sabato 17 marzo 2012

MONTE CALVO, IL MITO D'ORIGINE

Se muoiono i sogni muoiono le leggende! Se muoiono le leggende muore ogni grandezza.   (Nativi americani)
 

Ci sono luoghi sulla terra che la spiritualità, l’immaginazione, la storia o la leggenda rendono differenti. Monte Calvo non è una montagna per alpinisti, anche se, in alcune albe gelate d’inverno, o quando la nebbia muta in modo sorprendente i contorni delle cose, qualche brivido sa offrirlo anche agli esperti.




Sulle sue pendici, sulla sua cima, però, molti pellegrini della mente, fin dall’infanzia,hanno vissuto esperienze che ne hanno formato l’anima.

La storia che segue, per tutti noi che esistiamo finchè riusciamo a guardare ed amare il mondo intorno, è un mito d’origine.
Ed è qui che tutto è iniziato…..


Quando avevo sei anni spesso accompagnavo mio nonno a mietere il grano o ad arare un campo su una collina ai piedi del monte Calvo.


 Dove ora c’è una strada che porta a fonte Crovella, allora  c’era un malagevole sentiero in parte franato che poi si inerpicava lungo la cresta fino alla cima.


 La fontana, ora in cemento, era semplicemente una pozza che un rigagnolo formava in una piccola conca ed in cui, per bere, bisognava accucciarsi e convincere i ragni d’acqua ed i ditischi a levarsi di torno.

                                    ( La nuova Fonte Crovella)

Mio nonno mi permetteva, su mia richiesta, di andare in esplorazione lungo il sentiero, con la promessa di tornare per l’ora di pranzo, momento in cui mia nonna arrivava con un gran cesto sulla testa con il pranzo abbondante.
 Al mattino, alle ore 6 già ero pronto per spingere mio nonno alla partenza. Speravo ogni giorno di salire più in alto, ma il monte sembrava crescere più di quanto io riuscissi a salire.  Un giorno incontrai un pastore, MICO’, allora forse 55-60enne. Non si stupì di vedermi solo, perché lui, a 6 anni già andava con le pecore su m. Calvo.

                                                                   ( Il ponte radio)
Mi fermai a parlare con lui più per riposarmi ( forse ero all’altezza del ponte radio), che per fare due chiacchiere.  FU UN GROSSO SBAGLIO !!!! Il pastore mi raccontò la sua vita, monotona e piatta, tingendola di avventure. Tutti i giorni salivo lassù, ogni giorno un po più in alto e sempre incontravo Micò. Mi accorgevo che man mano che passavano i giorni salivo sempre più per incontrare Micò il quale mi metteva  a conoscenza dei segreti della montagna che tanto temevo.

   
Mi raccontava della Fata del Lago ( il laghetto sotto la cima che allora era permanente e molto più ampio ed il riferimento alle favole bretoni è evidente), la quale compariva ogni tanto, innalzandosi fuori dalle acque, ma che in certe ore del giorno, quando il sole aveva una determinata inclinazione, al mattino presto, si intravvedeva sotto le acque e risplendevano i suoi biondi capelli. 

  (da http//naturagrezza.blogspot.it)
Spesso parlava con il pastore consolandolo per la sua solitaria vita.  Mi raccontava dei branchi di lupi che si aggiravano famelici sulla montagna, con gli occhi che di notte splendevano come braci ardenti. Mi descriveva il capobranco, grande come un vitello e veloce come la folgore, capace di sbranare da solo un cavallo.
                                  ( Costa Serpentana con il solco scavato dal Re Serpente)
Mi raccontava delle bufere di neve in primavera che potevano uccidere un orso, delle aquile che rubavano le sue pecore, del Re dei Serpenti, lungo decine di metri che strisciando sulla montagna, aveva lasciato tracce ben evidenti  sulle rocce sotto la cima  (non a caso la zona si chiama Costa Serpentana).
  Mi raccontava di come uno Stregone aveva aperto  la montagna con un colpo d’ascia a Valle Lunga,

