domenica 18 marzo 2012

ARRIVANO GLI AMICI DEL SAGF

Il 1973 si chiuse tristemente con la morte di Andrea, scivolato sulla roccia ghiacciata del Brizio e volato per 400 m. nel Vallone dei Ginepri.
Ci conoscevamo bene, con Andrea, anche se non avevo con lui legami affettivi particolarmente stretti. La sera prima della disgrazia, di sabato, mi chiese se conveniva portare i ramponi per percorrere il Brizio. Aveva piovuto fino ad alta quota e poi il vento era ruotato a nord-est facendo precipitare la temperatura. Io ero salito, quel sabato, fino alla base dello sperone centrale, poi mi ero diretto alla forchetta del Calderone, ma a nord la roccia era completamente tappezzata di uno spesso strato di ghiaccio ed ero tornato indietro.  Raccontai ad Andrea quello che avevo visto e gli sconsigliai quell’itinerario dato che il Brizio corre tutto con esposizione nord. Comunque sarebbero stati indispensabili i ramponi, ma  andare sul verglass non è certo una cosa facile anche se attrezzati di tutto punto.  Lo salutai con la raccomandazione di cambiare itinerario e tenersi ad esposizione sud: fu l’ultima volta che lo vidi.  Partimmo per il recupero e tristemente portammo a compimento il soccorso.  Allora la cosa non mi colpì, ma la montagna mi avrebbe a breve sottoposto a ben più dure prove. Mi sembrava normale che si potesse morire in montagna, era una delle sue attrattive.  Del resto la morte ha un proprio irresistibile fascino.  Non si va forse in montagna perché essa è pericolosa?  Si arrampicherebbe se avessimo le ali?  O se non ci fosse la forza di gravità?  O se fossimo sicuri di non cadere?  Queste idee Nichtiane erano profondamente radicate in me e accettavo la  morte come  una presenza indispensabile.  Non sapevo come, in futuro, le cose sarebbero radicalmente cambiate.  Il 1974 cominciò così, con diatribe, alla sezione del CAI, su responsabilità e comportamenti giusti o sbagliati.  Ognuno diceva la sua, ma io non mi facevo mai coinvolgere nelle discussioni.   Dicembre passò presto tra studio e festività che io passavo eternamente in montagna, da solo, tra la neve alta del Canalone Centrale di Corno Grande, sul Moriggia, sul Bissolati, nel Vallone dei Ginepri che presto mi avrebbe riservato la prima vera sorpresa della mia vita di montanaro.

L’anno nuovo, comunque, mi portò una bella sorpresa.  A quel tempo mio padre prestava servizio presso la Caserma della Guardia di Finanza di l’Aquila. Un bel giorno, tornando a casa, mi annunciò solennemente che stavano per arrivare i componenti del Soccorso Alpino della Finanza. Io frequentavo giornalmente la Caserma ed ero conosciuto da tutti i finanzieri.  Attesi con impazienza l’arrivo dei Caini ed un bel giorno, finalmente, arrivarono. 

Il secondo a sn è "mpiccenta" di cui sentirete parlare, l'ultimo a dx è il mio caro amico Adriano che poi diverrà il comandante della Stazione SAGF di L'Aquila
 Chissà come me li immaginavo, forse con le unghie come felini per arrampicare meglio o con le braccia lunghe come scimmie, comunque ebbi una piccola delusione.  Erano tutti perfettamente normali, non avevano nulla di speciale, anzi qualcuno era anche emaciato ( Adriano), ma come mi sbagliavo!!!
Adriano davanti la stazione Sagf. Dormiva in una stanza sopra le scale che vedete e a cui si accedeva con un passaggio aereo che secondo me era almeno di terzo grado.
Trascorsi con loro tanto tempo, anche perché quasi tutti dormivano in caserma, qualcuno in piccionaia, (un sottotetto della caserma che si raggiungeva solo con una scala a pioli), parlando dei monti a loro sconosciuti. Loro mi raccontavano delle pareti dolomitiche che  conoscevo solo dai libri di montagna ed io non lesinavo descrizioni anche troppo campanilistiche per non far sfigurare le nostre pareti a confronto con i colossi dolomitici. Quasi tutti mi rinfacciavano che io raccontavo cose non vere sul Gran Sasso.    Ma un bel giorno di febbraio si partì per i monti.   Era la prima uscita per loro.  La sera mi annunciarono che sarebbero andati sulla cima di Corno Grande e quindi sarebbero scesi sul ghiacciaio fino ai Prati di Tivo. La traversata alta, insomma.  La neve era alta e faceva molto freddo. Quasi come si fa la sorpresa ad una festa di compleanno, mi annunciarono che SAREMMO partiti con il pulmino della Caserma il quale avrebbe provveduto a RACCOGLIERCI ai Prati, nel pomeriggio. 
Gli amici del SAGF di quel giorno...un po invecchiati..

 Come sarebbe a dire: SAREMMO? “Allora vengo anch’io? Certamente! Altrimenti chi ci farebbe da guida?”  Non sapevo se credere alle loro parole. Io guida di un gruppo di veri alpinisti? Avrei baciato tutti se non fossero stati degli uomini veramente bruttini. Quella notte dormii sonni agitati per l’eccitazione. E la mattina partimmo. 
Divorammo letteralmente il rifugio Duca degli Abruzzi, le creste che portano alla sella di m.Aquila, il pendio del Sassone e ci gettammo nella direttissima. Il tempo che fino allora ci aveva assistito, pur con nuvole basse che nascondevano le vette, improvvisamente cambiò e alla sella di m. Aquila una nebbia densissima ci avvolse.
Adriano mentre salivamo, nella nebbia
 
A mala pena si intavvedeva il terreno su cui poggiavamo i piedi. Ma non era un problema per me che ero riuscito a trarmi d’impaccio in quei luoghi qualche tempo prima ,di notte e con la bufera. Dentro la direttissima il terreno si fece duro e gelato, la neve divenne prima compatta e poi francamente gelata. Come al solito io non portavo i ramponi, semplicemente perché non li possedevo e poi perché ero maestro nell’intagliare gradini con la piccozza. 

