martedì 20 marzo 2012

DOLOMITI BIS

                                          DOLOMITI BIS
Dato che a quel tempo i soldi non facevano parte del nostro bagaglio, pensammo di portarci dietro le cibarie, tanto per risparmiare un po.
Agostino, noto titolare di un supermarket ( allora l’unico a L’Aquila) ci rifornì  a prezzi d’ingrosso.  Visto la nostra fame, il problema era come far entrare tutto il bagaglio nelle due  FIAT 500 di Agostino e Gianni. Agostino, essendo il “ricco” aveva una 500 fiammante, ma Gianni poteva mettere a disposizione la sua rutilante caffettiera, con sportello controvento. Comunque, come Dio volle, riuscimmo a stipare tutte le cibarie e l’attrezzatura da montagna. Rimaneva fuori una mortadella lunga circa 1,5 m. che fu tenuta in alto sporgente dal tettuccio apribile, ma che ebbe vita breve.
Anche questo resoconto salterà le avventure alpinistiche perché non sono particolarmente importanti.

(Gran Vernel-Marmolda. Sullo sfondo il Sassolungo e il Sella)
Mi soffermerò solo sul alcuni avvenimenti che ricordiamo quando ci incontriamo. La partenza, quindi, avvenne con un certo alone di importanza, come il varo del Titanic, e ne avevamo ben donde. Infatti non si sapeva se la nostra 500 avrebbe resistito alla prima salita e quindi l’incognita non erano le pareti, ma gli spostamenti in pianura. La cosa è più complessa di quello che può apparire perché gli sportelli si aprivano controvento senza avvertire e rimanevano bloccati con la stessa probabilità. Infine i freni non erano affidabili e dopo 2 o 3 minuti di discesa bisognava usare il freno a mano. Avevamo risolto il problema degli sportelli legando un cordino da roccia tra le due maniglie, ma tale accorgimento ci faceva da cintura di sicurezza impedendoci i movimenti.
Comunque non era un grosso problema tanto le pentole di alluminio ci imprigionavano come dei sepolti in miniera.
Il primo ricordo comune fu a Ravenna dove ci fermammo a dormire. “ Come?” direte voi “A Ravenna, così vicino?”  Ma noi ci ritenevamo già abbastanza fortunati di esserci arrivati.  La notte iniziò con la caccia alle zanzare, enormi. Venivano scambiate per aquile o poiane. Gianni si era immerso nell’Autan e lo aveva sprizzato nella tenda. Le zanzare non sarebbero morte per la sostanza contenuta nell’Autan, ma perché praticamente non c’era più ossigeno. Ma se la mancanza di ossigeno era distruttiva per le zanzare, non dimenticate che anche noi esseri umani respiriamo ossigeno, per cui io decisi di dormire direttamente sul prato. Preferii sfidare le zanzare piuttosto che andare incontro ad una morte certa per anossia.
Al mattino non una sola zanzara mi aveva punto, mentre Gianni era stato letteralmente divorato e presentava una serie paurosa di punture, persino sul cu.. , protetto da pantaloncini, mutande e sacco a pelo. Mah…..!

Comunque ripartimmo ed arrivammo al rifugio Auronzo, alle tre Cime di Lavaredo, ma per Agostino cominciarono i guai perché fu tormentato tutta la notte dal mal di denti. Noi lo vegliammo amorevolmente, ma  al mattino dovemmo accompagnarlo a Cortina per la Cura. Meno male che successe ad Agostino, il “riccastro” perché altrimenti per qualunque di noi la vacanza sarebbe finita prima di iniziare. Vi siete mai chiesti quando costa un dentista a Cortina?. Meglio non saperlo.
Gianni intanto cominciava ad accusare un disturbo che lo avrebbe, e purtroppo mi avrebbe, tormentato per tutti i giorni a seguire.
Portavamo con noi il liquore centerbe che veniva scambiato con altri generi di conforto (leggi strudel). Aveva il potere di avvicinare anche alpinisti ideologicamente molto lontani, come i tedeschi.  Per un minuscolo bicchierino di centerbe (75 gradi) ci propinavano enormi fette di strudel e panini con lo speck.
Dopo alcuni giorni ci avviammo verso il Grossglockner lungo la Grossglockneralpenstrasse, che non è altro che la strada che porta al passo sulla suddetta montagne e che purtroppo è a pagamento. Noi avevamo evitato il tunnel proprio per risparmiare, e solo per puro miracolo la rutilante 500 di Gianni arrivò in cima. Ci fermammo al rifugio con una fetida puzza di benzina che perdeva da non so più quale pertugio. E con un calore insopportabile che filtrava all’interno dell’abitacolo nonostante avessimo aperto tutto ciò che si poteva nell’inutile tentativo di far raffreddare il motore.
Se la salita era fatta, adesso ci aspettavano 30 Km di discesa folle. Da 2575 m a 600 .
Decidemmo di dormire al rifugio, ma non nelle stanze che erano a pagamento. Tentare di tirare fuori le tende era un’utopia, per cui ci allungammo nel lindo pavimento del bagno e dormimmo sonni profondi. Non vi stupite, perché i bagni austriaci non sono come i nostri.  Comunque era sicuramente più pulito e profumato delle nostre tende.
Al mattino facemmo una “facile corsa” sul Grossglockner (3790 m.) e ci accingemmo ad una “difficile e pericolosa discesa” in macchina.

