domenica 10 febbraio 2013

AMARCORD...DUE DISCESE "GEMELLE" AL CANALONE MAIORI

 "A volte il coraggio e la paura giocano a nascondino tra di loro e non sai quale dei due ti guida".

Nella vita capita di fare qualche cosa che, riveduta  a distanza di tempo, ti appare senza senso. Pur tentando di capire la tua azione, non si trova una spiegazione apparente. Ci sarà sicuramente una ragione in ciò che hai fatto , forse ti ha spinto a farlo il folletto che alberga in te. Allora smetto di chiedermelo...sai che noia nella vita se non ci fosse quel folletto.


                            Il canalone Maiori in inverno
 Dopo tanti racconti "roventi", riposo i lettori con un " fresco" episodio che mi è tornato in mente parlando qualche giorno fa di neve, sci e valanghe. Non so perché fosse nascosto in un’oscuro meandro della mia memoria. Come già ho detto nei post precedenti, oggi non posso più sciare perché le mie ginocchia non mi danno più sicurezza fuoripista su pendii ripidi e quindi ho deciso di smettere totalmente, non potrei sopportare di sciare solamente  sulle piste. Comunque, ogni anno, prendo due voltaren e quando la neve è buona, scendo  a m. Calvo,   a m. S.Franco,  al canalone Maiori  o   al Camicia,  come pellegrinaggi che si fanno ai santuari e che senza dolore non hanno ragione di essere.
                          Il canalone Maiori all'inzio dell'estate
Un giorno, io e Enrico decidemmo di scendere nel canalone Maiori, come ogni anno.  Enrico è il mio amico morto d’infarto una decina d’anni fa mentre pedalava sulla sua bici e di cui ho parlato nel blog.
IL MIO AMICO ENRICO
 
Con lui avevo fatto molte discese sulle nostre montagne, sulle alpi, vari canaloni del m.Rosa, ed un terribile, affascinante e memorabile canalone sulla piramide Vincent sopra Alagna. 


              Cima del Sirente nel 1970 ( notare i cortissimi sci che mi portavo sempre)

Lasciammo una macchina ai prati del Sirente e andammo con l’altra macchina alla valle d’Arano, ad Ovindoli, così da fare la traversata. Arrivammo alla cima ed Enrico scese sulla sella e si gettò nel canalone. Io avevo visto nelle salite precedenti, un canale molto ripido che , partendo dalla cima, confluiva nel canalone. Rassicurai Enrico e gli dissi di attendermi allo sbocco. Enrico era un eccellente sciatore ed in pochi minuti, intanto che io mi preparavo, raggiunse il canalone e, con curve perfette, iniziò a scendere dalla sella. Data la pendenza del canalino, non potevo vedere più in la della sottile crestina che mi apprestavo a percorrere e che credevo che poi si stemperasse nel ripido pendio del canalino.
                         Il canale che dovevo scendere
Mi misi gli sci e cautamente, scivolando e frenando, con gli sci a cavalcioni  della cresta, mi avviai. Ora la cresta impennava e non si vedeva al disotto. Non potevo più procedere  a cavalcioni e mi misi di traverso alla crestina con gli sci  uniti  che poggiavano solo in un punto al disotto del  punto di equilibrio del mio corpo. La punta e la coda degli sci sporgevano nel vuoto. La cresta ora precipitava letteralmente nell’abisso e sia e destra che a sinistra, non si vedeva altro che la vertigine, essendo la parete che la sorreggeva perfettamente verticale. Da queste pareti sporgevano rocce taglienti che davano ancor più l’impressione della verticalità.  Sicuramente avevo sbagliato canale. Lo avevo visto qualche mese prima in una precedente salita e forse dal canalone  la prospettiva mi aveva ingannato.  Avevo stimato al massimo una pendenza di 45 gradi al massimo ( la direttissima  di Corno Grande è 25 gradi e forse 30 in  pochi punti), pendenza che ero perfettamente in grado di scendere. Ora però mi trovavo bloccato.
                                     La Nord del Sirente in Inverno
Davanti a me la cresta precipitava nel vuoto come un trampolino di una piscina, a dx e sn c’erano due pareti verticali. Io ero su una sottile lama di neve e non potevo risalire perché, salendo, la neve non perfettamente solida, non avrebbe retto il mio peso. In effetti provai a risalire, ma subito dovetti rinunciare. Il problema era che non potevo togliermi gli sci perché ero in equilibrio instabile. Per la prima volta nella mia vita ero in una strada senza uscita…e mi ci ero andato ad infilare come un pesce in una nassa.  Attesi qualche secondo ma che mi sembrarono ore. Se non avessi visto Enrico che faceva solo qualche curva, avrei giurato che fossero delle ore. Enrico era minuscolo, laggiù, al sicuro. Lo invidiai……ma ora ero li e dovevo comunque uscire da quella trappola. Il cuore mi batteva furiosamente sia per l’ansia del momento, sia per la coscienza della mia stupidità.  Ma non serviva a nulla….mi forzai di calmare i  nervi, attesi un po. I muscoli delle gambe mi facevano male perché la posizione era precaria e richiedeva miracoli di equlibrio semplicemente per non precipitare.
        Il canale che ho disceso, in estate e di fronte, la sella e l'imbocco  del canalone Maiori

