nel mio cuore.
Volto le spalle ed il sole mi abbaglia la vista. Vado verso il sole, torno a casa. Sono felice. Sento che è la cosa più giusta. Avrò uno scopo l’anno prossimo. Tenterò ancora e se non sarà il momento tornerò ancora ed ancora. Può darsi che non traverserò mai El Tih. Forse arriverò solo un metro più avanti rispetto al punto in cui sono oggi tornato indietro, un solo metro, ma potrebbe essere lungo tutta una vita.

PS: Al ritorno, vicino alla costa, mentre pedalo sulla strada asfaltata il mio pensiero ritorna ai momenti trascorsi in compagnia di El Tih. Devo decidere dentro di me se sono fuggito o se ho semplicemente ascoltato la voce del deserto che mi intimava di fermarmi. Sul momento non ho avuto risposta, ma poi, qualche giorno dopo,sdraiato sotto un ombrellone sulla scogliera corallina di Charm, la risposta è emersa come i sub che nuotano davanti a me.  Bollicine d'aria preannunciano la loro presenza, poi essi affiorano in superficie. Così le bollicine dei miei pensieri  preannunciano il sommozzatore della mia anima che emerge solo perchè, forse, ha finito l'aria della sua bombola. Ora sono certo, ho avuto paura, ma ancora non mi spiego di cosa ho avuto paura ed ancora oggi non trovo una ragione. Non credo di aver avuto paura del deserto, della solitudine, della notte. Forse ho semplicemente avuto paura di me stesso, di dovermi confrontare con il mio inconscio, nel silenzio assoluto di El Tih, nelle notti stellate, nel vento rovente della piana infernale. Ho avuto paura...e non me ne vergogno, dopo tutto come si può non aver paura di una tigre quando non si è un domatore? O forse, in fondo, non si è tattato di paura, ma di rispetto. Rispetto per la natura.....e per se stessi.

"Sono felice di essere un camminatore sconosciuto, giacchè questo mette fine ad ogni sfida".
Rabindranath Tagore

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