                                                                            (Vallelunga)
sotto il colle del ghiaccio, svuotando il lago che arrivava fino alla cima del monte, per sconfiggere la Fata. Allora tutti gli animali erano accorsi, dalle formiche ai ragni, dai lupi alle aquile, dalle volpi ai serpenti ed avevano costruito in tutta fretta una diga  salvando il piccolo lago e con lui la Fata. Tutte le sere gli animali andavano a farle omaggio ed ammiravano la sua bellezza.
  Quell’anno passò presto e la cima era ancora lontana, ma l’anno successivo nonno era morto. Era il 1961. Non avevo più scuse e salivo dal paese, da solo. Però non riuscivo ad arrivare alla cima.  I mostri che l’anno precedente mi avevano affascinato ora mi bloccavano, terrorizzandomi. Ogni battito d’ali era un’aquila, ogni stormire di foglie era un lupo ed il punto dove strisciava il Re Serpente era un muro invalicabile.  Incontravo ancora il pastore, mi fermavo sempre con lui, i suoi cani mi riconoscevano, ero orgoglioso di salutarlo quando lo incontravo in paese; a me sembrava di salutare un guerriero antico.
                                          ( A sn, in ombra, la fonte di Bregno)
 Quell’anno mi raccontò dei Dio dei Boschi che con il flauto zufolava tra le rocce di Bregno e che per sentirlo bastava recarvisi quando si forma la nuvola sopra la II cima.
Mi raccontò delle fiammelle sopra la croce della cima  che non sono altro che le anime dei morti le quali, quando il tempo è cattivo, si aggirano sul monte e poi si riuniscono sulla cima per un sabba demoniaco.

A sette anni, da solo sul monte, ogni nube che velava il cielo era il segnale perché le anime dei defunti si scatenassero contro di me.
Mi descriveva con dovizie di particolari la Fata del Lago, tanto che ora io agognavo la cima solo per ammirare la sua bellezza e per poter dire di aver sconfitto i lupi famelici, il Re Serpente, le anime dei morti , il Dio del Bosco.
Invidiavo Micò che poteva andare e venire dalla cima a suo piacimento.  Mi facevo descrivere, al ritorno da ogni sconfitta, il paesaggio sulla cima ed il percorso per arrivarci, tanto che alla fine dell’estate conoscevo ogni pietra, ogni avvallamento, ogni erba, ogni vento che spazzava quelle altezze.
 Sempre di più conoscevo la montagna, ogni volta si animava di favole, tanto che ora non la consideravo più una roccia inerte, ma un essere vivente che respira, soffre, ride o piange e purtroppo MANGIA.
Tutte le volte che salivo mi comportavo in modo da non dispiacere al monte, per essere sicuro di accedere ai suoi favori.  A settembre il pastore andava via. Allora erano i tempi della transumanza che molti facevano ancora a piedi, insieme al gregge, per arrivare fino alle Puglie. Io andai a salutare Micò. Prima di partire, per farmi complice di un segreto, mi disse che la Fata aveva un amante a cui voleva molto bene. Lo Stregone, geloso, prese il giovane e lo gettò dalla cima, nel baratro, uccidendolo.
La Fata, relegata nel suo piccolo lago, udì gli urli, ma non potè far nulla contro la potenza dello Stregone. Quando arrivò sulla cima vide il corpo del suo amore sfracellato alla base della parete e pianse, pianse, pianse. Dove caddero le lacrime si formò una piccola sorgente, la fonte di Bregno, sotto i precipizi della cima. La fonte c’è ancora perché ancora la Fata piange il suo sposo, mentre il Dio del Bosco suona il suo flauto per consolarla. Ora tutto quadrava…..
 Gli dissi che non avevo visto o sentito nulla di ciò che mi aveva raccontato, me egli non si stupì : era logico che non avessi visto nulla, ancora non ero pronto a vedere o a sentire.
 La Fata non si mostra a tutti, mentre potevo ben vedere le sue lacrime e le tracce del serpente.
A quel tempo si andava a scuola il 1 ottobre. Micò era partito ed io mi aggiravo sul monte con la speranza che quel mondo fatato mi si mostrasse, ma era tutto inutile. Inoltre la montagna, ora completamente deserta, faceva veramente paura.


