lunedì 9 luglio 2012

LA CAROVANA DI OVERLAND, UN INCONTRO INASPETTATO


Dietro a un miraggio c'e' sempre un miraggio da considerare, come del resto alla fine di un viaggio c'e' sempre un viaggio da ricominciare.
(Viaggi & Miraggi di F.De Gregori)

(Le foto relative al racconto sono di repertorio.Si riferiscono esattamente ai luoghi descritti, ma non sono state scattate quel giorno a causa delle condizioni atmosferiche che portavano particelle di polvere estremamente lesive per gli obiettivi. Del resto percorrevo un tragitto che avevo percorso decine di volte, quindi per me senza importanza).

Camminare , arrivare, fermarsi, tornare, ripartire, pedalare, camminare ancora e ancora…..che senso ha? Cosa può darti il cammino che non puoi trovare da fermo? Perché devo venire qui? Cosa cerco che non posso trovare a casa mia? Sono queste le cose a cui non saprò mai dare una risposta, eppure ho pensato molto a questo problema. Alcune volte ho l’impressione che un barlume si accenda nella mia mente, ma subito si affievolisce e scompare. 
Però ad una conclusione sono giunto: nel Sinai c’è qualcosa che non c’è in altri posti. Ora il Sinai è l’unico posto che mi mette a mio agio. Non è un’agio solo psicologico. La solitudine l’ho provata  sull’immenso Atlante, nell’Hammada Rbat, nel grande Erg, ma non è il Sinai. Molte culture, anche quelle africane, considerano il Sinai come un luogo particolare, dove lo spirito si mostra, dove il divino cammina con te, dove sono nati i profeti. Sin è la divinità lunare dei mesopotami e degli antichi egizi e questo sterile ed inospitale deserto porta il suo nome.
                   ( Il re Ur Nammun con il dio Sin)
Oggi tira tanto vento, più del solito. Grani di sabbia confondono la vista e urtando il corpo danno la sensazione di essere in un autolavaggio con le spazzole rotanti, solo che a posto delle spazzole ci sono macchine levigatrici con carta vetrata. Da lontano, sotto i monti, violenti tornado si innalzano al cielo, trascinando sabbia ed orrende buste di plastica. Roteano violenti. Tutto travolgono. Chissà come saranno da vicino.

Mi avvio verso paesaggi familiari, in un pomeriggio torrido e confuso, in cui tutto consiglia di star ben rintanati in una camera rinfrescata da un climatizzatore. La bici arranca faticosamente nella strada asfaltata che porta verso il villaggio beduino, avamposto del deserto. Già qui il vento chiede la sua gabella. Una mano invincibile mi fa sbandare, quando arriva di lato,e mi impedisce la progressione quando decide di fermare il mio tentennante pedalare. Torno indietro? Sarebbe facile abbandonare. E’ sempre facile abbandonare. Arrivo al villaggio.

Un violento tornado si aggira tra le case sollevando l’immondizia che sempre staziona . Una torre fetida avanza tra le case, ancor più insozza ogni cosa. Si dirige verso di me, poi devia. Colpisce in pieno  un lurido bar e  solleva come un fuscello un  frigorifero posto all’esterno ed innalza al cielo decine di bottiglie vuote. Numerose capre che si  aggiravano tra le case ora si stringono impaurite tra di loro, cercando nel gruppo la sicurezza.  Tutto si muove orrendamente, poi vola a nord, verso la montagna a ridosso delle ultime case e scompare al di la.
Mi affaccio verso la piana. Tutto sembra calmo, solo un vento teso tradisce ancora il passaggio della tempesta. Un suono lugubre pervade tutto il paesaggio, il sole sembra meno implacabile,  soffuso com’è dalla polvere sollevata dal vento.
All’orizzonte altri tornado si innalzano altissimi. Vedo la violenta rotazione, sento il rumore che assomiglia ad un trattore gigantesco. Un brivido di paura mi coglie, ho la medesima sensazione di quando, in montagna, bisogna affrontare la bufera,  con la nebbia che offusca la vista e nasconde un pericoloso percorso. Un’indefinibile senso di smarrimento mi pervade, poi mi fermo e mi siedo sulle prime rocce del deserto, al di la delle linee elettriche.

