martedì 3 aprile 2012

OMAR

A questo punto mi resi perfettamente conto che il deserto non era una palestra o una pista di atletica dove sfoggiare le proprie prestazioni. Non era neppure la montagna in cui era sufficiente seguire qualche buon corso di escursionismo o di roccia per avere una certa sicurezza su quel terreno. Il deserto mi si presentava come un avversario, anzi, io lo vedevo come un avversario che correva sulla corsia laterale e che tentava ogni momento di avvantaggiarsi. Altre volte lo vedevo come un pugile pronto a sferrarmi pugni devastanti ogni qualvolta mi fossi distratto. Ogni rumore mi metteva ansia, il vento preannunciava sempre una mortale  tempesta di sabbia. Poi un giorno conobbi un pastore del Sinai che aveva dovuto abbandonare le sue greggi

                                            OMAR
Quando andai le prime volte nel sinai non sapevo nulla del deserto. Uscivo dal villaggio e cominciavo a camminare verso le montagne. Subito mi resi conto che non mi conveniva per due o tre ore  camminare nella zona ancora popolata per arrivare nel deserto vero e proprio. Davanti al villaggio c’erano dei taxi in attesa dei turisti. Presi un taxi e mi feci portare al bordo del deserto. Man mano che passavano i giorni conobbi sempre meglio quel taxista. Si chiamava Omar. Mi narrò tutta la sua vita. Era un nomade pastore del deserto dell’entroterra di El Tor, dall’apparente età di 65/70 anni. Qualche anno prima c’era stata una grave siccità (se può esserci di peggio!!). La sua famiglia era composta da una moglie (UNA!) e da due figli. Avevano dovuto abbandonare il deserto in cui era sempre vissuto dopo che tutti i suoi armenti erano morti. Aveva quindi pensato di acquistare un’automobile e fare il taxista. Dire un’automobile è un’eufemismo. Nessuna macchina di uno sfasciacarrozze in Italia era peggiore di quella. Salire su quell’auto era una vera e propria avventura e da noi non avrebbe l’autorizzazione a circolare. Tutta la tappezzeria era stata ricoperta da pelli di pecora  che nascondevano una miriade di insetti e di polvere. Tutta questa popolazione si sollevava ogni volta che una buca aveva la ventura di capitare sotto le ruote non più ammortizzate. Non era un problema perché in ogni caso non c’erano i vetri che nell’ambiente del deserto non hanno ragione di esistere.
Quindi più buche si prendevano, più gli insetti uscivano risucchiati dalla corrente d’aria, subito sostituiti da altri più combattivi ed aggressivi. La sua guida era quantomeno spericolata.
 Ad ogni curva rumori sinistri e lugubri, quasi dei lamenti umani, uscivano dalle ruote, tanto più evidenti, quanto più la velocità saliva. Si viaggiava ad una velocità imprecisata perché il tachimetro era perennemente fisso su 40 km/h. Nella notte solo la luna illuminava la strada perché i fanali erano tenuti gelosamente spenti per allungare la vita delle lampadine.  Ogni volta, alla maniera araba, bisognava contare almeno un’ora di trattativa per accordarci sul prezzo del trasporto. Il suo vestito era un galabjia unta e bisunta con un pezzo di stoffa bianco arrotolato sulla testa. Il suo volto era segnato da profonde rughe che sembravano penetrare fino al profondo del suo animo. Dormiva all’aperto sotto le stelle a fianco del suo taxi.  Ben presto tutta la sua riservatezza scomparve. Sapevo tutto della sua vita e lui sapeva tutto della mia.
Un giorno, mentre andavamo verso il deserto, gli chiesi la sua età, mentre lo guardavo guidare.
“Ho quasi 50 anni” mi disse. “Come me” gli risposi. Si accorse del mio stupore e mi disse :”credevi che avessi di più? Questo è il sole del Sinai. Noi però rimaniamo sempre giovani perché crediamo nelle favole”. Aveva sempre con se nella mano sinistra un ciuffo di erba che portava al naso ogni pochi secondi. “Questa è l’erba del deserto, senti che odore magnifico” e mi pose sul naso il ciuffetto di foglioline “ L’odore della benzina mi da la nausea, non la sopporto, ma che posso farci? Io non sono abituato a questi odori”. Negli anni successivi, appena tornato, subito andavo a cercare il mio Omar che ora mi accompagnava senza neppure chiedermi del danaro. Io gli davo una “baikshisc” una mancia che lui accettava come si conviene ad ogni buon arabo. Mi lasciva al bordo del deserto ma per percorrere i pochi km impiegavamo delle ore