domenica 18 marzo 2012

LA CRESTA NORD DELL'ORIENTALE

Il mese di giugno 1974 iniziò con le grandi scalate (per me).  Spigolo Iovane (5 grado), i Pulpiti (6 grado), via a destra della Crepa ( 5 grado e tratti di A2), via Iannetta sul Paretone, direttissima della parete Est della vetta Occidentale (via di 5 e 6 grado con tratti di A2), via Morandi-Pivetta (4-5 grado), via dello Speroncino (3-4 grado), direttissima al Cambi ( 3 grado), via della Gran Placca al Cambi (5 grado sup), via Mallucci ( 4 grado) etc. etc.  E’ inutile fare l’elenco, non è nelle mie intenzioni ricordare il mio passato di rocciatore, che comunque non è stato particolarmente brillante. Però la via che ricordo di più di quel periodo fu la via che percorre la cresta Nord della vetta Orientale e lo Sperone Centrale, ma per ragioni diverse . http://www.geocities.ws/abruzzomount/nord_orientale.htm
 La cresta dell’anticima nord era la via fatta per me. Non è difficilissima, al massimo si arrivava al 4 grado, ma si sviluppa in un ambiente severo e poi è lunga, tanto lunga, sono 1300 m. di dislivello. Una volta partiti bisogna continuare perché il primo tratto è composto da roccia friabile ed erba su pendii terribilmente inclinati, estremamente difficili per la discesa.