L’anno successivo, a giugno, con l’ultima neve nei canaloni, mi avviai trepidante sul monte e chiamai Micò da lontano, era lui con un gregge mastodontico di pecore e capre.
I suoi cani mi corsero incontro abbaiando, ma quando mi avvicinai, mi si gettarono addosso , leccandomi e riempiendomi di saliva. Mi avevano riconosciuto, per fortuna.   

 Eravamo sotto il ponte radio, li dove ora c’è un rifugio della forestale.  Gli chiesi, come sempre, se aveva visto nuovi prodigi.  La sua fantasia era fertile così come profonda era la sua istruzione. Probabilmente aveva letto molto i classici, nelle lunghe ore in solitudine sulla montagna. Prese un quaderno scritto a matita ed iniziò a leggermi il racconto della sua vita, scritto in  versi con la metrica della Divina Commedia. Tutto era scritto su quel quaderno, con rime perfette.    Verità e fantasia si mescolavano fra di loro.
Mondi fatati e dura realtà  si armonizzavano perfettamente. Prepotente emergeva l’amore per la vita,  per quella vita, per la montagna che tanto lo faceva soffrire, ma che lo sfamava. 
Potessi ora avere quel quaderno!! Passai ore ad ascoltarlo. 
 Allora non capivo tutto ciò che diceva, ma poi negli anni successivi, i frammenti dei suoi versi tornarono in superficie esplodendo nella mia mente. Una notte gelida d’agosto mi avviai verso il  monte. O la cima o la morte.  All’alba ero alla base del monte. Non un sibilo, non una foglia stormiva, gli stregoni e le fate dormivano. Micò non si vedeva, forse si era trasferito a Valle Lunga, al di la della cima. La solitudine mi opprimeva, la paura mi attanagliava la gola, ma man mano che il sole saliva e scioglieva la bruma io acquistavo coraggio. Non una  nuvola oscurava il cielo cosi che le anime dei morti erano ben lontane, confinate negli inferi.
                                      (Le casette dei Maurizi. In fondo alla valle c'è fonte Crovella)

Il tempo passava e la salita non finiva mai. Superai d’impeto il luogo dove strisciava il Re Serpente e mi stupii che al di la il paesaggio fosse lo stesso, Chissà cosa mi aspettavo!
 Ora in quel punto sotto la cima una strada ha distrutto le rocce scavate dal passaggio del serpente, ma ancora oggi quando salgo sul monte, quel punto mi ricorda le paure e le fatiche. Spesso mi fermo sulla strada aspettando che passi il mostro, ma al suo posto transita qualche venefica jeep o qualche moto da cross più mostruosi del Re Serpente.

  
Ma mano che salivo il panorama si allargava, finchè sbucai al lago.  Fu una sorpresa. Non mi aspettavo che fosse li, anche se le lunghe e particolareggiate descrizioni del pastore mi avevano ben indirizzato. Mi sedetti in vicinanza dl lago, al riparo di una roccia sul costone che porta alla cima, più per riposarmi che per ammirare il paesaggio, ma poi rimasi seduto forse un’ora o più, in attesa che la Fata mi si mostrasse. Aspettavo che il sole si innalzasse ulteriormente per permettermi di vedere i biondi capelli. Poi la voglia di salire prese il sopravvento e partii, con il fiato corto e le gambe pesanti (ricordo che dal paese alla cima sono 1250 m. di dislivello ed io avevo 8 anni), finchè sopra di me non ci fu che il cielo
.
   
