martedì 20 marzo 2012

I DISPERSI DEL PRENA

Il mese di settembre passò presto anche grazie allo studio che dovetti riprendere, devo dire con piacere, per poter sostenere gli esami autunnali.
Le domeniche comunque mi vedevano sempre sul Gran Sasso e il mese di ottobre arrivò.
La sera del 6 ottobre fummo avvertiti che c’erano due dispersi sul Gran Sasso. Erano due notissimi componenti del CAI dell’Aquila, esperti montanari. Erano  Antonio Palumbo e Luciano Marinacci.
 La moglie di Palumbo, non vedendolo rientrare, alle 21 aveva dato l’allarme.La sera stessa uscimmo alla loro ricerca nonostante che le condizione del tempo fossero improvvisamente peggiorate, con nebbia e neve a bassa quota. Gli alpinisti avevano effettuato la traversata del Centenario e quindi la possibilità di trovarli era molto scarsa, data l’enorme estensione della zona.
(ottobre 1974. Le creste del Prena dove si smarrirono Palumbo e Marinacci)
La prima notte infatti non portò a nulla. Il giorno successivo le squadre erano aumentate di numero, ma anche quel giorno non si riuscì a trovare una benchè minima traccia dei dispersi. Il tempo sembrava avesse un’anima perché peggiorava continuamente. Il terzo giorno i soccorritori erano diventati un numero enorme perché partecipavano tutte le forze di polizia, i vigili, i militari di leva e numerosissimi civili volontari.  Tutto il Brancastello, il Prena ed il Camicia era popolato da soccorritori più o meno efficienti.  Il problema era che la quasi totalità cercava sul sentiero della via normale, mentre essi potevano trovarsi in un punto qualunque delle montagne.  Nessuno poteva sapere, infatti, se il maltempo avesse fatto decidere a Palumbo e Marinacci di scendere in una zona qualunque della montagna. Bisognava cercare nelle zone più impervie, e chi conosce la zona sa quanto possano essere impervi i pendii sud del Prena. Gli unici che potevano permettersi di cercare in quei luoghi eravamo noi del CNSA ed il SAGF.  Vicino Fonte Vetica era stato istituito un campo dove stazionavano i colonnelli e i generali, circondati da televisione e giornalisti. Molti di quei colonnelli fecero certamente carriera con il lavoro delle squadre del SAGF e sono quei colonnelli e generali che 25 anni dopo neppure hanno ricordato che quegli uomini gettarono sangue per 5 giorni consecutivi, notte e giorno, nel maltempo.
Dal canto mio, il primo giorno seguii una squadra con a capo Renato, un maestro di sci che era una delle due guide alpine che avessimo a quel tempo. Dal secondo giorno, però, chiesi di essere impiegato altrove perché consideravo perfettamente inutile che  6 o 7 uomini passeggiassero per la via normale.
Io e Piergiorgio, quindi, fummo destinati a scendere lungo il versante sud del Prena con le corde doppie e battere quel versante fino a ordini contrari. Salimmo e scendemmo per quattro giorni, varie volte al giorno, con metodicità, cercando in ogni anfratto, chiamando, ma tutto fu inutile.  Il giorno 10 ottobre, finalmente, due uomini della Forestale avvistarono i due dispersi. Erano in una fessura della roccia, sul versante NORD del Prena, sotto il vado di Ferruccio, lungo il Pisciarellone.
Nella nebbia avevano addirittura scambiato versante e Luciano era scivolato nel crepaccio fratturandosi il bacino e non potendo più muoversi. Antonio era riuscito a scendere fino all’amico, ma poi neppure lui era potuto risalire.  Fummo avvertiti ed io arrivai quasi in concomitanza con l’elicottero. Erano stati già tirati fuori dalla loro tomba. Marinacci si lamentava e ne aveva ben donde, viste le fratture riportate nella caduta. Antonio era integro ma era stato evidentemente provato a livello psichico.  Del resto avevano passato cinque giorni in condizioni infernali, Marinacci era immerso nei suoi escrementi, non potendo certamente “andare al bagno” come tutti i comuni mortali.  Guardai gli occhi di Antonio. Mi comunicarono gratitudine, cosa che hanno fatto e fanno anche oggi ogni qualvolta ci incontriamo.
La gratitudine infinità nei miei riguardi, e non solo miei,  ha una ragione ben precisa che dirò fra poco…………..
L’elicottero non poteva atterrare e quindi alcuni del soccorso prestarono le spalle per sorreggere il pattino dopo che era stata preparata una piccola piazzola .  Il pilota fu eccezionale perché riuscì a mantenere fermo l’elicottero su un pattino appoggiato alla roccia e uno sulle spalle dei soccorritori. Sarebbe bastato un nulla per procurare un'ulteriore incidente. Palumbo e Marinacci furono caricati e trasportati in ospedale. La degenza di Marinacci fu un po più lunga, ma Palumbo si rimise subito, fisicamente.
 quando incontravo Palumbo, mi chiamava da lontano ed anche in presenza di altre persone, mi apostrofava come il suo salvatore, raccontando a tutti il perché.
Devo dire che per molti anni questo suo comportamento mi aveva messo oltremodo in imbarazzo, tanto che spesso evitavo di incontrarlo.
Oggi, a tanti anni di distanza, devo ammettere che mi fa piacere, non posso negarlo.
Ora  che le pareti e le bufere sono solo un ricordo, ora  che le montagne sono diventute più alte e più difficili, ora mi fa piacere  e sono felice che qualcuno ricordi non che io mi affannai a cercare dei dispersi rischiando la mia vita, ma sono felice specialmente che qualcuno ricordi l’avventura vissuta insieme.
Tutto è bene quel che finisce bene ed ora vi dirò perché Antonio mi era tanto grato. Parlo al passato perchè intanto Antonio è andato a scalare ben più alte vette, li dove il suo parkinson non ha più alcuna importanza. Aveva iniaziato ad accusare i primi sintomi di parkinson molti anni prima della sua morte. IL fato aveva deciso di mettere alla prova il suo amore per la montagna, rallentando il suo incedere, ma non era riuscito ad impedirglielo. Aveva rallentato la sua marcia, ma non certo l'amore per i suoi monti d cui non poteva star lontano. Allora lo si vedeva partire con il suo zainetto sulle spalle ed i suoi bastonici che gli erano essenziali per l'equilibrio. Sempre più lento....ma mai fermo !!!
Nel 74 egli era sposato già da molto tempo ed il suo matrimonio non era stato benedetto da figli, nonostante che la coppia ne desiderasse ardentemente.
(Antonio ed io, qualche anno fa, in un piacevole e fortuito incontro sulla cima di monte Cava)
Qualche tempo dopo il ritorno a casa, Antonio ci annunciò che sua moglie aspettava un figlio. Non vi dico che festeggiamenti……ma le malalingue agivano nell’ombra.  Ipotizzammo che in quei giorni che egli si era dedicato alla "vacanza", la moglie si era consolata……..Ma  a nulla valsero le ipotesi, dato che la figlia è cresciuta tale e quale al padre, dal punto di vista fisico ed ora è una vera "stangona" .  Sapete come si chiama?  Si chiama Maria, in onore della Madonna, poi Grazia, per la grazia ricevuta (io avrei aiutato la Provvidenza). Il terzo nome è Ferruccia, per ricordare il vado di Ferruccio. Infine Giampiero, appena nata, disse che era anche Pisciarellona, in onore del  canalone dove si erano persi.

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