mercoledì 21 marzo 2012

ESTATE 1976: IL IV PILASTRO

L’estate del 76 comunque passava normalmente tra una parete ed una corsa, tra una pedalata ed una camminata. 

(All'attacco della Valeria-Campanile Livia-durante un corso di roccia come istruttore sezionale)
 Un bel giorno di mezza estate, dopo un profondo studio dell’itinerario, decisi di andare a vedere la parete Nord della vetta orientale.
Un grosso intaglio solca da sn a dx e dal basso in alto la parete, fino all’anticima, è la via Iannetta. Già salire tale via è una piccola impresa, dato la difficoltà di accesso, anche se è appena di 2 grado. Dai Casali di S.Nicola la via è un dedalo di canali in cui è facilissimo perdersi, per di più  su terreno terroso od erboso, ripidissimo, sdrucciolevole per le suole degli scarponi a meno che non siano forniti di ramponi. Circa a metà della via partono verso il cielo i Pilastri e lì era la mia meta. Visto la situazione, conveniva non salire da S.Nicola, ma scendere lungo il canale Iannetta dopo essere saliti dall’anticima nord dell’Orientale e così feci. Il sole sorse quando mi trovavo sui brecciosi ed istabili pendii dell’anticima e sentii i tiepidi raggi solo quando mi affacciai sulla cresta immediatamente sotto la cima. Iniziai la discesa in pieno sole. Qualche sparuto nevaio ancora resisteva all’estate ed io ero continuamente     diviso dal dubbio se scendere sulla neve dura senza piccozza o sulle rocce ricoperte da brecciolino instabile. Poi tutto mi passò dalla mente perché un dubbio più grosso si affacciò quando entrai in contatto con il 4 Pilastro. Dove la via Iannetta si allarga, scendendo, diventa un belvedere su un anfiteatro chiuso appunto, a destra, dal Pilastro. La roccia è scura, cola continuamente dell’acqua, sembra l’antro dell’inferno.
Questa meta, in realtà, aveva una ragione ben precisa.
Nel 1973 partecipai ad un corso di roccia tenuto da un certo Engaku Taino, monaco Zen appena tornato dal Giappone. (al secolo Luigi Mario).
Mi resi subito conto dell'eccezionalità di quest'uomo sia dal punto tecnico ( del resto era già guida alpina), sia dal  punto di vista filosofico. Pochi  allievi capirono che stavamo imparando non ad arrampicare, ma a "pensare", a "parlare"  con la roccia.  L'uomo  non  ha bisogno di imparare ad arrampicare, discende dalla scimmia,  deve solo "sentire" dentro  se stesso il "suo cammino" sulla parete.  Alla fine del corso ero stato letteralmente   affascinato  da questo 'approccio  all'arrampicata   che  si  adattava   perfettamente  a  me
Parlai con lui e mi raccontò di aver salito il IV pilastro nel 1959 e che da allora non era stato più ripetuto.
Ecco perchè ora stavo lassù. L’ambiente è estremamente severo e vi assicuro che trovarsi solo in quei luoghi tetri non è rassicurante. Inoltre sapevo che la via all’inizio non era eccessivamente difficile, ma dopo alcune
Paretone con il IV pilastro e l'itinerario percorso. la frana visibile è avvenuta dopo la salita.
(foto di Stefano Ardito)
tese c’erano dei passaggi di 6 grado e di A3.  Mi fermai e il dubbio di non passare mi assalì, pensai di tornare indietro. Portavo la corda, sarei potuto scendere in ogni momento. Ma ne valeva la pena? Sarebbe stato poi così facile scendere? E se il tempo fosse improvvisamente cambiato non sarei rimasto bloccato sulla parete? Chi mi avrebbe recuperato se un semplice sassolino fosse caduto sulla mia dura testa? Allora non c’era l’elicottero a disposizione e lì non si aggirava anima viva. Oggi ci sono alpinisti che frequentano  quei luoghi, ma allora non c’erano i telefonini, non c’erano le trasmittenti, nessuno sapeva la mia meta ed uno stupido incidente poteva trasformarsi in tragedia, ma ricacciai questi pensieri anche se con una certa difficoltà. Sapevo di essere estremamente prudente e rispettoso della montagna.
 Essa non mi avrebbe mai fatto del male. Scesi quindi fino ad un cumulo di sassi che segna l’inizio della via e mi accinsi a salire.  La prima tesa fu facile, anche se non ricordo i particolari. Quello che bisogna dire è che appena saliti di qualche metro, non ci si trova a qualche metro da terra. Infatti al di sotto della base del Pilastro, la parete precipita ancora per circa 800 m. quasi verticale, con roccia instabile e difficilmente scalabile se non con estremo pericolo. Salire quindi il Pilastro è come stare su un aereo. Questa era la cosa che mi piaceva di più, la vertigine mi affascinava e la cercavo in continuazione. Salii la seconda tesa senza problemi, sul camino evidente, senza paura di sbagliare via. Un terrazzino mi permise di tirare il fiato perché intanto intuivo che la resa dei conti si avvicinava. Dal terrazzino infatti si notava che la parete sovrastante era diventata repulsiva, scura, senza appigli apparenti. Dove passava quindi la via? Possibile che avevo già sbagliato? Poi ricordai che la guida riportava la difficoltà : 6 grado e A3. Ma qui forse era 7 o 8 grado. Oggi questi gradi esistono, ma allora il 6 era il massimo. Oltre c’era l’utopia, la fantasia. Nessuno si sarebbe mai azzardato a salire difficoltà più elevate di quello che i grandi avevano catalogato come 6 grado superiore.
Figuriamoci io. Avevo fatto qualche passaggio di 6 sui Pulpiti , sullo Sperone e su qualche altra via, ma mai da solo e mai in un ambiente così solitario e lontano dal mondo. Io che anelavo la solitudine ora l’avevo trovata e mi annientava, distruggeva la mia sicurezza. Presi gli appunti che avevo copiati dalla guida e lessi.  Purtroppo la via era giusta ed era proprio lì che si doveva passare.  Assicurai la corda ed iniziai la salita. Forse per l’attenzione, forse perché mi avvicinai salendo, scorsi un chiodo che da sotto non avevo veduto e che mi confermò che ero sulla via giusta.  Si!! Giusta!! Ma non per me. Arrivai trafelato al chiodo, lo provai e mi appesi con circospezione, ne piantai un altro che forse è ancora lì e sostai.  Sopra di me si vedeva un altro chiodo, lontano circa 20 m, ma era un’oceano che mi separava da lui.