Non avevo conquistato una cima, cosa che già allora destava in me poco orgoglio, ma avevo vinto, come Micò, lo Stregone, le aquile, il Re Serpente ed i mostri del mio incoscio. Ora, pensavo, anch’io potrò salire quassù liberamente perché anch’io ho il lasciapassare.  Quell’anno salii alla cima molte volte ed ogni volta passavo a salutare Micò per chiedergli se avesse visto qualche prodigio e tutte le volte egli mi descriveva qualche fenomeno. Allora correvo a perdifiato in salita per arrivare in tempo, ma tutto era svanito. Mi raccontò del tesoro di monte Calvo. Al tempo della costruzione della ferrovia l’Aquila-Terni gli operai un bel giorno scomparvero.  Durante la notte erano fuggiti. Da indiscrezioni dei capomastri si scoprì che durante gli sbancamenti, gli operai avrebbero trovato un vero e proprio tesoro. La cosa è quantomeno credibile visto che la ferrovia transita tra i siti archeologici di Amiternum, Foruli e Testrina. Inoltre mio nonno mi aveva fatto vedere molte monete antiche trovate tra i campi, arando. Braccati dalla polizia, gli operai pensarono di nascondere il tesoro a m. Calvo, in una grotta sotto una parete.  Una frana enorme però aveva sommerso il tesoro che quindi non era stato più ritrovato. Micò chiaramente sapeva dov’era sepolto il tesoro, perché solo lui poteva riconoscere quei luoghi dopo l’immane cambiamento.  Teneva per se il segreto perché, diceva, il tesoro era composto da monete d’oro e da idoli preziosi. Tale tesoro, essendo pagano, avrebbe portato sfortuna a colui che ne fosse venuto in possesso, quindi era meglio lasciarlo dov’era. Mi raccontava delle morti atroci di coloro che lo avevano solo toccato.
   L’anno successivo ormai ero di casa sulla vetta, portavo spesso i miei cugini e qualche mio amico, ma mai avevo visto nulla. 


Cominciai a pensare che il pastore fosse un bugiardo, quando, un giorno di luglio, dopo pranzo, pensai di salire verso la vetta. Il tempo era cattivo, nubi dense e compatte correvano, spinte dal vento verso la cima, lambendo la croce. Arrivai in vetta ed udii un crepitio.
  
 Sulla croce correvano scintille, piccole fiammelle apparivano e scomparivano. Allora non sapevo nulla di elettricità statica, ma improvvisamente tutto quello che aveva detto Micò si ripresentò prepotente mentre le nubi mi ricoprivano con una nebbia densa. Se era vero che durante il tempo cattivo ci sono le anime dei morti allora sarà anche vero che esiste la Fata, il Re Serpente, il Lupo gigantesco, il Dio del Bosco, lo Stregone.   Fuggii spaventato a rotta di collo in discesa saltando tra i sassi come un capriolo e temendo il punto in cui strisciava il Serpente. Lo superai d’un balzo ed arrivai senza mai fermarmi al paese.
 Passavano gli anni e Micò era sempre li. Il mio corpo cresceva ed i miei muscoli si irrobustivano. Correvo senza sforzo dal paese alla cima, anche due volte consecutive e sempre incontravo Micò che mi salutava di lontano. Io salivo con estremo rispetto della viva montagna.    Infatti il danno ormai era fatto. Il tarlo era stato inculcato anni prima, quando la mia mente era fragile.
  Poi tutto cambiò. Dimenticai m. Calvo. Ormai ero diventato un alpinista.

 Quella dolce montagna non faceva più per me. Ora mi cimentavo con le pareti di Corno Grande, di Corno Piccolo, con i precipizi del Civetta e delle Torri del Vajolet e del Sella, con i Ghiacciai del Bianco e dell’Eiger. Mi sarei vergognato a salire di nuovo su monte Calvo, in mezzo ai cavalli ed alle pecore, sarebbe stato del tempo rubato alla vertigine ed agli abissi.