 Passano i minuti mentre da lontano si succedono i tornado che lasciano sul terreno una scia di devastazione. Sarebbe come affrontare una belva. Salgo sulla bici e pedalo…..verso di essa.
Scendo nello uadi, la piana accoglie lentamente la mia paura.
Devo passare verso il punto dove decine di tornado sorgono senza alcun avviso e senza alcuna ragione, come creati dal nulla, sotto un cielo sereno.
Lascio il centro e mi sposto verso sinistra, sperando di trovare un passaggio al sicuro da tanta furia.  Poi, vicino ad un pozzo secco, mi fermo e mi siedo sul muro.
 Potrei tornare indietro dentro una valle che conosco benissimo, al riparo dal vento. Il suono orrido si fa più vicino, forse al di la di una roccia sta passando un mostro, che io non posso vedere da qui. Alcuni km da me, nella piana, c’è un moscerino che avanza lentissimo. Nella foschia non riesco a distinguere, poi riconosco l’incedere di un cammello carico. Io sto qui per “sport”, loro ci vivono. E’ la seconda volta, oggi, che ho dubbi sul deserto, ma ora non è più tempo. Lascio il bordo dello uadi e mi dirigo al centro.

 Il vento ora scatena la sua furia. Non c’è molta sabbia nello uadi, che è principalmente breccioso. Devo vestirmi perché sarebbe un suicidio farsi spellare vivo dal pulviscolo abrasivo trasportato dal vento. L’aria è rovente, sembra provenire dal più profondo dell’inferno. La temperatura è sui 53 gradi, ma le particelle di sabbia alzate dal vento sono ustionanti, raggiungono i 75 e più gradi.

Mi avvolgo la kefia in modo che sul viso non ci sia nessuna possibilità agli invadenti grani di sabba di passare e mi avvio mestamente contro vento pedalando ad una velocità infima, praticamente al limite dell’equilibrio.
Mi do una meta, tanto per avere qualcosa da raggiungere: il villaggio dello uadi Mandar. Lì c’è il mio amico del sedicente bar e tutto il villaggio mi conosce. Nella peggiore delle ipotesi potrei fermarmi li e tornare domani.
Certo però è che per arrivare al villaggio devo superare una zona piatta ed aperta ai venti di nord est. Non è un tragitto lungo ne difficile, ma devo procedere contro le forze dell’Ade che sembrano coalizzate per impedire a chicchessia di muoversi in questa parte di deserto. Come immaginavo, appena supero una catena di monti il vento fa sentire tutta  la sua  ira,  mentre  due  tornado  urlanti  tentano di circondarmi  da  destra  e  da  sinistra.
Stranamente non ho più timore, so che non possono farmi del male. Un nuovo, piccolo vortice mi accarezza, sembra un cucciolo, inoffensivo, mentre i loro genitori ruggiscono feroci a guardia del loro figliolo. Non è vento che rotea, non è sabbia che si muove vorticosamente. Qui i tornado non esistono. Qui sono i Djin, maligni spiriti del deserto che fanno sentire la loro presenza, che vengono a controllare, ogni tanto, chi percorre il loro territorio e cercano di impossessarsi delle menti degli uomini entrando attraverso gli occhi e la bocca. 
Si avvicinano, mi annusano, borbottano, urlano per intimorirmi, poi mi fanno passare. Non posso più aver paura. Ho alzato al cielo l’hamsa, la mia mano aperta. Essa protegge dai Djinn, dalla malasorte. In ogni posto del deserto e delle città c’è una mano stilizzata che protegge dai malefici degli spiriti Il vento però non cede. Perfettamente davanti al mio naso, spira inesorabile. Un’ultimo tornado fa alzare una nuvola di polvere che si dirige dritta lungo la pista.
                      (In fondo alla pista il villaggio di Mandar)
Ho gli occhi lacrimosi nonostante gli occhiali, la mia vista è insicura, ma questa volta il tornado non accenna a cambiare direzione. Visto che lui non cede il passo, dovrò farlo io. Mi fermo e mi accingo ad uscire dalla pista e ad allontanarmi. Nel turbine intravvedo qualcosa di arancione. Mi pulisco gli occhi e nella tempesta appare un camion enorme, appunto arancione, poi un altro, un altro ed una un altro ancora. E’ la carovana di Overland che sta percorrendo i deserti d’Africa. Grandi  sbracciate, grandi saluti, ma non mi fermo. Mi allontano subito, mentre gli enormi camion alzano di nuovo una nuvola di polvere che presto li nasconde e  li confonde con la tempesta.
Dopo poco tempo, raggiunto il villaggio di Mandar ,mentre mi accingevo ad attraversare la strada che porta a S.Caterina, ho fotografato il piccolo camion di servizio che chiude la carovana di Overland e che era rimasto indietro.
PS:  Chi ha visto la puntata di Overland che descrive il tragitto dal Sinai del Nord fino a Charm El Sheick ricorderà che Beppe Tenti racconta che quel giorno, poco prima dell’arrivo a Charm,  il vento torrido ed il caldo micidiale non permise ai condizionatori, seppur molto efficienti,  di raffreddare adeguatamente le cabine dei camion per cui i passeggeri soffrirono pesantemente di queste infernali condizioni. Inoltre la polvere rovente si insinuava in ogni pertugio. Quando vidi la puntata ebbi un  sussulto di orgoglio. Chissà, forse  non mi ero reso conto di cosa avevo fatto traversando questa piccola parte di deserto in queste infernali condizioni. Mah !…non mi erano sembrate tanto infernali, dopotutto. Non sarà mai che sto finalmente adattandomi e che la mia testa sta iniziando a pensare come la mente del deserto?