Non potevo neppure attendere , i muscoli non mi avrebbero retto per ancora molto tempo.  Feci dei profondi respiri e  riuscii a riportare il cuore a frequenze accettabili. Ora che ero più calmo dovevo valutare la situazione in maniera oggettiva. L’unica via di uscita era alla destra della cresta. La parete sembrava non essere completamente verticale. Con un movimento degli sci feci precipitare un po di neve e riuscii a valutarne la pendenza. Doveva essere sui 65/70 gradi, ma era indifferente valutarla perchè, comunque non era sciabile. Nessuno sci avrebbe retto quella pendenza. Mi venne in mente un documentario sullo sci estremo in cui Pierre Tardivel ( ricordo ancora il nome , forse si potrebbe trovare su youtube…), aveva superato la pendenza di 60 gradi che era considerato il limite estremo. La linea verticale finiva, dopo una 50ina di metri,su un roccione e poi il canalone, meno ripido ( 50 gradi?) si sviluppava tra due muri di rocce per circa 200 m fin dentro al canalone Maiori, che da quassù sembrava piatto. Laggiù mi attendeva Enrico che , esperto di sci, si era reso conto perfettamente della situazione e, per sdrammatizzare la situazione , mi incoraggiava gridandomi e dandomi del pauroso e dicendomi che lui già sarebbe stato giù. 

Dovevo decidermi. L’unica strategia era quella di lanciarsi praticamente nel vuoto sulla massima pendenza superando senza poter agire in nessun modo la zona di 65/70 gradi e, quando avessi raggiunto il punto di circa 50 gradi, piantare le lamine e tentare di fare una curva che mi permettesse di evirate a roccia che sbarrava la linea di massima pendenza. Una volta evitata la roccia il più era fatto e avrei potuto anche cadere, tanto  sarebbe risolto in una scivolata che pensavo di poter controllare specialmente una volta arrivato al canalone. Mi sarei trovato infatti nel punto in cui il canalone riduce la sua pendenza e quindi mi sarei fermato, con un po di fortuna e di esperienza. Detto così sembrava facile, ma per lasciare il punto in cui ero saldamente ancorato a terra ci volle un forza di persuasione immane.  Stavo per lanciarmi, poi rinunciavo.  Mi domandavo se potessi rimanere li fintanto che fossero giunti dei soccorsi. Ma mi rendevo conto che l’unico soccorso reale poteva venirmi solo da un elicottero. Se avessi avuto una corda….forse…ma dove avrei potuto ancorarla? Era inutile…Dovevo lanciarmi. Ora lo faccio, ma quando ero sul punto di dare lo stacco, una vertigine passava tra i miei occhi: era adrenalina pura, troppa, non andava bene, poteva danneggiare la mia mente che doveva essere lucida e reattiva.  Poi pensai che era solo un decimo di secondo, una volta in aria potevo solo scendere, dovevo solo farlo…e al più presto. Attesi che arrivasse l’ennesima vertigine e mi lanciai. Ora ero nel vuoto, mi sembrò di volare per ore. Gli sci non toccavano nulla. Dovevo superare una zona alta come un palazzo di 20 piani.

 Quando mi resi conto che gli sci toccavano qualcosa tentai di accennare una curva, ma la roccia si avvicinava inesorabilmente. Era questione di frazioni di secondo. Ora però ero tranquillo, potevo agire, non ero prigioniero della mia paura. Ora ero libero e avevo l’agilità di una gazzella. Pensai che se volevo avrei potuto tentare di saltare la roccia, ma in quel momento sentii la neve aderire alla soletta degli sci. Dalla posizione accucciata, detti un colpo di gambe e piantai gli sci a terra. Le lamine mordettero e fui lanciato a destra di quel tanto da evitare la roccia.  Sentivo Enrico urlare, ma ormai ero su pendii ripidissimi, ma umani. Feci delle curve saltate e mi ritrovai abbracciato ad Enrico che mi baciava come alla sua più cara amante. Da lassù il canalone era pauroso, ma da quaggiù era terrificante. Ero sudato fino al midollo e le gambe mi tremavano per lo sforzo, ma ormai ero sul “piatto” canalone  Maiori. Sapete come andò a finire? Enrico, al momento di entrare in macchina,  mi confessò candidamente che aveva lasciato le chiavi sul cruscotto della mia macchina al vallone d’Arano. Dopo lauta libagione e un buon bicchiere consolatorio, imprecando contro Enrico, mi avvia di corsa a riprendere le chiavi e tornai giù con  mia  macchina……