Poi un giorno incontrai Micò, prima di morire, a 90 anni suonati. Passeggiava in una strada del paese, lentamente, con il bastone, la mente lucida.
                                                      (Scoppito sotto la neve)
 Mi riconobbe prima lui e mi chiamò. Mi chiese se avevo visto nulla su m. Calvo in tutti questi anni che lui era mancato. Non potei mentire di fronte a quegli occhi e gli dissi che non avevo visto nulla.
 “Non preoccuparti” mi disse, “vai ancora! Sono tutti la, sono i tuoi occhi che non vedono, ma loro ci sono, un giorno li vedrai”. Non sapeva Micò , ed io tacqui, che il lago ormai non c’era più, che per pulirlo avevano tolto il fango impermeabile e che da allora era scomparso ingoiato dalla montagna insieme alla Fata.

 Non sapeva che lo Stregone aveva vinto, che le ruspe avevano distrutto il passo del Re Serpente, che i lupi e le aquile erano estinti, che forse il Dio del Bosco, rimasto solo, era morto di solitudine non avendo più nessuno per cui suonare, che a Bregno non c’era più acqua perchè forse era alimentata dal lago più in alto.
Quell’anno morì Micò, e la montagna rimase incappucciata di nubi quasi tutta l’estate. Pioveva tutti i giorni, ma forse non era pioggia, forse la montagna piangeva Micò, che l’aveva profondamente amata. Io avevo spento il mio furore giovanile per gli abissi, forse lo avevano spento i miei amici morti sui monti. Una sera di agosto decisi di andare su monte Calvo. Con facilità arrivai alla cima e quindi discesi i pochi metri che la separano dalla conca dove una volta si trovava il vasto lago. Guardai in basso. C’era la luna piena e verso le casette dei Maurizi, sul prato, vidi le lucciole che si muovevano come onde nel mare.
                                                                 (Le casette dei Maurizi)
Mi addormentai al riparo di una roccia. C’era la luna piena, il cielo era sereno, solo alcune nubi salivano sulla parete a nord della cima, verso Bregno. Mi risvegliò il giorno, aprii gli occhi ed in un istante capii. Sul prato c’era la rugiada  illuminata dal sole radente che evaporava sotto i sui raggi emanando biondi riflessi. Non potevano essere che i capelli della Fata.     La Fata non era morta quando il lago era scomparso, si era semplicemente divisa su tutte le gocce di rugiada, del resto era una Fata, lei poteva farlo. Come avevo fatto a scambiare per lucciole il Re Serpente acciambellato nel prato lontano ed il cui dorso argenteo era illuminato dalla Luna?

 Corsi sulla vetta e poi scesi verso Bregno mentre il vento ammassava le nubi sulla II cima. Arrivai e, miracolo, dopo anni c’era dell’acqua. Certo, la Fata era ancora lassù, io l’avevo vista e piangeva mandando le sue lacrime a riempire il catino della sorgente. Tornai sul sentiero ed allora lo sentii, per la prima volta, sentii il Dio del Bosco suonare il flauto, così come mi aveva detto Micò. Micò non era un bugiardo, non poteva sbagliare, m. Calvo era LA SUA MONTAGNA, conosceva tutto di lei. Adesso tutto mi era chiaro, mi tornavano in mente i versi del poema del pastore.  Come avevo fatto a non capire prima? Tutto era il contrario di quello che si potesse pensare. Lui lo sapeva. I versi dicevano che M. Calvo era un mondo incantato popolato da esseri che esistevano solo in quanto qualcuno li vedeva e non che qualcuno li vedeva in quanto loro esistevano. 
                                      ( Foto da http://naturagrezza.blogspot.it/)
 Forse non li avevo visti perchè non serviva che io li vedessi. Bastava Micò a farli vivere, ma ora Micò era morto e loro cercavano qualcuno che potesse continuare a tenerli in vita. Ed ero stato scelto io, perché non lo so, ma ero felice.  Una storia simile, dopo molti anni, era stata trasportata sullo schermo in un film da bambini, ma io l’avevo già vissuta davvero, anni prima, Micò, un umile pastore, l’aveva scritta.
 Fino ad oggi, quando ero triste, andavo a monte Calvo a parlare con la Fata e con il Dio del Bosco e mi consolavo. Quando scendevo ero sempre un po più sollevato.
Finchè io vivrò, pensavo, anche loro esisteranno, spero solo che alla mia morte qualcuno sia in grado di vederli, per non farli morire, per poter popolare in eterno M. Calvo….LA MIA MONTAGNA.
Ma le fate possono tutto, meno che fare del male, possono anche comparire nei sogni.