perché egli parlava del deserto, delle oasi, della sabbia, delle fiabe e delle leggende. Nel deserto neppure un più piccolo grano di sabbia si muove senza una ragione. E spesso la ragione è la volontà di una fata o di un folletto, di un mago o più seriamente di Hallah. Bisognava che sapessi interpretare le cose se volevo andare nel deserto con sicurezza. Ogni volta era una lezione di “saper vivere”. Non potevo dargli un orario del mio ritorno, ma egli, al ritorno da Nahama, percorreva la strada interna durante le ore che io avrei potuto essere di ritorno. Qualche volta lo vedevo fermo al bordo della strada. Guardava verso la piana nelle ombre della notte incipiente. Passavano gli anni e quando c’era mia figlia egli la prendeva sotto la sua protezione e la scortava durante le sue peregrinazioni notturne all’Hard Rock di Nahama. Andava all’uscita della discoteca e la cercava nei fumi dell’interno per riportarla a casa. Io ero tranquillo perché Omar la portava e la riportava al villaggio. Egli mi ha insegnato tante cose, ma mi ha convinto che il deserto non è quello che appare. E’ popolato di fiabe e di folletti, di leggende e di maghi, su tutto aleggia la volontà imperscrutabile di Hallah. Allora ogni cosa assume un significato. Mi ricordava il mio amico pastore Micò che mi introdusse 50 anni fa ai segreti dei monti. Dopo 50 anni tutto si ripeteva come una fotocopia. Lo scorso anno ho alloggiato molto più a Nord, dopo 12 anni. Un giorno uscivo per le mie peregrinazioni e pedalavo ancora sulla strada principale, quando una macchina, dall’altro lato della strada, ha iniziato a suonare continuamente.
La strada ha due corsie distinte, separate da un insuperabile spartitraffico. Mi sono avvicinato ed era Omar che mi aveva riconosciuto. Baci ed abbracci. Mi scusai dicendomi che l’indomani sarei andato a salutarlo li dove sapevo che stazionava con il suo taxi. Mi chiese dove stessi dirigendomi. Gli dissi che l’indomani sarei andato per due giorni a cercare un valico verso i monti del wadi Umm Adawi. “stai attento! “
E’ L’ULTIMA COSA CHE SO DI LUI.  Era nella piazza di Nahama quando le bombe sono scoppiate. Un taxista che fermai il giorno successivo all’attentato  mi disse che lo avevano portato via gravemente ferito e nessuno sapeva se era morto o se era in vita.
Durante gli anni che ho trascorso nel deserto ho capito che li le fiabe esistono davvero. Tutto è vero, nulla è fantasia. Qui queste cose possono farti sorridere, ma li sono vere. Devono essere vere, non possono non essere vere. Li si ha bisogno che siano vere. Forse è la nostra mente che ho bisogno di crearle, forse esistono davvero. Forse qui sono nascoste dai nostri rumori, dalle nostre ansie, dai fumi delle macchine e delle industrie che nascondono il sole ed anche le nostre menti ed il nostro cuore. Ma laggiù, tra i monti del Sinai, ancora aleggia lo spirito di Sin, la dea. Da 10000 anni ella vaga nel deserto incontrando e scontrandosi con i folletti ed il dio di tutti i viventi . Tutto allora prende vita, tutto si anima. Quando sei laggiù, lontano giorni da un altro essere vivente, laggiù dove nessuno potrebbe mai trovarti,  tutto diviene realtà. Scompaiono le nostre sicurezze, la nostra agnosia. Il deserto e la solitudine penetrano nel tuo animo, prepotentemente,e si impossessano della tua mente….o forse aprono la tua mente. Tutto diviene chiaro e logico. Ecco perché quel grano di sabbia rotola li in quel momento, perché lo scorpione vaga nel deserto, perché durante  la notte le ombre prendono vita, perché il silenzio urla nelle tue orecchie, perché i piccoli tornado si dirigono sempre verso di te e ti investo inesorabilmente, qualunque cosa tu possa tentare per sfuggire al suo abbraccio.
(Ndr : Nel 2010 andai ancora una volta nel Sinai. Appena arrivato chiesi notizie di Omar ad un suo amico taxista.  Mi disse che si era salvato dalle esplosioni dell'attentato, pur avendo riportato gravissime ferite ma che aveva venduto il taxi ed era tornato tra le greggi, nel deserto che tanto amava. Chissa se la prossima volta che tornerò nel Sinai non andrò a cercarlo nel deserto di El Tor, li dove mi aveva detto essere la sua casa, e, badate bene…..il deserto è la sua casa, non una costruzione in muratura. Me lo disse lui....)

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