Il tempo occorrente è valutato sulle 9 ore e vi assicuro che ci vogliono tutte. Oggi forse questi tempi fanno sorridere , ma la mentalità è cambiata. Le scarpette da aderenza fanno correre e gli alpinisti possono permettersi meno manovre di assicurazione. Io andavo solo e MAI, dico MAI, ho corso rischi inutili. Qualunque passaggio scabroso era per me motivo per utilizzare manovre di autoassicurazione, perdendo del tempo. Ma dove non mi assicuravo procedevo praticamente di corsa. Nei tratti di 2 e 3 grado avevo l’impressione di volare, tanto mi innalzavo velocemente dalla base verso il cielo. Poi ci si può affacciare alla parete est dell’anticima  nord dell’Orientale e quello era uno spettacolo che non avrei perso per nessuna ragione al mondo. La via quindi si allungava a causa dei frequenti cambiamenti d’itinerario. Ciò non mi preoccupava data l’estrema tranquillità che mi procurava il pensiero di dover bivaccare sulla via. La descrizione della via è riportata su qualunque guida quindi vi risparmio da ulteriori lungaggini. Ma quello che sulla guida non è riportato è che a circa metà si arriva su un terrazzino che si affaccia sulla parete est. Tale parete è quella che sorregge l’anticima nord dell’orientale. Agli alpinisti ciò basta. Per i meno esperti dirò che la parete al tempo di cui si parla ancora non era stata mai salita per la via diretta, in inverno, tanto era la difficoltà. Le sue rocce precipitano perfettamente verticali se non strapiombanti per 1000 m. Lì salgono le nubi della pianura e lì i venti degli opposti versanti si incontrano scatenando cruente battaglie. Lì i corvi sfruttano le termiche come degli ascensori. Nessuna guida invita a  sedersi e ad osservare i corvi percorrere quelle strade invisibili che a noi sembrano in salita, ma a ben guardare invece sono in discesa. Dopo un po di tempo si imparerà a capire i venti, si saprà dove l’inverno si formeranno le tanto pericolose creste, si capirà quali nubi saliranno dalla valle e quali rimarranno confinate nei bassi strati, si saprà quando la nebbia si dileguerà e quando invece salirà a nascondere il cammino.  I corvi sanno tutte queste cose, basta osservarli e mettere in relazione i loro voli con le nubi che in quel momento li trasportano per capire tante cose…..ma bisogna essere soli per vedere ed ascoltare. L’allegra comitiva distrae e non si apprezzano le minime sfumature della natura, che poi sono quelle che ci insegnano a comportarci.  Nessuna guida suggerisce di andare a “zonzo” per Campo Imperatore quando c’è la neve ed osservare le scultura fatte dal vento. Eppure su quelle sculture c’è scritto tutto. Ti dicono da quale parte il vento proveniva, quale è stata la sua intensità, quale la temperatura. Come i polinesiani sanno orientarsi nel mare semplicemente guardando le onde, così si impara ad orientarsi nella nebbia conoscendo la direzione del vento che ha formato tali meraviglie, si impara presto a riconoscere i cristalli di brina che poi saranno l’olio malefico che farà scivolare i lastroni di uno strato successivamente depositatosi su di esso.  Ma queste pagine non sono un manuale di alpinismo (non sono in grado di esserlo). Vogliono solo essere un’invito, se mai le leggerà qualcuno, a cercare di udire la natura che ci parla continuamente. Noi ce ne allontaniamo sempre più senza sapere che solo nella natura possiamo ritrovare il nostro equilibrio psichico, continuamente demolito dalla nostra vita convulsa e cieca.
Mentre sedevo sul terrazzino udii delle voci. Erano una comitiva di alpinisti che aveva raggiunto la quota dove mi trovavo in quel momento attraverso una cengia diagonale a livello del rif. Franchetti.  In verità non mi sembravano esperti, ma di questo ne ebbi presto la conferma. Subodorando la “fregatura” raccolsi in fretta e furia il mio smisurato armamentario (testo di sagnette di mamma, cocomero, due corde di 40 m, etc.etc.) e mi avviai verso la vetta cercando di arrampicare il più velocemente possibile. Tutto fu inutile  perché, purtroppo erano sopra di me e non potetti evitarli. Erano tre alpinisti romani, goffi e anche grassi,  la cui unica qualità evidente era l’estrema facilità di parola. Mi chiesero se conoscessi la via e mi invitarono ad arrampicare con loro per formare due cordate dato che loro avevano una sola corda di 40 m. Già questa cosa mi puzzava, ma sapevo che bisognava fare solo 150 m. di canalino di 4 grado inf, su roccia ottima, per uscire dalle difficoltà ed incontrare la via normale che dal ghiacciaio conduce alla vetta orientale e quindi avrei perso poco tempo.  Quelli furono i 150 m. più lunghi della mia vita. Salii velocemente e quindi invitai a salire il mio compagno di cordata.  Messo in sicura il secondo mi aspettavo che la corda filasse, ma tutto era fermo. Chiesi cosa stesse succedendo ma l’unica risposta fu che un componente aveva paura e non se la sentiva di salire.  La cosa mi fece piacere sul momento, ma poi subito seguì la dichiarazione che non se la sentiva neppure di scendere.  Ero bloccato. Fissai la corda e scesi per un’azione psicoterapeutica fallimentare . Dopo circa 30 min. i compagni non solo non erano riusciti a convincerlo, ma anzi  era lui che aveva convinto i compagni che si erano messi in una pessima situazione.  Ci legammo tutti insieme e faticosamente salimmo la prima tesa di corda. Il problema era che non avevano la minima idea di come si procedesse in cordata ed io non ero esperto di progressione a quattro visto che andavo o da solo o in due ( Piergiorgio o Roberto). Dopo ogni tesa dovevo necessariamente radunare tutti nello stesso posto per evitare che combinassero qualche guaio e ciò non sempre era possibile . Per giunta stava facendo notte e il cielo si era tutto annuvolato e cadeva qualche piccolo cristallo ghiacciato. Uno di loro diceva di avere le mani gelate per via che doveva tenerle sempre alte per arrampicare e si lamentava come un maiale al macello. Avevo sempre più lo stimolo di far precipitare accidentalmente qualche masso in testa al maiale almeno per farlo tacere. Come Dio volle uscimmo di notte all’anticima.  Domandai se conoscevano la strada per tornare al rifugio e qualcuno balbettò che forse ricordava qualcosa. Colsi al volo l’occasione e salutai velocemente mentre mi gettavo di corsa sugli sfasciumi della morena……

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