martedì 20 marzo 2012

MARGHERITA

                                                         MARGHERITA

Ci avviammo quindi verso Corno Grande con l’intenzione di salire sullo spigolo o almeno sullo speroncino.  Alla sella di monte Aquila il vento si alzò, tanto che sotto il Sassone praticamente non ci permetteva di stare in piedi.   Non che la cosa fosse difficile dato che in tre forse non superavamo il quintale. Chi conosce Robertino sa che anche oggi egli è rimasto un fuscello, così come Remo che rassomiglia ad un don Chisciotte.  Sopra al Sassone scoprimmo il gioco affascinante di farci spostare dal vento. Ci accucciavamo e poi, con un balzo, ci alzavamo ed incontravamo il vento che ci spostava verso l’alto di buoni due metri. All’incrocio della direttissima con il sentiero del bivacco incontrammo Mimì e Carletto che scendevano perché era impossibile proseguire con quel vento. Quest’incontro ci convinse definitivamente che era più prudente tornare indietro, ma da parte mia ormai la decisione era già stata presa da lungo tempo, altrimenti non mi sarei mai fermato a giocare con il vento.  Scendere dal Sassone contro vento fu difficile, ma divertente. Arrivammo all’albergo poco dopo l’orario di pranzo. Non potevamo sapere che si stava consumando una  spaventosa tragedia a pochi passi da noi.
Ancora non albeggiava ed il soccorso fu avvertito che un uomo di circa 40 anni, Antonio Bedin non era tornato da una escursione sulla vetta di Corno Grande. Con lui c’era la figlia undicenne, Margherita. Essi avevano dormito al rifugio Duca degli Abruzzi e da li erano partiti per la vetta. Arrivati in cima, probabilmente per le creste e per la normale, forse erano stati sorpresi dal vento. Non c’era bufera, al mattino, il cielo era sereno, solo il vento muoveva l’aria e la temperatura non era particolarmente bassa, anzi anche alta in considerazione della stagione. Comunque andarono le cose, non furono in grado di scendere fino alla base. Il padre pensò di percorrere le creste e questo fu, secondo me, un errore fatale.
La bimba, probabilmente già provata dalla salita, non fu più in grado di scendere e dovettero fermarsi  circa a metà del percorso tra la conca degli Invalidi e la vetta. Quel luogo era direttamente investito dal vento ed anzi, nel pomeriggio, il tempo era volto al brutto, senza peraltro raggiungere l’intensità di quello che sul gran Sasso si considera “brutto”.  Se si fossero gettati nella direttissima probabilmente si sarebbero salvati perché il canale almeno era sottovento e dentro di esso c’erano molti luoghi ben riparati.  Ma non lo fecero ed il vento e l’umidità notturna minarono la resistenza della bimba.  Quando arrivammo era nelle braccia del padre che cercava di ripararla dagli elementi.  Era morta, ma il padre non se ne era accorto o almeno rifiutava di accorgersene.
Capimmo subito che era l’ennesima tragedia e prendemmo in braccio la bimba. “ State attenti” disse il padre “ state attenti a non svegliarla. E’ stanca……… dorme.  Lasciatela dormire”.    Mi ritornò in mente il pulcino nato dall’uovo trovato sul Corno Piccolo e morto proprio mentre sgusciava, come quella bella bimba, appena affacciata alla vita.  La sua testa reclinata mi ricordava il piccolo collo adagiato sull’uovo.(Vedi http://viaggievisioni.blogspot.com/2012/03/il-pulcino-di-corno-piccolo_17.html in questo blog).  Quando mori il pulcino ebbi un’impeto di rabbia contro il destino che aveva riservato al piccolo una morte così ingiusta. Figuriamoci cosa passò nella mia mente a quella vista ed a quelle parole!  Mettemmo il suo corpo in un sacco e lo calammo, in scivolata, dentro il Bissolati.  Io non presi personalmente parte all’operazione di trasporto.  Questi triste compito fu riservato agli amici della Finanza mentre qualcuno dei nostri accompagnava il padre.   Io  scesi prima di loro e li attesi alla base del canalone.  Anche in quel frangente  ci fu qualcuno che cercò di sfruttare la situazione per farsi  pubblicità con i giornalisti accorsi a frotte a Campo Imperatore.
Questa cosa mi dava il voltastomaco. Non è un modo di dire. Ancora oggi ho lo stimolo del vomito quando sono particolarmente nervoso. E’ una mia caratteristica che non sono mai stato in grado di controllare. I soccorritori del SAGF ricevettero un encomio  dal Comando Generale della Guardia di Finanza per come avevano condotto il recupero, ma questa cosa è stata presto dimenticata, come decine di altre cose, visto il comportamento dei Generali alla presentazione del libro sul 25 ennale della fondazione del Soccorso e di cui ho già parlato.
Questa nuova tragedia avrebbe dovuto convincermi a stare ulteriormente lontano dai monti, invece ebbe il merito di farmici tornare.
Cosa scatta nella mente dell’uomo spesso è un mistero. Forse fu il fatto che non andando in montagna non avevo più preso parte ai soccorsi che mi fece decidere a ritornarci. Forse fu il fatto che andavo avanti negli studi e mi rendevo conto di essere sempre più utile.
Certamente, direte voi, anche se non ci fossi stato io, Margherita sarebbe ugualmente stata trasportata a valle.  “Certamente”, rispondo, “ma se tutti facessero questo ragionamento…”
In ogni caso non sono un essere particolarmente introspettivo. Sapevo solo che volevo di nuovo arrampicare, salire le pareti, dondolare con la corda appeso nel vuoto (era una cosa che amavo molto).
Non persi tempo e già la domenica successiva ero sulle rocce.  L’assenza mi aveva un po arrugginito il cervello, perché dal punto di vista fisico ero eternamente allenato a livelli altissimi, visto che mi sottoponevo ad almeno 10  sedute settimanali in vari sports.
Non è importante sapere dove andai, ma la cosa certa fu che a luglio ero pronto a partire per le Dolomiti con mio cugino Angelo, Agostino e Gianni.
In valle agordina, sopra Cencenighe, sulla Alpi di San Lucano c'è un bivacco intitolato a Margherita.
 https://fieveneto.it/2020/11/20/storia-di-un-bivacco/

Nessun commento:

Posta un commento