Non c’era un più piccolo appiglio  e il luogo ormai aveva minato il mio animo lasciandomi senza forze.  Forse la voce di un compagno mi avrebbe dato il coraggio, ma non c’era. Dovevo scendere prima che fosse stato troppo tardi. Avevo due ottimi chiodi. Tentai di salire, ma dopo circa 50 cm. la mia innata prudenza mi disse che era arrivato il momento di battere in ritirata. Credo che se mi fossi spostato a destra sarei riuscito a passare, ma quel luogo tetro non mi ispirava, mi sentivo estraneo. Quella roccia nera e percorsa da fetide acque, lontana dai raggi caldi del sole mi incuteva paura e mi ispirava oscuri presagi.  Per  un rocciatore questa sarebbe stata una sconfitta, ma io non mi consideravo un rocciatore. Per un alpinista avrebbe significato che la montagna aveva vinto, che probabilmente ci sarebbe stata un’altra battaglia con la parete per poterla conquistare, ma io non ero un alpinista, almeno non nell’animo. Io non lanciavo sfide ai monti, per me le vette non dovevano essere conquistate. Per il fatto che ero lì ero io ad essere stato conquistato e non dovevo vendicarmi della conquista, anzi ero grato di ciò ai monti.  Io non odiavo la montagna e quindi qualunque sensazione essa mi procurava, la consideravo un regalo. La decisione di scendere, per me significava semplicemente che la parete mi aveva avvertito che ancora non ero in grado di godere dei suoi favori, per questo le ero grato e non sentivo la cosa come una sconfitta. Essa mi aveva dato un consiglio materno, bisognava però essere in grado di comprenderlo, altrimenti non poteva più assicurarmi l’incolumità. Questa era la differenza tra me e gli alpinisti, io non entravo in competizione con la montagna. Per questo io non sarei mai stato  un alpinista, come non lo sono mai stato in effetti.  Decine di volte sono salito per varie vie che poi non ho portato a termine o perché non ero all’altezza o semplicemente perché qualcosa mi diceva di tornare indietro o perché semplicemente consideravo finita a quel punto la gita.  Io seguivo sempre queste sensazioni che qualche volta si sono rivelate provvidenziali tanto da rafforzare sempre di più in me la convinzione di una mia quasi invulnerabilità. Tale privilegio mi era dovuto in cambio dell’immenso amore che provavo per i monti e per la capacità che avevo di sentire la voce del pericolo. Ma non crediate con ciò che io fossi imprudente, anzi era esattamente il contrario tanto , come ho detto,  da essere scambiato per pauroso in alcune occasioni.
Scesi quindi anche questa volta, dondolandomi nel vuoto con le corde così come mi piaceva molto fare e raggiunsi la via Iannetta.   Mi sedetti felice e guardai dove ero salito. Non avevo il benchè minimo rimpianto di essere tornato indietro, ne mi sentivo meno uomo per questa scelta. Improvvisamente un rumore sordo come di un tuono lontano mi fece trasalire, poi il brontolio aumentò. Ora era diventato come un calpestio di bisonti. Alzai gli occhi e vidi sopra di me, nel preciso punto dove passava la via, venire giù un masso enorme, forse della grandezza di un metro cubo. La verticalità della montagna non permetteva che urtasse alla roccia. Infine una sporgenza, appena sopra al punto dove ero tornato indietro, le si sbarrò innanzi. Ci fu un’esplosione e il masso si polverizzò in milioni di piccoli sassi che schizzarono in tutte le direzioni e rimbalzarono poco lontano da me.  Ora ero felice, disteso al sole e pensai che forse potevo anche essere morto se avessi scelto di proseguire. E alla montagna che cosa importava? Essa era imperturbabile negli eoni. Risalii facilmente il canale e scesi alla morena dove si vedevano uno stuolo di persone. Avevo bisogno di stare tra la gente. Per fortuna erano i componenti del CAI dell’Aquila. Subito tirarono fuori del vino e dei panini con ottimo pecorino. Mi spogliai e mi distesi vicino al ghiacciaio insieme a loro, sotto un sole implacabile. Mi chiesero dove ero stato e raccontai loro che il Pilastro mi aveva respinto già alle prime rampe.
Ci furono altre gite, ma senza importanza per i miei ricordi e così passò anche quell’estate e non mi rendevo conto che il tempo scorreva inesorabilmente veloce e che stavo vivendo la mia gioventù come si assiste ad un film dell’intera storia di Roma nel volgere di due ore.
PS:  Nell'agosto del 2006 un'enorme frana ha sconvolto la base del IV pilastro distruggendo totalmente la via "aquilotti 76" aperta dagli amici di Pietracamela. Le rocce hanno raggiunto la base della parete e la polvere si è depositata sui paesi sottostanti costringendo alla chiusura dell'autostrada. http://www.planetmountain.com/News/shownews4.lasso?l=1&keyid=35295  Chissà! Forse piccola frana a cui ho assistito era solo l'inizio dello sconvolgimento.

