domenica 25 marzo 2012

IL TRAMONTO

Gli anni passavano veloci tra sci, salite, figli che crescevano, problemi di tutti i giorni……Poi un giorno, durante una discesa da campo imperatore alla villetta, il primo sintomo di quello che doveva essere la causa della fine di tutto. Era con me Sergio ed improvvisamente un dolore lancinante al ginocchio mi bloccò e dovetti togliermi gli sci per poter proseguire. Nei giorni successivi il dolore, anziché diminuire, passò anche all’altro ginocchio e non se ne andato più. Feci un rx ed una risonanza da cui risultò la quasi totale distruzione delle articolazioni per cui l’unica terapia sarebbero  state le protesi. Queste mi avrebbero tolto il dolore, ma non mi avrebbero in ogni caso permesso di poter continuare le mie attività sui monti. Sul momento non mi preoccupai pensando che fosse qualcosa di passeggero, ma poi, pian piano mi resi conto di dover abbandonare la montagna e lo sci…e entrai in una crisi profonda. Come potevo lasciare il mio mondo? Tentai inutilmente di contrastare il dolore continuando per qualche volta a sciare, ma poi dovetti rinunciare. Possibile che già era tutto finito?
Ma prima di abbandonare la montagna dovevo salire un’ultima volta. Un’ultima volta….cosa poteva significare? Che non sarei salito più o che non sarei più tornato?
                                    IL TRAMONTO 
Il tramonto, momento tra la vita e la morte, tra la luce e le ombre, il rosso combatte con il nero che avanza…..e che vince.

La sera aspetto il tramonto, poi la notte.

 Il cielo terso  mi invita.

I portici affollati di gente sono deserti silenziosi.  Lassù c’è il Gran Sasso che avvampa e  aspetta che vada dopo la vana ricerca.

 La montagna attira come un’odalisca che balla solo per me. La mia odalisca non c’è più ed io la cerco nel cielo ammiccante della sera.

 Il profilo del Monte ricorda i tempi perduti lontani e vicini.

 Mi sento lo stesso, ma non lo sono. La mia mente distratta non ricorda più il suo schiavo corpo da comandare. Non sa più chi sia e lo lascia libero di morire d’inedia. La forza abbandona le membra che pesano come il piombo. Ha ragione….non sono più io! Dov’è andato quello che sorrideva alla vita ? E quello che saltava sulle rupi insieme ai camosci? E quello che saliva sui verticali deserti che sorreggono il cielo? Ora guarda il Monte dalla  piana e aspetta la notte.

Poi aspetta il giorno….e la notte…..e il giorno….e la notte….e il giorno…………..
La luna è nascosta dal sole e la notte è buia, ma lassù mai è notte.

 Solo quaggiù la notte è tenebra. Là le rocce infuocate mai si spengono e lassù devo andare.

A ritrovare la mia anima perduta o a perderla del tutto, ma che importa? Ora ben poca cosa è rimasto da perdere. Le gambe pesanti si avviano verso il sole che come una palla vermiglia dipinge il quadro del Corno con rudi pennellate.

 Più su con un’ultimo guizzo il sole scompare, ma non la luce.

  Lo Spigolo attende paziente da 15 anni. Ha tempo , lui. Io no. A me non è concesso il tempo. La gioventù è fuggita con la mia mente e le ginocchia ricordano l’incipiente vecchiaia.
Dolori lancinanti segnano il Sassone, ma più su la via è un bivio. Il vento getta a terra, aumenta la sua forza a ogni mio passo maldestro. La direttissima invita con il canale riparato dal vento e la notte sicura, ma la mia via aspetta a destra, verso lo Spigolo nero e ventoso.


 Forse il vento segna il mio passo, costringe le mie gambe a destra, poi sospinge alla schiena verso la Rampa ormai nera. Stelle fioche compaiono in cielo tentando di vincere la notte, ma gli appigli nascondono le loro sporgenze. So che sono lì. Combatto con il vento furioso e il freddo che gela le mani e inumidisce gli occhi.

 Ma sarà il vento la causa del liquido salato che cola sulle gote e mi impedisce di distinguere la notte dalle rocce? Infilo La lampada  nello zaino. Devo salire con i miei ricordi, non con i miei occhi. Sono tutti lì e le tenebre non li nascondono e la lampada non li illumina. Il vento mi spinge verso l’abisso nero, ma dietro di me c’è l’abisso, oppure ci sono solo le mie paure? Li c’è il caldo abbraccio dell’oblio che attira la mia anima in un felice abbandono. E non resisto al richiamo. Il nero mi circonda avvolgendo la mia mente che segue la via illuminata dalla luce dei ricordi.
Non sono più io! Il Diedro oscuro sarà un’ottima occasione per volare nelle tenebre della mia anima, aiutato dal vento. Ma la mano ricorda le rocce e vigliaccamente non lascia la presa. Il vento non ha la forza di staccare il piede insicuro appoggiato alle asperità della mia inutile vita… e salgo sul bordo, tagliente meno dei rimproveri.

Potesse la ghiaia lubrificare il mio piede  sull’orlo del nulla, ed ingoiarmi accogliendomi in essa. E sparire, novello Quirino, in una nube argentea e solitaria come la mia vita. Non sono più io! Non è vero. Un po di me e rimasto e riaffiora ora che non  vorrei, a salvarmi dal dolce richiamo delle Parche. Perché il mio corpo non ubbidisce più alla mia mente? Ha perduto essa il potere e lui si ribella alla notte. Ma a cosa serve senza la volontà? Forse è vero….non sono più io…Ma chi è quello che ora ordina alla mano di lasciare senza che essa ubbidisca? E il debole che non si sa far rispettare dall’organica materia inerte. E finalmente la vetta della mia sconfitta. Arrivare significa perdere la mia dignità, ma c’è la tetra discesa che rimane come flebile speranza di redenzione. Dentro il canale il vento rallenta la sua frusta e le stelle illuminano il passo mentre le ghiaie si avvicinano immolando le illusioni. La montagna tenta di parlarmi, convincermi, consolarmi,  ma il vento annulla la voce. Più tardi sarà passato il tempo delle risposte e cala il silenzio. A chi interessa questa mia notte? Neppure a me stesso.

 Forse il sentiero della mia via  prosegue più avanti, verso le rocce dello Sperone, in una notte d’agosto senza luna, come tanto tempo fa.

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