"Quando hai paura di qualcosa cerca di prenderne le misure...e ti accorgerai che è poca cosa". Luciano De crescenzo

Dopo l'avventurosa discesa del canalino credete che la cosa sia finita li? Intanto Enrico era morto e mi ricordai dell’ultima discesa che avevamo fatta insieme. Ripensando mi ritornò alla mente il canalino che rappresentava un momento particolare. Esso era la materializzazione della mia paura più incontrollabile. Dovevo andare di nuovo lassù….non capite male, il canalino non c’entrava nulla, il problema era che dovevo superare la mia paura.

                    Il canale dalla cima che poi confluisce nel Maiori in estate
Non potevo permettere che la paura andasse camminando indisturbata nella mia mente. Non era una sfida alla montagna, era una battaglia per sconfiggere un fantasma che poteva sempre ripresentarsi, in futuro. Ero sicuro che ormai fosse sepolto, ma un germe di handal  rimane latente in animazione sospesa anche per 4000 anni e poi, quando le condizioni adatte si presentano,può sbocciare in tutta la sua potenza. Così il mio seme era sepolto nella terra della mia mente e poteva sbocciare di nuovo quando meno me lo aspettavo. Come si dice, quando si cade da cavallo bisogna montare di nuovo…e subito. Un giorno di maggio, dopo un periodo di tempo buono, quando in quota il giorno la neve si scioglie e la notte rigela formano uno strato compatto e resistente, magnifico per lo sci, partii per sconfiggere la mia paura. Partii in una bellissima giornata di sole e fermai la macchina allo chalet bruciato, all’inizio del sentiero che va al canalone Maiori. Partii con la netta volontà di scendere nel canalino, ma man mano che salivo, cercavo una scusa per evitare tale confronto. La mia paura tentava di impadronirsi di nuovo della mia mente . La sentivo ridere alle mie spalle, mi scherniva della mia debolezza. Cercavo di distrarre le orecchie per non udire le sue risa, ma tutto non veniva dall’esterno, ma da dentro, come acufeni fastidiosi. Presto arrivai alla parte centrale del canalone ed alzai gli occhi.


                             Da qui sono stato "costretto" ( !) a scendere

Eccoli li, come un monumento verticale alla paura, bellissimo da guardare, ma terrificante al solo pensiero di discenderlo. Ma ora c’era una novità, un punto debole nel canalino, che mi dava sicurezza e certezza. La neve era in maggior quantità e non c’era la roccia nel centro del canalino. La neve più abbondante aveva coperto la roccia, ma in compenso aveva accentuato maggiormente la pendenza all’inizio del canalino. Ma cosa mi interessava? 65/70/75 gradi che differenza facevano? Comunque la prima parte era sempre una vera e propria caduta, non era sciabile….e li era tutto il problema da risolvere, più in basso era solo una sciata da sci estremo, neppure tanto pericolosa visto che una eventuale caduta si poteva risolvere in una lunga scivolata. Bastava solo assecondarla. Comunque una caduta sarebbe stata pericolosa per il fatto che gli attacchi erano stretti al massimo. Non si poteva correre il rischio che si aprissero al momento meno opportuno. Quindi non si sarebbero aperti MAI. Man mano che salivo lasciavo alle mie spalle il canalino che ora vedevo come un nemico che poteva assalirti da dietro. Mi voltai e vidi l’esile cresta, affilata come la lama di un coltello che fendeva il blu del cielo. Li dovevo passare. Tentai di trovare una strada più umana, ma l’unica possibile era fare un tragitto in diagonale che poi finiva su pendenze troppo accentuate perché le lamine potessero reggere. Non c’era scelta. Non vedevo l’ora di essere in cima e contestualmente non volevo essere li. Come al solito i due esseri che albergano in me combattevano tra di loro.