PS : Gigi Mario, nel 1973 ha aperto  un monastero Zen vicino Orvieto. Chi avesse curiosità può informarsi a
http://www.zenshinji.org/home/?page_id=38
Ed ecco infine il rcconto di Gigi Mario sulla prima salita alIV pilastro:

PRIMA SALITA DEL IV PILASTRO DEL PARETONE
12.13 Settembre Gran Sasso
Il tempo si è stabilizzato sul bello. E’ nostra intenzione di fare una via sul IV pilastro del Paretone, l’unico che ancora non sia stato salito. Emilio arriva con la sua lambretta sotto casa alle 15.35 e quando riusciamo a lasciare la città sono circa le 16. Siamo carichi di materiale : una trentina di chiodi, venti moschettoni, staffe, ganci ecc. Prevediamouna via molto dura ed impegnativa. Viaggiamo veloci e facciamo la prima sosta dalla signora a bere un bicchiere. Ho molto freddo e fino al ritorno a casa questa sensazione mi lascerà solo qualche momento … Mangiamo prima di salire in funivia. Fa freddo anche nella cabina. Saliamo al rifugio in una notte stellata e chiarissima con la luna quasi piena.Saliamo parlando della prossima estate. Preparato lo zaino si va a dormire. Sono circa le 22 e ci dovremmo svegliare alle 1.30. Infatti mi sveglio alle 1.25. Esco, il tempo è bello e fa molto freddo. Per arrivare all’attacco ci vogliono circa 3 ore e siccome fa luce dopo le 5.30 è inutile partire così presto. Mi rimetto a dormire e ci alziamo alle 2.45. Usciamo alle 3. Lo zaino, che in questo tratto porto io, è molto pesante. Fa freddo. Fermiamo una diecina di minuti nella Conca degli Invalidi. Prendo le corde ed Emilio lo zaino. Il sole sta sorgendo. Siamo saliti in alto per raggiungere il Passo del Cannone e ora ci tocca di scendere un poco per arrivare al ghiacciaio. In poco tempo “sono” sulla sella dell’Anticima e scendo la cresta mentre Emilio, andato troppo a destra, si ritrova alquanto in alto. Stiamo alcuni minuti ad osservare. Si vede che c’è stata una nevicata abbondante. C’è ancora neve a Nord e ci rimarrà ormai fino all’esatte prossima. Iniziamo a scendere verso destra e arriviamo fin sotto il pilastro. La via più logica sembra quella costituita da un camino che sta tra il pilastro e una piccola guglia che sembra un salsicciotto (la chiameremo Guglia Bambù). Scendiamo legati una tirata delicata con stalattiti di ghiaccio. Ci affacciamo a sinistra della guglia dove c’è un diedro fra il 3° e 4° pilastro. Risaliamo all’attacco della nostra via – Emilio diceva che venire fin qui per fare una via di camino non valesse la pena… -. Mangiamo e costruiamo un ometto. Sono le 8. Vado per una tirata abbastanza facile con un leggero strapiombo. La roccia non è buona e ho freddo alle mani. La parete è tutta in ombra e fino alla fine non saremo lambiti dal caldo sole. Poi va Emilio e sale lentamente. Non mi spiego il perché. Ogni poco arriva giù qualche sassetto. Quando sta a me vado su dritto ma il sacco, le mani fredde, la roccia malsicura e l’andare da secondo mi mettono un poco di “caca”.Scenderei con molto piacere se si potesse