(Il Gran Vernel)
Con un rumore di ferraglia e i coprimozzi di plastica fusi per il calore arrivammo a Fusch. Il primo paese sotto il passo. Ricordo che ci accolse una birreria con tutti i tipi di birra immaginabili, e Agostino era molto sensibile al fascino della “bionda” ed anche della “scura”, per non parlare della “nera”.
Venne la notte ed andammo a dormire nelle nostre tende. In piena notte mi svegliò un rumore strano ed una sensazione di sfregamento sul viso.

(Salendo lungo lo spigolo della Tofana)
Nella fioca luce che filtrava dal telo della tenda intravvidi qualcosa vicino al mio viso che si ergeva, dimenandosi. Vidi il suo corpo allungato e la venefica bocca vicino ai miei occhi. La zona è infestata da vipere cornute, estremamente velenose e grandi, rispetto alle nostre.  Chiamai Gianni toccandolo e cercando di non farlo muovere per non far reagire l’ospite indesiderato. Quando Gianni riuscì a comprendere che tra di noi c’era un serpente, con una velocità insospettata schizzò fuori dalla tenda rompendo la sua parte di chiusura lampo che teneva chiusa la porta.
(Cima della Tofana)
Aveva fatto una mossa sbagliata, quella che non volevo che facesse. Nel buio non sapevo più dove si trovava la vipera ed ora probabilmente si sentiva minacciata e quindi era estremamente pericolosa. Mi tuffai anch’io fuori, distruggendo la mia parte di chiusura della tenda.  Gianni salì su una colonna ed io mi accinsi alla battaglia procurandomi un nerboruto bastone.
Intanto il traccheggiamento non era passato inosservato e in molti erano usciti dalle loro tende, ed ognuno dava il proprio consiglio su come affrontare la belva.
Alla fine io decisi di attendere il drago al varco. Illuminammo l’entrata della tenda ed attendemmo a bastoni alzati che la vipera si decidesse ad uscire fuori.  Passarono degli interminabili minuti senza che nessuno avesse il coraggio di entrare in tenda. Alla fine fu lei che venne fuori, solo che nel frattempo aveva mutato d’aspetto. Era diventato un innocuo gattino. Si affacciò alla tenda con un aspetto incuriosito, col suo simpatico musetto di gattino.  Nel buio avevo scambiato la sua codina alzata per un serpente. La solita figura di fronte agli imperturbabili tedeschi!!!!!!!
Dicevo che Gianni aveva da qualche giorno presentato un disturbo ingravescente. Non preoccupatevi perché il disturbo non era altro che una irrefrenabile nostalgia per Fiorella, la sua ragazza, che ogni giorno si manifestava dopo pranzo ed aumentava fino a diventare insopportabile al tramonto.  Allora bisognava trovare un telefono per placare il dolore. Non sempre c’era un telefono disponibile sui monti che frequentavamo. Gianni in preda al furore, non sentiva ragioni. Noi avevamo due sole possibilità. O sopprimerlo o soddisfare il suo bisogno. La prima ipotesi fu presa in seria considerazione in varie riunioni notturne senza la sua presenza, poi prevalse il buon senso e  la pietà e decidemmo di accompagnarlo a turno nella ricerca del benedetto telefono serale.  Ciò comportava ricerche anche molto lunghe e non fu facile metterci d’accordo sulle modalità “dell’accompagnamento”. Alla fine stilammo un vero e proprio documento con tutte le ipotesi e gli handicap.
Veniva valutato il tempo impiegato, la distanza e la difficoltà del reperimento, la stanchezza degli accompagnatori, la loro “rottura di p…”, le condizioni metereologiche, l’orario, il fatto se anche l’accompagnatore dovesse effettuare una telefonata.  Tutto era previsto fino al giorno in cui arrivammo vicino ad Innsbruck.