"Ho osservato la carovana attraversare il deserto," disse infine. "La carovana e il deserto parlano la stessa lingua, e perciò lui le consente di attraversarlo."   Paulo Coelho



2 commenti:

  1. Mi viene in mente un racconto di Ray Bradbury che si intitolava "Il Vento"...Credo abbia uguale intensità seppur diversa è la storia.Tu che lo conosci dimmi se è vero che nel vento ci sono le voci di chi muore...e che parlano solo a chi le sa ascoltare!!!Per me invece , figlio del "vento meccanico" della tecnologia...occidentale,il vento è solo un amico a cui affidare pensieri e sogni.Più grande sono i sogni più forte è il vento,per questo salgo su in montagna quando devo urlare alla vita che voglio indietro quel che mi ha promesso e non mantenuto...ma questa e tutt'altra storia.Ciao Pà...grazie per questo altro bel capitolo. Carlo.

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  2. Nella vita dei nomadi, i piccoli vortici del deserto sono i djiinn, spiriti del deserto che entrano nella mente degli uomini attraverso il naso, servendosi del vento. Durante i lunghi giorni di solitudine,una volta impossessatosi della mente, fanno vedere e sentire le voci di chi si ama, di chi si odia o di chi si teme,di che abbiamo perso, procurando incubi notturni e visioni diurne. "Creammo l'uomo dall'argilla secca e fango. E prima creammo i Djinn dalla fiamma di un fuoco senza fumo".(Corano). Noi, protetti dalle sicure gabbie del nostro mondo, ridiamo di queste cose, ma sfido chiunque a riderne dopo tre giorni di cammino, da solo, lontano da ogni altro essere umano, durante le lunghe notti sotto le stelle, qunando il vento insinuandosi tra le rocce o scorrendo sopra le interminabili distese di sabbia, porta suoni che alle nostre orecchie si tramutano in lamenti, galoppi,risa,vibrazioni irreali, pianti, scoppi, calpestii. Si ode acqua che scorre, le voci di chi vorresti che fosse con te in quel momento e tutto ciò che la tua mente agogna. MI hai però dato uno spunto. Più in la farò un racconto sul vento, che non è aria che si muove, ma un essere reale che ha una sua individualità, una sua essenza. Esso porta notizie di ogni cosa accade attorno a te per centinaia di km, Tutto è scritto nelle sue vibrazioni. Dobbiamo solo imparare ad interpretare la sua voce. "All'ombra del vento.." mi sembra un buon titolo. Ciao

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