                (Foto da http://naturagrezza.blogspot.it/ )
Caro Micò, tu non sapevi dov’era il confine tra sogno e realtà, ma noi siamo così sicuri che esista?  Come al solito il risveglio mi riporta alla realtà, ma poi, lentamente, affiorano ricordi di un sogno notturno. E’ strano, normalmente il sogno si ricorda appena svegli e poi  più o meno velocemente lo si dimentica. Man mano che passano i minuti, invece, diviene più vivido. La Fata del Lago mi chiama, vuole che vada sulla cima , da Lei.  Mi invita a salire nel più breve tempo possibile, non era mai successo.  Ingoio due medicine per lenire il dolore alle ginocchia e parto in una bella giornata di sole. In fondo farò una camminata SULLA MIA MONTAGNA, mi siederò sulla cima a parlare con la Fata che probabilmente si sente sola.
A fonte  Crovella, molto in basso, sento la Fata che mi invita ad essere più veloce perché è tardi.  Ma tardi per che cosa? Cosa mi aspetta lassù? A malincuore inizio a correre in salita cercando di forzare il passo. Pensavo che per la prima volta nella vita la Fata avesse bisogno di me, dopo che per anni io avevo avuto bisogno di Lei. Le ginocchia dovevano tacere, dovevo andare subito su.
 Possono le fate ingannare? Possono fare del male? Sarebbero streghe, non fate. Sulla cima la mia tristezza è diventata infinita, non era rabbia, solo tristezza.  Sulla vetta non mi aspettava la Fata consolatrice, come le altre volte. Chissà dov’era finta, era andata via, forse per sempre, così come lontano era il Dio del Bosco. Sono sceso subito, non sopportavo più quel luogo che per decenni mi era stato tanto caro.

Una roccia sporgente dalla neve in vista del Lago sepolto, a pochi minuti dalla cima, mi è servita per sedermi, una stanchezza mortale si era impadronita di me.  Speravo che comparisse la Fata….. ma nulla.  Ormai avevo la certezza che tutto fosse svanito per sempre. Forse  qualcun altro era più degno di me di dar vita alle creature della montagna.  Solo la morte aveva strappato lo scettro a Micò, forse a me era stato tolto per consegnarlo a qualcuno più sensibile e degno.  Ora mi sembrava di diventare di nuovo bambino, come quando avevo 6 anni e la montagna era ostile, dura, nemica.   Riaffioravano le paure del Re Serpente, delle anime dei defunti, del Signore dei Lupi, dello Stregone. Avevo l’impresssione che tutti, dall’alto mi cacciassero dal loro regno. Ormai ero un estraneo, come tutti gli altri.  Quando qualcuno diceva di andare a m.Calvo, la sua montagna, avevo un impeto di rabbia, ma non potevo dire la verità, sarei stato preso per pazzo. Ora quelle persone possono dirlo, non appartiene più a me, anzi, meglio, IO NON APPARTENGO PIU’ ALLA MONTAGNA. L’unica consolazione sarebbe solo di sapere che qualcuno ha preso il mio posto e m. Calvo ancora vive.
                                             ( Foto da http://naturagrezza.blogspot.it)
  Micò, perdonami, forse il mio animo è stato troppo debole in confronto al tuo. Tu non hai mai avuto dubbi, tu hai avuto un solo grande amore. Io sono un essere fragile, pieno di dubbi ed incertezze e la Montagna non me lo ha perdonato. Chiamarmi sulla cima non è stata una cattiveria, le Fate non sanno essere cattive, è stato solo un atto di giustizia. Avevo fatto credere alla montagna di essere forte e giusto, ma non lo avevo fatto apposta, lo credevo anch’io.  Chissà se andando ancora lassù potrò ritrovare ancora il bimbo di 50 anni fa, ingenuo ma deciso. Forse con il cuore del bimbo (ma sarà mai possibile?) la montagna si commuoverà e mi permetterà di nuovo di sentire il flauto del Dio del Bosco e di parlare con la Fata del Lago, di vedere strisciare il Re Serpente….sulla mia montagna.