Dovevamo dirigerci verso ovest e gli altri presero l’autostrada . Noi, soliti taccagni percorremmo la statale ignari del fatto che l’autostrada in Austria non si pagava.
La conclusione fu che ci perdemmo, ma io penso che per Angelo ed Agostino fu una vera e propria fuga.  Il grave era che loro avevano la pasta e noi il sugo, loro il sale e noi l’olio, loro il companatico e noi il pane, loro le pentole e noi i fornelli.
Non c’erano i telefonini e quindi non ci ritrovammo più. Io sono sempre del parere che fu una fuga e quindi ebbe poca importanza il tipo di masserizie trasportate, tanto c’era Agostino, il “ricco”.
Comunque andarono le cose io rimanevo a sopportare la malattia sempre più grave di Gianni il quale ora iniziava appena dopo pranzo a lamentarsi della mancanza di Fiorella. Devo dire che Dio vede e provvede perché Fiorella, durante l’assenza di Gianni, aveva provveduto alla sostituzione del suddetto.  Nonostante le telefonate non  lasciavassero presagire nulla, al primo bramato incontro dopo il ritorno, Fiorella annunciò trionfante a Gianni di essersi fidanzata con un altro ragazzo.  Avesse avvertito subito della decisione, io forse avrei passato una vacanza più tranquilla.  I giorni comunque passavano tra una gita e l’altra ed una scalata e l’altra. I viveri di conseguenza calavano paurosamente. Dopo varie peripezie arrivammo a Zurigo e ci sistemammo al camping della città.  Dire camping è poca cosa perché era un prato perfettamente verde in riva al lago di Zurigo, enorme, forse potevano esserci 5000 tende e caravan. I servizi igienici erano magnifici, tutto pulito e profumato come neppure a casa nostra siamo abituati.  Nell’interno del camping c’era un supermarket fornitissimo. Quello che purtroppo non era fornito era il nostro portafoglio che si era ulteriormente sgonfiato dei miseri spiccetti ed ora pendeva floscio nella tasca dei pantaloni.  Per giunta dovevamo tornare a l’Aquila ripassando per l’Eiger e forse per il Cervino.  Vedevamo pastasciutta ad ogni angolo perché ormai erano 15 giorni che non me mangiavamo.  A noi erano rimaste TUTTE le MARMELLATE ed il PARMIGIANO,  per cui la nostra dieta non era molto varia.  Noi la integravamo con tutti i tipi di frutta che potevano essere sottratti dagli alberi durante la notte.  Un giorno decidemmo, dopo vari consigli plenari, di recarci ad un ristorante e mangiare solo un piatto di pastasciutta.  Io pensavo che un po di carboidrati potevano essere utili al moribondo cervello del mio amico.  All’Aquila nel 75 un pranzo luculliano a Renato e Roberto costava circa 2500 L.  Pensammo che con non più di 1500 L.  a dire tanto, potevamo cavarcela.
Scegliemmo chiaramente un ristorante italiano, IL GENOVESE, al centro della città e ordinammo due piatti di spaghetti raccomandando al cuoco di cucinare “all’Italiana”.
Fummo presto serviti e devo dire che il piatto fu buonissimo, ma purtroppo era la quantità quella che scarseggiava.  Temporeggiammo per bere un buon bicchiere di acqua naturale e per fare la scarpetta con tutto il pane disponibile, poi Gianni pensò di ordinare un po di dolce di cui gli svizzeri sono famosi.  Vedemmo un depliant rivestito di pelle marrone dove erano scritti i prezzi di ogni pietanza.
Solennemente lo aprì e cominciò a balbettare. Pensavo ad una nuova crisi di nostalgia fino a quanto non lessi anch’io.  Bene, il piatto di pastasciutta costava ben 7500 L., più il coperto e l’acqua che era naturale, ma minerale. In tutto circa 8000 L. Non ricordo con precisione, ma sommando i danari rimasti, probabilmente non avevamo in tasca le 16000 L. del piatto di pastasciutta.  Ci demmo un’occhiata d’intesa ed ordinammo un altro piatto di pastasciutta, quindi un terzo, poi carne, patate al forno ed infine tutti i dolci disponibile nel menù, raddoppiando quelli che secondo noi erano i più appetibili e calorici.