 Salivo sulle punte degli scarponi gettando terribili calci alla neve per far un piccolo intaglio con gli scarponi.  Dove potetti farlo mi voltai e vidi i miei amici venire su come ballerini, danzavano sulle punte, sembravano senza peso. Nessuno di loro aveva il minimo accenno a fatica, nessuno aveva il fiatone. Nessuno aveva calzato i ramponi, forse per non mettermi in difficoltà o molto più semplicemente perché quelle condizioni per loro erano magnifiche.  Allora capii che mi ero sbagliato. Quegli uomini così normali erano invece eccezionali, avevano una confidenza con la montagna senza pari. Si muovevano in un terreno a loro sconosciuto come se fossero stati nella loro camera da letto. La nebbia intanto non accennava a diradarsi. Il Gran Sasso, come al solito, dava il benvenuto ai nuovi arrivati.
Io ( a dx) e il SAGF sulla vetta, quel giorno...
 
Salimmo quasi di corsa e la cima fu annunciata da me solennemente perché non si vedeva un bel nulla. Non ci furono commenti particolarmente entusiasti.  Scendemmo dall’intaglio sul ghiacciaio ed io mi regolai sull’inclinazione  del pendio per scavalcare la morena nel punto più adatto per giungere, dopo poco, al rifugio Franchetti. 
Gli amici del SAGF di quel giorno del febbraio 1974
Li sostammo sempre sotto la nebbia fittissima. Devo dire che qualche piccolo dubbio sul riuscire a trovare il rifugio al primo colpo mi tormentò durante la discesa sul ghiacciaio, ma tutto andò bene. Impattammo letteralmente al muro del rifugio e ci fermammo. Li successe il miracolo e li capii con chi avevo a che fare. 
Mentre scendevamo
 
Sopra la nostra testa la luce aumentò d’intensità, dapprima lentamente, poi sempre più decisa. Il cielo si aprì sopra di noi, poi lo squarcio si diresse verso sud-est, mentre due colonne di nuvole facevano da parapetto lateralmente impedendo la vista.  Davanti allo squarcio iniziarono ad apparire le pareti nord-ovest della vetta Centrale, del Torrione Cambi e della Madonnina, tappezzate di ghiaccio, come degli immensi icebergs.  La vociante comitiva ammutolì.  Tutti diressero lo sguardo verso quello spettacolo e quelli più distratti vennero immediatamente richiamati. Nessuno parlava più, qualcuno balbettò qualcosa.  Il sole inclinato di febbraio faceva scintillare le pareti che sembravano ancora più incombenti e precipiti.

Arriviamo al Franchetti proprio nel momento dell'apertura del cielo. Mi intravvedo al centro della foto, con il mio inseparabile zaino giallo.
Anch’io che conoscevo quei luoghi rimasi stupito. Il Gran Sasso dava spettacolo, Voleva mostrare a tutti quegli uomini cosa avrebbero dovuto affrontare in futuro perché non pensassero di avere a che fare con una collinetta. E quegli uomini seppero in quel momento che quello sarebbe stato il territorio dove avrebbero scritto pagine di coraggio ed abnegazione.
Adriano in un soccorso con barella
In quegli occhi lessi l’amore per la montagna e la voglia di salire e di andare. Il comandante a malapena fermò i più facinorosi, ma l’entusiasmo ora era entrato nelle loro vene. Ora sapevano di dover affrontare una montagna terribile, dove gioie per salvataggi impensabili e dolori per recuperi di corpi mutilati, anche di amici, si sarebbero intrecciati negli anni.
Oggi nessuno fa più parte del Soccorso, di quel gruppo. Il tempo passa inesorabile per tutti,  anche per me, tutto successe 35 anni fa.  Tutti sono andati in pensione, qualcuno è morto, di malattia o di montagna.
(25 anni dopo, all'anniversario del Soccorso Alpino Guardia di Finanza di l'aquila)
Pian piano quel gruppo di giovani facinorosi è cresciuto, poi è maturato e quindi invecchiato, ma io ero li il primo giorno e sono stato con loro in molti soccorsi negli anni successivi. Non potevo sapere, quel giorno, cosa avrebbero scritto su quelle rocce, su quei pendii, su quelle pareti.  Se lo avessi saputo, forse, non avrei avuto il coraggio di salire lassù, di fare io da “guida”.

 Se lo avessi saputo avrei capito che a loro non serviva una guida, non sapevano che farsene, la montagna era il loro mondo, l’avevano nel sangue.  Con Adriano sono rimasto particolarmente legato. Spesso ci incontriamo e sempre parliamo di montagna.
In un soccorso. Io sono davanti.
Ricordiamo i soccorsi e le valanghe, le bufere e gli amici morti, ma l’argomento che ci piace di più è rammentare quel giorno di quasi 40 anni fa quando salimmo insieme per la prima volta sul Gran Sasso, forti della nostra gioventù, entusiasti della vita davanti a noi. Ora tutti sono spariti, al SAGF ci sono giovani agguerriti, sicuramente molto preparati dal punto di vista tecnico, ma non ho mai letto nei loro occhi quello che nei “veci” traspariva indiscutibilmente: L’AMORE  SMISURATO PER I MONTI.

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