sabato 2 febbraio 2013

UNA GITA INTERLOCUTORIA TRA I MONTI DEL SINAI


"Ho già attraversato tante volte queste sabbie,” disse il cammelliere. “Ma il deserto è tanto grande, gli orizzonti rimangono cosi lontani da farti sentire piccolo e lasciarti senza parole." Paulo Coelho
                           La zona descritta nel post vista dall'aereo
              
Ogni tanto è bello prendersi "un giorno di ferie" e girovagare senza meta e senza attendersi nulla di imprevisto dalla propria gita. Allora la mente, liberatasi dalla propria introspezione, può finalmente guardarsi attorno. Quando non bisogna combattere contro le proprie debolezze, contro la sete, contro il caldo infernale che minano la nostra resistenza, gli occhi possono ammirare i monti, le piane, le valli.

Allora il deserto veramente diventa la nostra culla, il nostro "cinema all'aperto" che ci dona gli spettacoli più belli del mondo.
(Le fotografie sono state ricavate da un filmato per cui non sono molto nitide)

Il mattino sorge presto e presto mi preparo a partire. Quest’anno alloggio più a nord, quindi mi si aprono altri orizzonti, verso il gebel Queida, il wadi Ashawira e tutte le catene di monti a nord dell’aereoporto. Mi avvio sulla strada asfaltata passando un posto di blocco che non c’era mai stato in tanti anni.

Chissà perché !!! Mi salutano tutti da lontano mentre passo con la bici carica d’acqua. E’ appena mattino, ma già i soldati sono seduti davanti alla tenda su una sedia che ha tutta l’aria di essere il loro letto per tutta la giornata. Sono ancora sonnacchiosi e non sembrano preoccuparsi molto dei camion che passano sfrecciando davanti a loro. Pedalare sulla strada asfaltata per 15 km in salita, con il vento contro e con i camion che ti incrociano sfrecciando ed alzando polvere smeriglio è un tormento che mi fa presto rimpiangere le soffocanti piste del crogiolo di Hallah.

 Ma una prima sorpresa mi attende. Qualche km più avanti stanno raddoppiando la strada che ancora non è aperta al traffico. Ma è aperta a me! Ho una strada asfaltata in mezzo al deserto tutta per me. Mi sembra un sogno. Faccio 10 o 12 km poi mi accorgo di aver lasciato la kefia al distributore 15 km più a valle quando ho fatto rifornimento d’acqua. Porca miseria. La mia fida kefia che mi ha accompagnato per tutti questi anni in tutte le mie avventure in Africa !... E’ una fida amica e non posso lasciarla abbandonata sulla testa di qualche beduino. E’ necessario che tenti di ritrovarla, anche se non nutro alcuna speranza che qualcuno, trovandola, possa averla lasciata sulle bottiglie di acqua minerale. Faccio il tragitto all’indietro come un fulmine anche perché la strada è in discesa e piombo sul distributore. Due beduini tengono la kefia in mano ed appena mi vedono mi chiamano da lontano e mi rendono il fido pezzo di stoffa. Ringrazio con tutto il lessico arabo in mio possesso e dopo aver loro distribuito le gradite benedizioni, mi accingo a rifare i 15 km di salita.

Arrivo al passo e mi getto nell’interno del Sinai. Il caldo aumenta, il vento tira come una ventola impazzita, ma io sono preparato e non mi faccio sorprendere.

Piccoli granuli di silice rovente si alzano, mi urtano, mi ustionano, arrivo al villaggio dello uadi Mandar.

Non è qui la  mia meta. La mia meta è esplorare tutta la catena di monti che separano il villaggio dalla costa e se è possibile valicarli con la bici. Una pista mi fa ben sperare. Quantomeno mi fa salire in quota con ampi tornanti.

 Il caldo è feroce in salita. I monti fanno da paravento ed ora la calma piatta è più implacabile del vento senza cuore. Non so se rimpiangere l’alito infernale o fuggire da questa immobile aria che mi fa udire il battito del mio cuore e la pulsazione delle mie tempie mentre le mie orecchie producono un suono cupo all’unisono del battito del mio cuore.

La salita è senza fine, una curva, un’altra, poi il terreno sembra spianare, la strada è ora diritta ed in salita più leggera, ma quando  arrivo al punto che  credevo più alto, mi accorgo che ancora bisogna salire. Ora la pista è brecciosa, le ruote affondano, la fatica è improba.

Il rapporto più corto del cambio della bici è quasi impedalabile. La velocità è talmente bassa che è difficile persino rimanere in equilibrio. Un’ultimo tentativo di spingere il pedale in basso, un’ultimo scatto d’orgoglio, poi mi fermo con il cuore in tumulto ed il sudore che mi cola dalla fronte ed entra negli occhi.

Cammino con il sole di fronte a me. Ora la pista si fa flebile, non è più carrozzabile. Ora è un sentiero da capre, poi si perde tra i ciottoli neri del monte alla mia destra. E’ finito ogni riferimento. Ma sono alla sella.

Ora di fronte a me c’è un pianura  che non conosco, senza alcun punto per orientarsi. Ai lati i monti si innalzano al cielo come cattedrali. Preferisco procedere tra i ciottoli scuri piuttosto che tra la sabbia mista alla ghiaia inconsistente della valle.

 Nella mia direzione la valle, circa 5 o 6 km più avanti si biforca. Una valle continua alla mia sn ed una più angusta procede alla mia destra e non accenna a scendere, anzi sembra che salga ancora. Scure pareti la delimitano a destra e la loro verticalità fa intuire la prima ombra che si prepara a gettarsi nel deserto.