Ora che tutto è finito ho potuto raccontarvi la storia di M. Calvo. Prima non mi era possibile. Se non ci credete, allora andate lassù, sulla cima. Andate portando il bimbo che è in voi. Lasciate alla macchina, alla base del monte, tutte le incombenze e le angustie quotidiane, tanto sono pazienti e vi aspetteranno al ritorno.
Salite con il vostro amore, tenendovi per mano, e sedete accanto a lui sulla vetta, in silenzio. Chissà che la Fata, commossa del vostro amore, si mostrerà a voi, ricordando il suo perduto amante e vi mostrerà il mondo incantato che vi circonda e che è precluso ai più.  Non abbiate paura di vederlo. Non siete pazzi se ciò dovesse accadere. Quando tornate raccontatelo, come Micò fece con me, sicuro di essere creduto. E poi, cosa vi importa se non sarete creduti?
                                      (Tramonto su monte Calvo.....)
Questa è una storia vera, i personaggi narrati sono esistiti davvero.     Micò, al secolo Domenico
Valente, di Casale di Scoppito, è stato il "pastore" per antonomasia. A lui erano affidate le pecore di Scoppito che negli anni '60 raggiunsero il n. di 5000. Il pascolo era Monte Calvo.....
P.S.
Uno dei più bei regali che ho ricevuto è una lettera della madre di sandro ( che si firma: "mamma Adalberta). Mi inviò tale lettera dopo un incontro al CAI in cui raccontai la storia di monte Calvo ed alcune traversate del deserto.  Sono onorato di riportarla

GRAZIE MAMMA ADALBERTA

 


 

 

6 commenti:

  1. grazie!, ma i tuoi commenti non sono obiettivi.........
    ciao!!!!!!!!

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  2. Storia bellissima! per una montagna vicina che solo chi ama le cime conosce. Splendido ricordo del bambino avventuroso che c'e' stato in tutti noi e che le comode convenzioni e la ottenebrante pigrizia degli altri ci ha costretto spesso a far tacere. Pure speranza comunque di ritrovare noi le emozioni solo intuite e sprone per chi ha ancora tanto davanti di riuscire a conquistare piano ma con tenacia le sue vette superando con l'aiuto di uomini illuminati le tante paure che ci attanagliano e spesso ci bloccano in mediocri colline o rassicuranti pianure.

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  3. Se non vado errato, Micò morì a 98 anni quando io ero piccolo e lo ricordo appena...Forse l'ultimo "pastore" stricto sensu del comune di Scoppito...Mi sono davvero perso nella lettura del blog ed ho rivissuto, passo dopo passo, la gioia delle passeggiate sulla nostra montagna...
    Un saluto affettuoso,
    Emiliano

    P.S. Caro autore del blog, forse non ci conosciamo ma anch'io vivo a Scoppito...Se ti va di scambiare 4 chiacchiere ti lascio la mai e-mail: emilrenz@tin.it

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  4. Caro emiliano
    Ti ringrazio per questo commento perchè qualche tempo fa una mia amica mi ha detto che i racconti sembrano inventati. Tu, invece, insieme ad altri che avete vissuto molti racconti, con i vostri commenti e le vostre email, mi confermate che è tutto vero, quando anche a me , spesso, viene il dubbio che siano solo frutto della mia fantasia. Sono inoltre felice che anche tu sia stato ammaliato dalla magia di monte Calvo, un luogo che per molti ha qualcosa che rapisce e che emana una effluvio magico.
    ciao e grazie

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