domenica 18 marzo 2012

LO SPERONE CENTRALE

Durante la permanenza delle ragazze di Bassano io, purtroppo per me, non mi ero fatto distrarre ed avevo continuato a macinare vie sia ai Corni, sia a montagne meno famose, come l’Intermesoli dalla Val Maone (il Duomo), o il Cefalone, o il Prena dal versante sud. La conoscenza del versante sud del Prena mi sarà poi preziosa nel mese di ottobre di quell’anno e di cui dirò successivamente.
La mattina del  4 agosto, così come molti altri giorni, mi accingevo a partire da Campo Imperatore, quando mi sentii chiamare. Era Piergiorgio, che finalmente poteva concedersi un po di riposo dopo le fatiche del CICLONE.  Non che potesse concedersi del riposo, era che se lo prendeva, allontanandosi per qualche ora dal rifugio per farsi qualche via e tornare poi al lavoro.
Quella mattina, come al solito, mi catturò per portare la solita tanica di 50 litri di acqua.
Inoltre c’era anche il mio zaino che non era quello che si suol dire un fuscello e quindi immaginate un po.  La cosa fu addolcita con la promessa che, dopo aver portato l’acqua al rifugio, saremmo andati ad arrampicare.  Piergiorgio conosceva la mia velocità e la cosa gli faceva comodo per poter ritornare presto al lavoro.  Inoltre avevamo arrampicato spesso insieme e mi conosceva come compagno di cordata. Però io conoscevo lui. Era superbo in parete, sembrava non avere peso, nessuna difficoltà traspariva nei suoi gesti, anche quando arrampicava su difficoltà estreme. Si può dire che arrampicava come oggi fanno i free-climbers, ma con venti anni di anticipo.
La sua mentalità alpinistica era troppo avanti per i tempi, forse anche per me, che mi trascinavo dietro i retaggi del vecchio alpinismo, specialmente per quanto riguardava il sentimentalismo romantico. Egli osava dove gli altri, in quei tempi, neppure osavano pensare.   Una volta eravamo all’attacco di un tetto.   Egli partì per primo perché voleva tentare di salirlo senza usare le staffe, così come scritto sulla guida. Per quei tempi era impensabile. Il tetto si trovava a circa 200 m. dalle ghiaie ed era sporgente circa due metri nel vuoto. Un’esile cengia correva alla base del tetto e li ci fermammo prima dell’attacco anche per sistemare le corde. Ci slegammo e raddoppiammo  le corde. Piergiorgio mi si raccomandò di stare attento perché non avrebbe usato chiodi. Dopo l’ennesima raccomadazione partì comunicandomi quale corda avrebbe usata come sicurezza. Salì come un ragno, sembrava che le sue dita fossero fornite di ventose e quindi arrivò all’uscita del tetto. Sentii il moschettone passare su un chiodo e quindi mi disse di tirare. Io tirai e…… la corda venne giù.   Piergiorgio non aveva fatto il nodo all’imbragatura!!!!  Tanto per notizia io partii con le staffe pronte, ma Piergiorgio mi redarguì dicendomi di passare arrampicando. Io mi accinsi a salire con la sicurezza di avere la corda avanti, ma voi non avete conosciuto Piergiorgio.  La corda era si avanti a me, ma era così lenta che, quando arrivai all’orlo del tetto e mi cedettero le mani, precipitai per almeno 15 m. prima che riuscisse a fermarmi.  Vidi le ghiaie avvicinarsi inesorabilmente e pensai che fosse arrivata la fine,  invece non mi feci assolutamente nulla perché era una caduta nel vuoto ed anzi, con la calma del dopo, dissi addirittura di essermi divertito. Il successivo tentativo andò immediatamente a buon fine grazie alla paura di cadere di nuovo.  Questo era Piergiorgio. A me piaceva andare con lui perché egli osava ciò che per me era tabù e mi trascinava in passaggi che mai avrei tentato.
Quella mattina quindi fui felice di portare i miei 50 l. di acqua.  Arrivati al rifugio ci sedemmo un momento per decidere quale via avremmo percorso. Io dissi la mia, lui la sua, poi, quasi all’unisono, LO SPERONE CENTRALE. Oggi forse questa via fa un po sorridere, ma arrampicare la sua placca con gli scarponi e non con le scarpette non era per nulla facile. La guida riporta  6 grado.  La sua enorme placca a qual tempo era attrezzata con un solo chiodo dopo 30 m. di arrampicata ed il chiodo era fissato su un’esile scheggia e si muoveva paurosamente.  Oggi numerosi spits sono infissi nella roccia e quindi è un piacere arrampicare in tutta sicurezza. Dopo il chiodo  ci sono altri 10 m. di placca. L’alpinista sapeva di non poter cadere, perché precipitare dopo il chiodo significava trascinare con se il compagno perché quel chiodo non avrebbe certamente tenuto allo strappo.
“ Si, andiamo allo Sperone Centrale !!!” Sotto il Sassone, seduto, incontriamo  Roberto, il quale ci aveva visti e si era fermato ad aspettarci. “Dove andate?” Ci chiese.
Lui andava verso la parete nord. “Posso venire con voi ?” Non speravamo tanto. Era un onore arrampicare con Roberto. Dopo Mimì, Roberto era unanimamente riconosciuto come l’alpinista più forte a l’Aquila ed anzi,secondo il mio giudizio, in quel momento era proprio Roberto il più forte. Nei numerosi soccorsi fatti con lui questa qualifica se l’era meritata anche ai miei occhi. Piergiorgio poteva anche essere fortissimo su roccia, ma Roberto era il vero montanaro, nessun terreno lo impensieriva, dalle pareti più vertiginose, alla neve, allo sci, al ghiaccio. Su roccia volava, sullo sci era un maestro, nessun pendio ghiacciato lo impenseriva, tutto condito con un fisico resistentissimo.
“Sono contento di venire con voi” Disse. E la cosa non poteva farci più piacere.  La via non ebbe storia con due rocciatori così, pur essendo, al tempo,considerata difficile.

(Al terrazzino sotto la gran placca dello Sperone Centrale
  Io tirai all'inizio, su difficoltà non elevate ( 4/5 grado), poi lasciai il passo a Piergiorgio che non seguì la via e ci tirò su difficoltà superiori al 6 grado mentre Roberto sembrava uno spettatore e si limitava a farsi trascinare in conserva, quasi un padre che assiste ai primi passi di suo figlio, attento ai suoi errori e che non si faccia male.
(Sulla cima dopo la salita dello Sperone Centrale  con Piergiorgio e Roberto)
Arrivammo in un attimo in cima. Ci sedemmo in vetta e cacciammo tutte le nostre cibarie.  Un amico del CAI ci fece una foto e poi me la dette. Gli sarò riconoscente per tutta la vita perché quella fu l’unica e l’ultima foto con Piergiorgio.

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