L’ESTATE
Anche quell’estate mi riportò sul Gran Sasso, percorsi varie vie delle più svariate difficoltà. Quello che contava per me non era salire vie sempre più difficili, ma di stare sui monti, in qualunque condizione.
Ecco quindi che ad una domenica su una via vertiginosa, seguiva una gita su un monte insieme a mucche incinte. Anche qui è inutile elencare, non conta, anche perché non potrei ricordare con precisione cosa feci. Solo una via è segnata con una data sulla guida del Gran Sasso : giugno 1975 ed è la cresta Sud-Est dell’orientale. Ricordo una via lunghissima ed estremamente difficile per me, con un difficilissimo accesso. Avevo percorso la cresta opposta l’anno precedente e volevo salire anche questa. Credevo, essendo lo sviluppo di circa 500 m . di poterla percorrere facilmente, ma mi sbagliavo. Dovetti autoassicurarmi quasi tutta la via e persi molto tempo, comunque uscii dopo circa 7 ore calcolandole dal canalone Haas-Acitelli. La via è catalogata come 5 grado ed A2. Per i moderni alpinisti, l’A2 è il secondo grado della scalata in artificiale e cioè con le staffe. In verità io non trovai nessun punto in cui dovetti usare le staffe e quindi le ipotesi sono due : o ero troppo bravo o avevo sbagliato strada. Io propendo per la seconda ipotesi, ma la cresta in effetti ha poco di cresta ed è un dedalo di diedri in cui è facilissimo perdersi, comunque tutti difficili.
In definitiva non posso affermare di aver salito la cresta SSE dell'orientale, giudicate un po voi dalla foto.
Passò quindi l’estate tra arrampicate e stupidate. Per dirne una, di stupidata, ad esempio, fu quella di portare una vasca da bagno sulla cima di Corno Grande e poi saltarci dentro e scivolare sul ghiacciaio come un bob.
Dovemmo poi riportarla alla base, non potendo certo lasciarla lassù e fu una fatica improba. Oppure quando scendemmo seduti sulle camere d’aria degli autobus gonfiate fin quasi a scoppiarle, lungo il Venacquaro. Dato che era giugno e la neve si interrompeva abbastanza in alto, pensammo di proseguire la discesa dentro il fosso Intermesoli, carico d’acqua, e fu una vera e propria prima discesa con quella tecnica venuta di moda 20 anni dopo.
Settembre portava le belle giornate, dopo l’instabilità atmosferica dei mesi più caldi, ma portava anche gli esami all’università e la preparazione atletica della squadra di pallavolo. Qualche domenica saltava per impegni, qualche per il tempo cattivo e la prima neve già compariva sulle cime più alte. In men che non si dica scendeva a ricoprire l’intero massiccio e quelli erano i momenti in cui non si poteva fare gran che.
A me non piaceva andare in palestra e quindi l’unica attività di montagna che svolgevo era la corsa fino al limite delle nevi e più su se le condizioni lo permettevano. Tra le corse private e gli allenamenti obbligati, la mia preparazione atletica era esemplare. In quel periodo correvo fino a Rieti e ritorno, Oppure arrivavo ad Avezzano passando per i monti, ovviamente sempre di corsa. Arrivai al mio massimo storico quando percorsi da l’Aquila, Amatrice, Campotosto, l’Aquila. Il mio percorso preferito era da l’Aquila alla cima di Corno Grande e ritorno. Impiegavo circa 3 ore e 15 minuti, ma a me non interessava il tempo, lo facevo, e lo farei ancora se le condizioni fisiche me lo permettessero, solo per il puro piacere di farlo. Non parlavo mai di questi allenamenti per non far innescare agonismi stupidi. Come l’estate, venne presto l’inverno e l’inverno quell’anno portò la più terribile e spaventosa bufera che i vecchi ricordavano, sul Gran Sasso.
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