Avevamo ordinato tutto ciò che il nostro stomaco era in grado di contenere tanto, se avessimo pagato il solo piatto di pastasciutta,  i soldi non ci sarebbero bastati per tornare a casa.  Il tempo passava e bevemmo anche caffè e liquorino quindi Gianni andò in bagno e sparì.  Mi portarono il conto che non ebbi il coraggio di leggere. Dopo qualche secondo, con nonchalance uscii come se nulla fosse ,salutando e ringraziando il gestore.   Appena girato l’angolo ci rincontrammo e fuggimmo precipitosamente..................
La mangiata ci fece sopravvivere per due giorni, poi il problema si ripresentò. Dovevamo risparmiare gli alimenti per l’Eiger ed il Cervino, e per il ritorno a casa, dovevamo però visitare sia Zurigo che  i dintorni.
Dovete sapere che il lago di Zurigo è pieno di pesce, cigni e paperelle. Ovviamente tutti sono protetti dalle rigidissime leggi svizzere. Pescare le trote del lago è come condannarsi a morte. La fame aumentava e la scelta dell’alimento era sempre più chiara: trote, cigni o paperelle.   Pescare le trote richiedeva tempo e quindi era molto probabile essere scoperti.  Dopo qualche tentativo notturno di catturare qualche cigno, dovemmo rinunciare anche perché sono estremamente chiassosi, enormi ed aggressivi.
La scelta cadeva giocoforza sulle paperelle, piccole quanto basta, ma sicuramente saporitissime.  Ora bisognava escogitare la tecnica di cattura.  Gianni ne propose qualcuna, ma nessuna era sicura. La notte si aggiravano le guardie e quindi non si poteva sbagliare. Infine fu accettata la mia proposta. Durante la notte le paperelle galleggiavano sull’acqua senza nuotare. La tecnica consisteva nell’immergersi nel lago ed arrivare in immersione sotto le paperelle.  Afferrate per le zampe e tirate sott’acqua venivano direttamente immolate per la nostra sopravvivenza. Tutto il reato avveniva sott’acqua e quindi in silenzio. Il cadavere era rinchiuso in uno zaino e spiumato senza lasciare traccia.
Una sera era il turno di Gianni per compiere l’efferato delitto. Si immerse come un guastatore della II guerra mondiale e si avviò nel buio verso le paperelle.  Arrivò in vicinanza di esse, prese un’ultima boccata d’aria  e scomparve. Nel buio sentì le zampe e tirò con tutte le forze. La forza non bastò perché le zampe afferrate non erano di una innocua paperella, ma di un enorme ed aggressivo cigno.
Appena che si sentì toccare, aprì le ali ed iniziò a gridare come un condannato a morte, poi appena vide la testa di Gianni emergere, prese a beccarla con tutte le forze. Un cigno è alto quasi come un uomo ed ha altrettanta forza, se non di più ed inoltre il becco è durissimo. Immaginatevi la testa di Gianni come fu ridotta.  Le grida avevano fatto accorrere qualcuno, che nel buio non era possibile riconoscere, ma forse potevano essere anche guardie. Ci gettammo in acqua e ci nascondemmo tra le alghe con appena la bocca fuori per respirare e lì rimanemmo fino a quanto potemmo sopportare l’acqua gelida del lago.
Questa disavventura ci convinse a togliere le tende al mattino di buon’ora prima che qualcuno, riconoscendoci, potesse metterci al rogo. Ci avviammo verso Lucerna e poi a Grindelwand, sotto l’Eiger.
 Il Cervino neppure lo vedemmo per il maltempo. Non potemmo aspettare ulteriormente il ritorno del bel tempo perché i viveri erano finiti e li non c’erano paperelle.

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