piantare un buon chiodo, Emilio sta su un minuscolo terrazzino, che si può staccare, assicurato a un chiodo, che si può staccare. E’ stato bravo a fare questa tirata. Poi, siccome non ci possiamo muovere, va su altri dieci metri e si piazza in un posto migliore all’inizio del “camino”. Vado io e la roccia diventata ottima mi permette di arrivare velocemente dopo venti metri ad un buon terrazzino con buon chiodo. Sopra si innalza,liscia e verticale per una quarantina di metri, una fessura diedro. Va Emilio che prova a destra, poi torna a sinistra. Sta del tempo nel fare pochi metri. Allora penso che sia meglio che vada io e glielo dico. Vado abbastanza agevolmente per i primi metri. Pianto un chiodo e proseguo dopo vari tentativi, usando ganci, staffe, chiodi malsicurissimi. Procedo lentissimamente con una gran voglia di tornare, ma il pensiero di fare corde doppie su chiodi poco sicuri non mi alletta e poi mi sento una spinta della volontà come non ho avuto mai e che ho sentito già, ma meno, sul Salame. Comunque, dopo due ore arrivo alla forcella tra la guglia Bambù e il pilastro. Emilio viene faticando molto e pure un po’ tirato perché usa le staffe meno di me … Si percorrono caminetti, crestine, pareti e alla fine dopo 7 ore siamo in cima al pilastro accolti dal sole. Saliamo in fretta sull’Orientale che c’è poco da camminare. Ci diamo la mano, ci sleghiamo e mangiamo qualcosa.Provo una voglia fortissima di restare per qualche ora nel caldo abbraccio di questa cima. Vorrei saziarmi della vista del mare luccicante, del ghiacciaio che sembra tanto ripido, di Campo Imperatore e di tutto. Vorrei stare del tempo sdraiato quassù. Ma non si può. C’è la funivia che interrompe le sue corse alle 17.20, c’è il viaggio di ritorno in lambretta. Sono le 15,45 quando iniziamo a scendere. Andiamo veloci e naturalmente sbagliamo il passo del Cannone. A sella di monte Aquila Emilio scende con tutto alla funivia e io vado al rifugio a prendere quel che abbiamo lasciato. Vado veloce e sono le 16,50 quando metto la mano dietro al mattone per prendere la chiave. Corro giù. Ma c’è tanta gente. Alloraprepariamo gli zaini e scendiamo verso le 18. … Mangiamo dalla signora. A Rieti incontriamo Norese e compagni.
Offre il caffè. Verso le 23.30 siamo a casa. Che sia contento della via è certo, però più che la via quello che mi dà gioia è la volontà che sono riuscito a tirare fuori durante la tirata greve. Effettivamente non mi ero mai impegnato così in una via nuova – tra parentesi c’è scritto “e neanche vecchia” ma è cancellato – in un ambiente così opprimente e freddo. Perciò oltre che una vittoria della volontà sulla difficoltà è stata una vittoria contro una specie di “caca”. Ho fatto dei progressi. Evviva.
Conclusione: COME MI VENNE IN MENTE DI POTER RIPETERE TALE VIA LO SA SOLO IDDIO...meno male che ci sono gli angeli custodi degli alpinisti stupidi...!!!!
                                  

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