mercoledì 21 marzo 2012

REMO

La normale vita non è un libro di avventura e io vivevo una vita normale, anche in montagna.  Essendo un semplice amatore dei monti invece che un vero e proprio arrampicatore, il mio diario non è molto stimolante.  Continuavo quindi ad andare regolarmente in montagna,  quasi sempre da solo.  Qualche volta mi accompagnava Gianni o Remo.  Vi racconto la storia di Remo. Nel 1970,( o il 1969 ?...) un sereno giorno d’estate andavo girando per la zona di Corno Piccolo, più a titolo di conoscenza dei luoghi che per fini alpinistici.  Allora la mia intenzione era quella di arrivare ad avere una conoscenza perfetta dei luoghi, tale da non aver, in futuro, alcuna difficoltà nei movimenti in qualunque condizioni di tempo.  Quindi  mi aggiravo cercando di fissare nella mia mente i punti di riferimento più evidenti, l’inclinazione dei pendii, la presenza di massi particolari. La mia peregrinazione mi portò fino sotto le Fiamme di Pietra e lì mi fermai.  Alla mia sinistra si innalzava il campanile Livia e alla mia destra c’era un bel canale che sembrava percorribile e che finiva su una bella placca.  Mi fermai a guardare e quindi decisi di salire.  Il canale non era difficile e di roccia ottima. Anche se non conoscevo la via non mi preoccupavo perché la migliore caratteristica che mi ha sempre contraddistinto era la possibilità, che mai mi negavo, di una eventuale ritirata. Quando salivo senza corde valutavo sempre se fossi stato in grado di scendere arrampicando e quindi, appena ciò si verificava, abbandonavo la salita e scendevo prima che fosse troppo tardi. Salivo quindi in tutta sicurezza su roccia solidissima, con difficoltà che sicuramente non superavano il 2-3 grado quando scorsi qualcuno che arrampicava avanti a me.  Era una figura longilinea, con braccia e gambe lunghissime, dinoccolato. Altissimo, più di 190 cm, magrissimo, arrampicava con estrema facilità essendo in grado di raggiungere i più lontani appigli e divaricando le sue gambe come fossero le sponde di un lunghissimo ponte levatoio.  Si fermò ed io lo raggiunsi.  Era un ragazzo che io avevo notato un giorno che visitai la sede del CAI (non ero ancora iscritto). Aveva il sorriso simpatico e la faccia buona. Ci salutammo e mi disse che quella era una via di roccia, la via Chiaraviglio-Berhelet e che, se volevo, avremmo potuto continuare insieme la salita. Bastarono poche parole per capire che Remo era una persona che amava profondamente la montagna, uno di quelli che si commuovono alla vista di un tramonto, uno di quelli che si fermano, durante l’arrampicata, ad osservare i minuscoli fiorellini che si ostinano a sopravvivere tra le brulle rocce. 
Queste furono le prime impressioni, impressioni che poi, negli anni, Remo ha confermate e rafforzate ai miei occhi.  Arrivammo quindi alla fine del primo canalino. Lì una parete liscia sbarra il cammino e bisogna traversare verso sn appesi alle mani su una fessura che corre attraverso tutta la placca. Passò Remo per primo con estrema facilità, ma io non fui da meno. Del resto ero o non ero anch’io uno spilungone? La via quindi traccia con più facilità, sotto la Punta dei Due. Qui, durante il percorso, Remo mi illustrò tutte le bellezze del luogo con un alone di romanticismo che poche volte ho ritrovato in altri alpinisti. Eravamo giovani e leggeri, volavamo sulle rocce. Arrivammo come fulmini al camino ed alla traversata sotto il Torrione Aquila, che rappresenta l’unica e vera e propria difficoltà della via.  Traversò prima Remo, poi io, senza corde. La vetta di Corno Piccolo ci vide insieme la prima volta. Ci sarebbero state decine e decine di altre volte.  Molte sono le “avventure” vissute con Remo. Forse non tutte sono avventure dal punto di vista dell'alpinismo estremo, ma per noi  sono state vere avventure. Sono avventure del nostro animo.  Fino al 1980 molte volte andammo in montagna insieme, fino all’estate in cui andammo per la prima volta al Monte Bianco. Poi la vita, piano piano ci allontanò, non come amici, ma come montanari. Remo per via del lavoro cominciò a mancare a qualche appuntamento ed io ritornai da solo.  Remo successivamente si dedicò molto al CAI mentre io me ne allontanai sempre più fino a non rinnovare la tessera ed uscire dal Soccorso Alpino. Ma non crediate con ciò che non frequenti più Remo. Egli è sempre uno dei pochi veri amici che ho e spesso sono insieme a lui. Sapete qual’è l’unico argomento che ci intrattiene per ore ? Gia!! La montagna e i giorni trascorsi insieme. Sono sempre le stesse cose, ma noi non ci annoiamo mai, cosa che non si può dire dei nostri interlocutori. Loro non hanno vissuto quello che noi ricordiamo insistentemente e quindi si distraggono e poi, uno alla volta, si eclissano. Ma a noi poco interessa. Basta ricordare dello Spigolo, della traversata invernale dalle Capannelle a Campo Imperatore, del Centenario quando non era attrezzato, della traversate alte, delle sfacchinate inumane sotto metri di neve al monte Petroso e alla val di Rose. Oppure di quella volta che, con gli sci da fondo, partimmo dall’Aquila innevata e raggiungemmo Rocca di Mezzo e quindi, lungo il Sirente, fino a raggiungere Secinaro e poi Goriano. Tutto ciò sotto una pioggia torrenziale ed incessante. O quella volta che….o quell’altra che…….

Nessun commento:

Posta un commento