 La valle di sinistra è invitante. Larga, chiara, scende decisa e rassicurante. Troppo facile. Meglio scegliere la valle più cupa e perigliosa che ora mi fa scoprire scoscese trincee di roccia friabile. Ma proseguo. Nel deserto non sempre ciò che è più facile in apparenza, poi si rivela essere la scelta giusta. Basta un piccolo salto di 3 o 4 metri per bloccare un uomo che notoriamente non ha le ali. Tornare indietro è spesso faticoso.

 Fatta mia questa legge proseguo per la valle che mi sembra più difficile, cosicché non avrò sorprese. Non mi attendo cose facili, quindi sono psicologicamente preparato. Spingo la bici sui ciottoli micidiali della  mia strada. Non c’è sentiero. Terribili saliscendi della zona appena prospiciente alla parete stanno fiaccando le mie braccia. Mi fanno male i polsi. Poi compare un piccoli sentiero tra i sassi. All’inizio sembra solo che qualcuno abbia spostato qualche ciottolo., poi si fa più deciso mentre la ghiaia sta riconquistando terreno.

Ma il tempo corre, il sole non ferma il suo cammino e la notte avanza senza che io abbia ora la più piccola idea di dove mi trovo. L’unica cosa che so è che devo andare dalla parte opposta al sole. Devo cioè andare verso est, ma la valle corre verso nord senza che ci sia un accenno a valli laterali che mi permettano di procedere verso la costa.

Mi appresto a prepararmi ad una notte all’addiaccio senza alcuna attrezzatura. Ma so che non mi serve nulla per dormire con tutte le comodità e sicurezza nel deserto del Sinai. L’unica preoccupazione è che ho solo due litri d’acqua. Domani mattina se per le 8 o le 9 non sarò riuscito a trovare uno sbocco devo necessariamente tornare indietro e rifornirmi di acqua al villaggio Mandar.

 Mi ci vorranno solo 2 o 3 ore perché la strada è in discesa e quindi sono estremamente tranquillo. Tento di tornare indietro con la mente al tragitto percorso per fissare l’itinerario. Faccio una simulazione mentale della via che dovrò percorrere. Questi pensieri mi tengono impegnato in maniera tale che non mia accorgo che la valle fa un brusco angolo a destra.

Quando riemergo dalle mie elucubrazioni mi appare uno panorama da sogno. Km di discesa, una piana rosso vermiglio nella luce del tramonto mi abbaglia. A perdita d’occhio la pianura si perde nel mar Rosso e lontano si intravede la costa araba.

 L’isola di Tiran emerge appena dal mare nascosta dalla slanciata piramide del gebel Queida. Mi accorgo di tirare un sospiro di sollievo, mentre nel mio animo, in alcune recondite profondità della mia contorta mente, uno stizzo di delusione si affaccia prepotente.

 Delusione perché troppo facilmente si è concluso oggi il mio girovagare tra i monti del Sinai. Delusione perché nessuna difficoltà imprevista ha arrestato la mia marcia….ma non sapevo, non avrei mai potuto immaginare che solo il giorno dopo….

Mi getto a capofitto nella valle che si allarga verso il mare, distante 30 km, una piana immensa, magnifica, meravigliosa, delimitata a sud dalla catena del gebel Wair e a ovest dai monti lontani del gebel Sahara.

La bicicletta corre senza fatica verso la notte, mentre a ovest il sole ormai è tramontato con un’ultimo guizzo. Corro verso il mare, ma la mia anima rimane tra i monti, tra le pareti incombenti, nelle valli infuocate.

Devo forzare la mia volontà per tornare. Il terreno di sabbia dura e con ciottoli fissi fanno correre la mia bici, non devo neppure pedalare. Mi fermo e mi volto, il sole confonde il paesaggio e la mente.........

 La mia mente, ad ogni tramonto assorbe gli ultimi raggi vermigli, e trasmette al mio corpo un’assoluta sensazione di tranquillità. Le mie orecchie tormentate per tutto il giorno dal fischio del vento ora si perdono nel silenzio assoluto calato improvvisamente tra le piane ed i monti.  MI sembra di viaggiare sospeso su una nube……
Laggiù, alla fine del mondo, mi aspetta il villaggio turistico, la musica, la piscina, la cena.....l’acqua…………….
La notte mi alzo, mi affaccio al balcone, aspiro ed annuso la brezza  del deserto. Mi porta notizie della sabbia, degli scorpioni, dei serpenti, dei miseri resti dei fiori, delle caprette, dei massi che rotolano di notte dai ripidi monti. Nella sua musica riconosco la voce del deserto, mi chiama e non posso dormire stretto tra quattro pareti ermeticamente chiuse per tenere fuori il caldo secco del deserto. Rientro, ma sono nervoso, non trovo alcun modo per tranquillizzarmi, non c’è una posizione nel fresco letto che mi dia riposo. Quando finalmente lo scorpione si avvia al tramonto è il momento di partire. A queste latitudini e nel deserto l’alba è immediata, così come immediato è il  crepuscolo. So che tra un’ora sarà giorno....e non potevo sapere cosa mi avrebbe riservato il destino per il giorno che stava per nascere... 

2 commenti:

  1. E adesso? Sono le 23,30, aspetto il seguito del racconto o vado a letto?
    Scherzi da ... prete!

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  2. ciao caro Leo
    per ora riposati e preparati a leggere come il destino decide della vita degli uomini. Scriverò un bel detto del popolo nomade come introduzione al post....è proprio bello, a mio avviso
    ciao

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