Chissà oggi chi avrebbe vinto….Salii alla sella. Sulle guide è riportato che questo punto è ripido…...ripido? Mi potrei limitare a scendere la sella? Ma andiamo ! “ Non trovare alternative!”….accelerai e arrivai ben presto alla cima. Non dovevo perdere tempo, non dovevo parlare con i due escursionisti incontrati alla cima, dovevo comunque attendere che partissero e si allontanassero. Meno male che si avviarono dopo pochi minuti lungo la cresta che scende a  Rovere. Non mi piaceva l’idea che fossero spettatori della mia rappresentazione. Avrebbero potuto alterare il mio rapporto con la situazione che per me era comunque sempre vicino al mio limite psico-tecnico. Sulla vetta non c’era neve quindi mi avvicinai al bordo e calzai gli sci. Questa volta sapevo perfettamente a cosa andavo incontro e lo facevo per mia scelta. Prima di partire davanti la mia mente scorreva come un film tutta la scena che stava per avvenire..e che non potevo e non volevo evitare.
Potevo ancora fermarmi, tornare indietro…ma ero salito per quello, non per scendere la millesima  volta nel canalone Maiori. Ero fermo prima che la crestina divenisse una lama affilata, potevo girare le spalle ed andarmene, scendere nel tranquillo canalone, fare curve divertenti, godere dello spettacolo affascinante delle pareti che lo scortano fino alla fine, laggiù nel bosco. Ma non lo feci…..sapevo dove e come dovevo scendere, si trattava solo di avere il coraggio di partire. Anche questa volta dovevo studiare un strategia, ma questa volta fu semplice.

                                           Scialpinista del 1969 ( notare gli sci lunghi 2.15 m)
Non dovevo scendere lentamente, con accortezza e fermarmi sulla cresta e poi gettarmi nel canalino. Dovevo partire e non fermarmi più. Che senso avrebbe avuto fermarmi? Dovevo ammirare la vertigine? Dovevo studiare il percorso? Dovevo trovare il coraggio venti metri più in basso, quando non avrei più potuto tornare indietro? Dovevo partire ed andare.  Qualche secondo dopo ero pronto, ma proprio nel momento in cui stavo girando gli sci per scendere, una vertigine offuscò la mia vista. L’adrenalina faceva il suo dovere, ma sapevo che in me andava ad ondate e, appena riacquistato il  controllo partii con un colpo di reni.  Tutto si sarebbe risolto in non più di 20/30 secondi, ma vi assicuro che il concetto di tempo è estremamente relativo, così come ci ha insegnato Einstein. Anni possono sembrare istanti ed istanti possono sembrare secoli. Ora ero sulla cresta e scendevo a tale velocità che ormai non avrei potuto più fermarmi,anche volendolo. Ero con gli sci paralleli  al filo di cresta e non avrei potuto metterli di traverso. I due sci si trovavano ai due lati del sottile filo, ma quando arrivai al punto di dovermi dirigere a dx, passai l’altro sci e feci pochi metri con tutti e due gli sci sul bordo del canale che aveva la forma di un grosso semitubo.
                            Nello stesso posto 35 anni dopo, con la barba ormai bianca....
Tale forma, unita alla velocità, faceva si che gli sci fossero attaccati alla neve anche se le leggi della gravità non lo avrebbero mai permesso. Come in un aereo che vola in una certa traiettoria c’è l’impressione di volare in assenza di gravità, così io sentivo la mia assenza di peso. Sapevo però che era questione di un istante, poi le leggi naturali avrebbero ripreso il sopravvento. Dovevo semplicemente sfruttare questo momento magico. E lo sfruttai. Riuscii a rimanere attaccato alla neve che aveva una pendenza impossibile per due o tre secondi, poi misi gli sci verso l’abisso e mi lascia cadere. Per un tempo indefinito ebbi la magnifica impressione di volare. Ora sentivo il cuore che aveva ripreso i suoi normali battiti.

Nessuna pendenza ci fermava ( 1974)
 Poi non c’erano rocce e non dovevo fare gesti inconsulti o curve pericolose. Quando gli sci ripresero l’attrito sentii che la favola era finita, che le mie ali avevano perso la portanza e non mi servivano più, ora avevo bisogno della gambe, ma quelle erano testate. La cosa strana è che quando si esce dal cielo, anche pendenze di 45 gradi della parte finale del canalino sembrano pianure ed il canalone Maiori sembrava una facile pista di una stazione sciistica, li dove imparano i bimbi. Non fu facile comunque controllare le prime curve, ma poi tutto finì, e mi fermai sotto il canalone con un’ultima curva che mi riportò in alto, vicino alla parete opposta del canalone.  Ero euforico, avrei risalito l’ultima parte del canalone ed avrei fatto di nuovo la discesa, ora mi sentivo immortale. Ma so perfettamente quanto può essere pericoloso questo momento. Ora ero deconcentrato, rilassato, non avevo più l’attenzione per controllare ogni singola fibra dei miei muscoli. Era finita…..Cosa significa tutto ciò? Me lo sono chiesto tante volte, ma mai ho trovato una risposta accettabile…Se voi avete una spiegazione...comunicatemela.

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